La diga Rosmarina con poca acqua |
ANTONIO FRASCHILLA
Naro e la condanna della siccità “Addio agrumi, oggi
coltiviamo banane”
PALERMO - Conosci il Paese dove fioriscono i limoni?» cantava Goethe dopo
aver visto lo splendore della Conca d’oro a Palermo. Adesso in quel che rimane
di quella Conca assediata dal cemento e dai sacchi edilizi non crescono più
limoni ma banane. A Naro, nel cuore della Sicilia, l’acqua corrente arriva
nelle case anche una sola volta ogni quindici giorni, e nel paese è tutto un
proliferare di autobotti abusive e recipienti sui tetti.
Sono immagini di una terra assetata. Immagini di una Sicilia che si sta
trasformando sotto la spinta del cambiamento climatico e che non riesce a
trovare soluzioni a causa della solita malapolitica.
La grande sete da queste parti è ormai una realtà: invasi semivuoti,
agricoltori disperati, interi paesi con l’acqua corrente solo pochi giorni al
mese. Lo Stato ha appena riconosciuto poteri speciali al governatore Nello
Musumeci per far fronte all’emergenza idrica, ma nessun potere potrà far cadere
più acqua dal cielo e tappare le falle di una rete idrica che perde quasi il 50
per cento dell’oro blu.
Nell’Isola piove sempre meno: secondo una ricerca della Regione negli
ultimi cento anni il deficit di piovosità risulta pari a 150 millimetri di
acqua, in pratica le piogge si sono dimezzate. Nello stesso periodo la
temperatura media è salita di 1,5 gradi.
Quest’anno per quasi tutto l’inverno non è scesa una sola goccia di acqua.
Il paesaggio che a febbraio si sono trovati davanti gli agricoltori della
grande vallata che dall’Etna arriva fino alla rocca di Enna è stato quello di
una terra secca e arida. Quando invece in inverno ai loro occhi quel pezzo di
Sicilia era sempre stato una sorta di «grande Svizzera verde», con il grano che
cresceva rigoglioso.
Adesso a Regalbuto Giusi Fiumefreddo, giovane imprenditrice, guarda
sconfortata la sua terra: «Abbiamo raccolto appena 150 quintali di grano, la
metà della scorsa estate — dice — La grande diga Pozzillo è stata a secco fino
a primavera inoltrata e non abbiamo irrigato i campi».
Suo padre Vincenzo non ricorda una stagione così: «Mai vista una siccità del
genere». Senza grano, non c’è pascolo. In queste vallate da secoli scendono dai
Nebrodi gli armenti che hanno fatto la fortuna di migliaia di allevatori:
adesso le mucche e le pecore che si vedono pascolare da queste parti si contano
sulle dita di una mano. La siccità sta mettendo a rischio nella zona trentamila
lavoratori tra braccianti e piccoli imprenditori agricoli.
La grande sete della Sicilia si specchia anche negli invasi vuoti.
Questo inverno le grandi dighe erano a secco, con città come Palermo che
hanno rischiato il razionamento a febbraio. Poi un po’ ha piovuto, ma a
giugno la capienza rispetto allo stesso periodo dello scorso anno è crollata
del 10 per cento. Se il prossimo inverno non pioverà, la Sicilia rimarrà
senz’acqua non solo nei campi ma anche nelle abitazioni. Mentre già adesso in
alcuni centri dell’Isola, soprattutto nell’Agrigentino, l’acqua arriva in media
anche una volta ogni due settimane. È il caso di Naro, con la sua rete
colabrodo e un lago a due passi che però, senza manutenzione da anni, è
diventato una distesa di fango: «Arriva una volta ogni 15 giorni, e a luglio
temiamo che andrà peggio», dice Fabio Iacona, commerciante di frutta locale.
Senza interventi sulla rete e senza piogge, dai campi la grande sete potrebbe
presto arrivare nelle case di tanti siciliani. Intanto, di fronte a questo
deserto che avanza e ai problemi di irrigazione per mancanza anche di
infrastrutture, ci sono agricoltori che rischiano di chiudere l’azienda e altri
che invece ormai ragionano come se vivessero in un’area sub tropicale.
A Palermo l’azienda dei Marcenò esiste da sette generazioni, con gli avi
che esportavano arance in America. Adesso coltiva banane: «Il cambiamento
climatico ci ha portato a scommettere su questa coltivazione», dice Letizia Marcenò,
dirigente Coldiretti.
Dall’altra parte dell’Isola, a Giarre, c’è invece un consorzio diventato il
primo produttore in Italia per avocado: «Ho ereditato un agrumeto — dice Andrea
Passanisi — ma oggi qui c’è un clima ideale per produzioni sub tropicali».
Sciascia sosteneva che la linea della Palma sarebbe salita fino a Milano.
Nel frattempo è arrivata la linea delle banane e della sete.
La Repubblica, 1 luglio 2018
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