Lorena Pecorella, studentessa e mediatrice culturale presso il C.I.D.M.A. di Corleone |
A Corleone,
a casa nostra, c’è un posto insolito e affollato che si chiama C.I.D.M.A. Il giorno della sua inaugurazione, il 12 dicembre del 2000, io avevo appena
nove anni e un compito importante per l’occasione: ero stata scelta tra i miei
compagni per omaggiare il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi,
venuto a Corleone per il grande evento, di un dono e una poesia da parte dell’
“Istituto Camillo Finocchiaro Aprile”. Le maestre mi avevano preparato bene, nel caso in cui mi avesse rivolto qualche
domanda e, anche se di mafia avevo sempre sentito parlare e i nomi dei boss
corleonesi li conoscevo a memoria, dovetti informarmi su cosa significasse
“Centro Internazionale di Documentazione sulle Mafie e del Movimento Antimafia”
e su cosa offrisse. Ero piccola, ma capì lo stesso che l’apertura del
C.I.D.M.A. significava tanto per noi e dovevo dare il meglio. La pressione fu
così tanta che, unita ad un’insolazione, mi fece svenire proprio nel momento in
cui il Presidente poggiò la sua mano sul mio capo e mi chiese cosa volessi fare
da grande. Feci appena in tempo a rispondere “il magistrato”, che caddi tra le
braccia della maestra di matematica.
La mia risposta non era stata casuale: credevo (e ho creduto fino a pochi anni
fa) che per combattere la mafia bisognava stare nelle aule di un tribunale e
stabilire sentenze. Quindi, dopo il diploma, intrapresi gli studi di
Giurisprudenza a Palermo per portare a termine la mia missione. Solo dopo due
anni capì che stavo percorrendo la strada sbagliata e decisi di cambiare corso
di laurea. Oggi sono una studentessa magistrale di Comunicazione e quello
strano posto di cui parlavo e che ho ammirato da sempre e fatto conoscere a
parenti ed amici in visita a Corleone, oggi è diventato un po’ casa mia.
Sono entrata a far parte dello staff del C.I.D.M.A. a luglio 2016, prima accompagnando soltanto visitatori italiani e poi anche visitatori stranieri in lingua inglese. Ricordo ancora il mio primo tour: Emiliano, veterano del centro, mi ha accompagnato durante tutto il percorso per assicurarsi che tutto procedesse bene e per soccorrermi qualora dimenticassi qualche dettaglio importante. Il sostegno e i consigli di altre guide con maggiore esperienza è stato fondamentale per ognuno di noi.
È difficile parlare della mia esperienza al C.I.D.M.A. nello spazio di un articolo di giornale, perché le giornate sono caratterizzate da così tanti incontri, così tante storie, così tanti confronti, che non basterebbe un giorno intero per parlare di tutto. Inoltre, solo chi è passato da lì può capire fino in fondo quello che sto per raccontare.
Vengono a trovarci, tutto l’anno, persone da tutto il mondo e il motivo è prevalentemente lo stesso: la mafia.
Arriva l’americano con la coppola comprata al negozietto di souvenir cinquanta metri prima che chiede indicazioni per la casa di Don Vito Corleone e quando gli spieghi che “Don Vito is a cinematographic invention and the movie wasn’t shoot here, but in Savoca”, lui, deluso, quasi vorrebbe andar via (e, a volte, va via veramente).
Arriva il siciliano che quella storia, raccontata attraverso le nostre testimonianze e le foto di Letizia Battaglia che documentano stragi, atteggiamenti e messaggi mafiosi, la conosce bene e ne porta ancora addosso residui e ferite e alla frase pronunciata davanti ai Faldoni “il Maxiprocesso è la più grande vittoria della giustizia italiana”, si commuove e si sente, come noi, pervaso da un sentimento di estremo orgoglio.
Arriva il giornalista che sa già tutto, ma vuole approfondire e sapere come si vive nella città che ha dato i natali ai peggiori boss della storia siciliana.
Arriva lo straniero che ha sentito parlare qualche volta del pool antimafia, ma vuole capire meglio perché dei giudici che svolgevano semplicemente il loro lavoro, finiscono per essere considerati eroi, visto che in Sicilia anche compiere il proprio dovere diventa pericoloso e ti costa la vita.
E poi arrivano i ragazzi. Il C.I.D.M.A. infatti, ogni anno, apre le porte a centinaia di studenti da tutta Italia e questa è l’occasione di crescita più bella. All’inizio catturare la loro attenzione è un po’ difficile: si aspettano il racconto di storie sentite e risentite. Dopo pochi minuti, però, li vedi attenti e pieni di interrogativi, a volte increduli, a volte emozionati e, quando alla fine ti sorridono e ti dicono “proveremo ad essere dei cittadini migliori perché il sacrificio di molti non resti vano”, ti rendi conto di avere veramente gettato un seme e che quel seme germoglierà e farò frutto.
Trent’anni fa era quasi impossibile parlare di mafia a Corleone. Prevalevano paura, rassegnazione, omertà e la mentalità secondo cui meno parlavi meglio vivevi, se non addirittura quella secondo cui la mafia proteggeva la gente e offriva opportunità a tutti, per cui ci si sentiva quasi in dovere nei suoi confronti.
Oggi è tutto diverso e noi corleonesi siamo testimoni di una rivoluzione culturale partita dalle scuole, dalle famiglie, dalle parrocchie, in cui è maturata la consapevolezza che la mafia, invece, non porta a nulla di buono e solo conoscendone azioni, motivazioni, atteggiamenti e limiti è veramente possibile scegliere da che parte stare.
Spesso mi chiedono cosa si faccia al C.I.D.M.A. e quando rispondo qualcuno pensa che ripetere sempre le stesse cose, dopo un po' possa stancare. Ma la noia è un sentimento impossibile da sperimentare quando interagisci con persone sempre diverse, perché saltano fuori un’incredibile varietà di domande, una serie di curiosità mai scontate e crei con ognuno dei legami fatti di stima e ammirazione reciproca. Conosci culture diverse come se ogni giorno viaggiassi senza sosta e invece sei sempre nello stesso luogo.
Si crea come una catena umana fatta di coscienze pulite. Sai che ognuno che passa di lì racconterà poi un po' della sua esperienza e si sentirà partecipe di un progetto. È così che si vive dentro quell’ex convento di San Ludovico: dei ragazzi incontratisi per caso, ognuno con qualcosa da offrire, ognuno coi propri talenti, ognuno coi propri limiti, sono parte fondamentale di questa grande famiglia. Si condividono ansie, sogni, speranze, ci si supporta a vicenda, ci si scambia idee quasi mai del tutto concordanti, si condivide così tanto che alla fine nessuno crede che sia stato un caso incontrarsi. La mia esperienza al C.I.D.M.A. mi ha ricordato chi sono e mi ha ridato la speranza, persa da molto tempo, che la mia Corleone può veramente cambiare e sradicare una volta per tutte la sua etichetta.
Quando alla fine di un tour, davanti al portone di Via Valenti n. 7, abbracci i visitatori e li ringrazi mentre stanno per andar via, senti proprio il desiderio di guardarli allontanarsi, girare l’angolo e proseguire per la loro strada, perché sai che da quel momento cammineranno con più consapevolezza e con più speranza. E allora smetti di maledire il posto in cui sei nato, quella terra disgraziata che tanto ti dona e tanto ti toglie e inizi ad apprezzare la bellezza attorno a te. Senti come un soffio di vento accarezzarti il viso, forse quel “fresco profumo di libertà”, e inizi a sentirti esattamente dove dovresti essere.
Sono entrata a far parte dello staff del C.I.D.M.A. a luglio 2016, prima accompagnando soltanto visitatori italiani e poi anche visitatori stranieri in lingua inglese. Ricordo ancora il mio primo tour: Emiliano, veterano del centro, mi ha accompagnato durante tutto il percorso per assicurarsi che tutto procedesse bene e per soccorrermi qualora dimenticassi qualche dettaglio importante. Il sostegno e i consigli di altre guide con maggiore esperienza è stato fondamentale per ognuno di noi.
È difficile parlare della mia esperienza al C.I.D.M.A. nello spazio di un articolo di giornale, perché le giornate sono caratterizzate da così tanti incontri, così tante storie, così tanti confronti, che non basterebbe un giorno intero per parlare di tutto. Inoltre, solo chi è passato da lì può capire fino in fondo quello che sto per raccontare.
Vengono a trovarci, tutto l’anno, persone da tutto il mondo e il motivo è prevalentemente lo stesso: la mafia.
Arriva l’americano con la coppola comprata al negozietto di souvenir cinquanta metri prima che chiede indicazioni per la casa di Don Vito Corleone e quando gli spieghi che “Don Vito is a cinematographic invention and the movie wasn’t shoot here, but in Savoca”, lui, deluso, quasi vorrebbe andar via (e, a volte, va via veramente).
Arriva il siciliano che quella storia, raccontata attraverso le nostre testimonianze e le foto di Letizia Battaglia che documentano stragi, atteggiamenti e messaggi mafiosi, la conosce bene e ne porta ancora addosso residui e ferite e alla frase pronunciata davanti ai Faldoni “il Maxiprocesso è la più grande vittoria della giustizia italiana”, si commuove e si sente, come noi, pervaso da un sentimento di estremo orgoglio.
Arriva il giornalista che sa già tutto, ma vuole approfondire e sapere come si vive nella città che ha dato i natali ai peggiori boss della storia siciliana.
Arriva lo straniero che ha sentito parlare qualche volta del pool antimafia, ma vuole capire meglio perché dei giudici che svolgevano semplicemente il loro lavoro, finiscono per essere considerati eroi, visto che in Sicilia anche compiere il proprio dovere diventa pericoloso e ti costa la vita.
E poi arrivano i ragazzi. Il C.I.D.M.A. infatti, ogni anno, apre le porte a centinaia di studenti da tutta Italia e questa è l’occasione di crescita più bella. All’inizio catturare la loro attenzione è un po’ difficile: si aspettano il racconto di storie sentite e risentite. Dopo pochi minuti, però, li vedi attenti e pieni di interrogativi, a volte increduli, a volte emozionati e, quando alla fine ti sorridono e ti dicono “proveremo ad essere dei cittadini migliori perché il sacrificio di molti non resti vano”, ti rendi conto di avere veramente gettato un seme e che quel seme germoglierà e farò frutto.
Trent’anni fa era quasi impossibile parlare di mafia a Corleone. Prevalevano paura, rassegnazione, omertà e la mentalità secondo cui meno parlavi meglio vivevi, se non addirittura quella secondo cui la mafia proteggeva la gente e offriva opportunità a tutti, per cui ci si sentiva quasi in dovere nei suoi confronti.
Oggi è tutto diverso e noi corleonesi siamo testimoni di una rivoluzione culturale partita dalle scuole, dalle famiglie, dalle parrocchie, in cui è maturata la consapevolezza che la mafia, invece, non porta a nulla di buono e solo conoscendone azioni, motivazioni, atteggiamenti e limiti è veramente possibile scegliere da che parte stare.
Spesso mi chiedono cosa si faccia al C.I.D.M.A. e quando rispondo qualcuno pensa che ripetere sempre le stesse cose, dopo un po' possa stancare. Ma la noia è un sentimento impossibile da sperimentare quando interagisci con persone sempre diverse, perché saltano fuori un’incredibile varietà di domande, una serie di curiosità mai scontate e crei con ognuno dei legami fatti di stima e ammirazione reciproca. Conosci culture diverse come se ogni giorno viaggiassi senza sosta e invece sei sempre nello stesso luogo.
Si crea come una catena umana fatta di coscienze pulite. Sai che ognuno che passa di lì racconterà poi un po' della sua esperienza e si sentirà partecipe di un progetto. È così che si vive dentro quell’ex convento di San Ludovico: dei ragazzi incontratisi per caso, ognuno con qualcosa da offrire, ognuno coi propri talenti, ognuno coi propri limiti, sono parte fondamentale di questa grande famiglia. Si condividono ansie, sogni, speranze, ci si supporta a vicenda, ci si scambia idee quasi mai del tutto concordanti, si condivide così tanto che alla fine nessuno crede che sia stato un caso incontrarsi. La mia esperienza al C.I.D.M.A. mi ha ricordato chi sono e mi ha ridato la speranza, persa da molto tempo, che la mia Corleone può veramente cambiare e sradicare una volta per tutte la sua etichetta.
Quando alla fine di un tour, davanti al portone di Via Valenti n. 7, abbracci i visitatori e li ringrazi mentre stanno per andar via, senti proprio il desiderio di guardarli allontanarsi, girare l’angolo e proseguire per la loro strada, perché sai che da quel momento cammineranno con più consapevolezza e con più speranza. E allora smetti di maledire il posto in cui sei nato, quella terra disgraziata che tanto ti dona e tanto ti toglie e inizi ad apprezzare la bellezza attorno a te. Senti come un soffio di vento accarezzarti il viso, forse quel “fresco profumo di libertà”, e inizi a sentirti esattamente dove dovresti essere.
2 luglio 2018
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