Sergio Damiani |
L’operazione costituisce la naturale prosecuzione delle precedenti
indagini dei Carabinieri denominate “Quattropuntozero” e “Montereale”, relative
al mandamento mafioso di San Giuseppe Jato e alla famiglia mafiosa di Monreale
e all’esito delle quali, tra marzo e ottobre 2016, erano stati tratti in
arresto molti esponenti apicali del medesimo sodalizio.
In
particolare, sono stati raggiunti dall’odierno provvedimento restrittivo:
1. DAMIANI Sergio, classe 1970,
panettiere, ritenuto reggente della famiglia di Monreale e già riconosciuto
uomo d’onore della medesima famiglia mafiosa (lo stesso era infatti nipote
del defunto DAMIANI Settimo, capo dell’organizzazione mafiosa monrealese prima
dell’avvento dello storico boss BALSANO Giuseppe);
2. LUPO Salvatore, classe 1988, già
reggente della famiglia mafiosa di Monreale, condannato in primo grado lo
scorso 24 aprile alla pena di 12 anni di reclusione per associazione di tipo
mafioso;
3. SPINA Girolamo, classe 1966, personaggio
di spicco della famiglia mafiosa di San Giuseppe Jato, recentemente
condannato in primo grado alla pena di 9 anni e 8 mesi di reclusione per
associazione mafiosa e altro;
4. BILLETTA Salvatore, classe 1969, appartenente
alla famiglia mafiosa di Monreale, condannato in primo grado alla pena di 8
anni e 4 mesi di reclusione per associazione mafiosa e altro;
5. ALAMIA Antonino, classe 1964, cassiere
del mandamento mafioso di San Giuseppe Jato,condannato in primo grado
alla pena di 12 anni di reclusione per associazione mafiosa e altro;
6. SCIORTINO Antonino, classe 1960,
muratore.
Le
complesse indagini hanno consentito di:
- documentare la
riorganizzazione territoriale di cosa nostra, avvenuta nell’arco di
pochi mesi, dopo l’esecuzione delle operazioni anzidetti, consentendo, in
particolare, di individuare i vertici ed i nuovi assetti della storica famiglia
mafiosa di Monreale;
- confermare
come la famiglia mafiosa di Monreale costituisca una delle articolazioni più
rilevanti del mandamento di San Giuseppe Jato, anche in considerazione della
posizione strategica attesa la vicinanza alla città di Palermo e alle altre
famiglie mafiose della provincia palermitana;
- comprendere
con modalità oggettive e documentate come si sia verificata nel tempo
all’interno dell’organizzazione mafiosa del mandamento di San Giuseppe Jato
– e della famiglia di Monreale in particolare – una rapida
evoluzione degli equilibri associativi;
- delineare
l’organigramma della famiglia mafiosa di Monreale;
- ricostruire
due vicende estorsive ai danni di imprenditori del settore edile;
- accertare
l’esistenza di una vera e propria cassa gestita dal mandamento di San Giuseppe
Jato, al cui interno periodicamente confluivano le risorse illecitamente
acquisite dagli indagati, derivanti prevalentemente dalle estorsioni praticate
su larga scala nel territorio di Monreale.
Più
in dettaglio, l’indagine dei Carabinieri ha permesso di acquisire numerosi
elementi indiziari a carico di Sergio DAMIANI, attualmente detenuto
(per effetto della condanna definitiva a 11 anni di reclusione per
associazione mafiosa a seguito dell’arresto nell’ambito dell’operazione “Nuovo
Mandamento”), che tuttavia era stato già individuato quale reggente della
famiglia di Monreale non appena scarcerato.
La
sua designazione nel senso è riemersa nel corso di un’intercettazione ambientale
tra BRUSCIA Alberto ed il cognato LUPO Salvatore i quali,
discutendo del ruolo di reggente assegnato qualche giorno prima proprio a
quest’ultimo dai vertici del mandamento di San Giuseppe Jato, si mostravano
comunque consapevoli che tale incarico sarebbe prima o poi cessato con la
nomina di una persona di più elevato spessore mafioso, che peraltro gli stessi
individuavano nell’uomo d’onore DAMIANI Sergio (“Lupo: Nuovo Papa…
nuovo Papa a chi mettono? ….. Non hanno nessuno, forse non lo hai capito.
L’unico PAPA che poteva essere con loro sai chi era? SERGIO!”).
Inoltre,
le attività tecniche condotte dai Carabinieri di Monreale hanno riscontrato
come il subentro del DAMIANI nella reggenza della famiglia monrealese sarebbe
stato particolarmente gradito a BRUNO Ignazio, deputato a sostituire AGRIGENTO
Gregorio alla reggenza del mandamento della valle dello Jato anche per il
rapporto di lunga e duratura amicizia che lo aveva legato all’esponente della
famiglia monrealese.
Dalle
indagini è emerso anche il ruolo di tutto rilievo assunto da SCIORTINO
Antoninoche, per la sua caratura criminale (già comprovata da una
pregressa detenzione nel febbraio del 2002 per fatti di criminalità organizzata
di stampo mafioso), è stato materialmente “affiliato” alla famiglia
di Monreale con l’avallo dei vertici mandamentali di San Giuseppe Jato,
manifestato con una formale autorizzazione da parte di SPINA Girolamo.
Peraltro,
all’interno del nuovo assetto di potere determinato nella famiglia mafiosa di
Monreale, era stato riservato un ruolo di primissimo piano, oltre che al
citato SCIORTINO Antonino, anche a BILLETTA Salvatore; gli
stessi, nelle intenzioni dei vertici della consorteria, avrebbero dovuto
interessarsi, in particolare, dell’individuazione delle attività edilizie da
assoggettare al pagamento delle estorsioni per garantire gli introiti nelle
casse del mandamento e assicurare il controllo del tessuto economico e sociale
sul territorio; in tale contesto, numerose conversazioni intercettate hanno
confermato come tutte le condotte illecite poste in essere dai vertici della
famiglia mafiosa di Monreale e dai loro sodali erano finalizzate al reperimento
di risorse da far confluire nelle casse del mandamento di San Giuseppe Jato,
gestite in prima persona da ALAMIA Antonino.
In
definitiva, l’aspetto più particolare emerso nel corso delle investigazioni è
rappresentato, da un lato, dal potere di rigenerazione che la famiglia mafiosa
di Monreale ha dimostrato al proprio interno e, dall’altro, dal persistente
ricorso alle attività estorsive ai danni di attività commerciali per garantire
il sostentamento della consorteria; infatti, sono state documentate richieste
estorsive nei confronti di due imprenditori edili locali costretti a versare
cospicue somme di denaro per ogni nuovo appartamento da loro realizzato, nonché
ad affidare a ditte “gradite” al sodalizio i lavori per la realizzazione
degli impianti elettrici e idraulici negli immobili in costruzione.
È evidente, dunque, come il racket delle estorsioni continui a
costituire per le famiglie mafiose uno strumento di accumulazione illecita di
risorse e, nel contempo, un’attività funzionale al concreto esercizio del potere
per il controllo del territorio secondo la logica dell’intimidazione e della
sopraffazione.
Nessun commento:
Posta un commento