SALVO PALAZZOLO
Testimone di giustizia, è vissuta per ventisette anni
lontano dalla Sicilia “Sono tornata e ora rappresento lo Stato nel regno di
Messina Denaro”
VALDERICE - Per ventisette anni ha vissuto lontano dalla Sicilia. In fuga, sotto
scorta, con una nuova identità e un volto da nascondere. Perché è una testimone
di giustizia. «Ma adesso, sono tornata. E ci metto la faccia — dice Piera Aiello,
neo deputata eletta con il Movimento 5Stelle — Rappresento lo Stato nella terra
del superlatitante Matteo Messina Denaro». Un ritorno non facile, la provincia
di Trapani è ancora terra di una mafia forte, infiltrata nella politica e
nell’economia. Lei ha fatto una campagna elettorale tutta a volto coperto. «Mi
hanno dato 78mila voti nel collegio di Marsala, non me li aspettavo davvero»,
sorride. «È venuto il momento di svelarsi».
Piera è tornata lì dove aveva iniziato la sua nuova vita, una notte del 1991.
La caserma dei carabinieri di Marsala, dove l’allora procuratore Paolo
Borsellino l’aveva fatta nascondere. Avevano ammazzato il marito a Piera
Aiello, un marito imposto, il figlio di un mafioso di Partanna. Subito dopo il
delitto, lei decise di raccontare tutto alla magistratura. Convinse anche la
cognata, Rita Atria, a seguirla in quella fuga per la giustizia.
«Misi a verbale decine di nomi e tanti episodi a cui avevo assistito —
ricorda — Alcuni nomi sono ancora oggi di grande attualità, arrivarono pesanti
condanne». In quella caserma di Marsala — oggi intitolata al maresciallo
Silvio Mirarchi, ucciso due anni fa in un’operazione antidroga — Piera ha
ritrovato i suoi “angeli”: «Sono i carabinieri che mi scortavano e quelli che
facevano le indagini, sono gli amici con cui ho condiviso un pezzo importante
della mia vita. Sono sempre rimasti in questa terra così difficile. E se ora
sono nuovamente con loro, a volto scoperto, è per sostenerli».
A Marsala, Piera ha ritrovato anche la magistrata che in quei giorni
convulsi del 1991 raccolse le sue dichiarazioni, Alessandra Camassa, all’epoca
era una delle giovani pm della procura di Paolo Borsellino. «Oggi è il
presidente del tribunale — dice Piera Aiello — quando ci siamo riviste, ci
siamo abbracciate, commosse. Le ho detto: «Adesso, tutte e due rappresentiamo
lo Stato in questo pezzo di Sicilia. Una grande responsabilità».
Innanzitutto, perché non è possibile che un criminale come Matteo Messina
Denaro, condannato per le stragi, resti ancora in libertà, sostenuto da
insospettabili complici».
Anche per questo Piera ha deciso di mostrare il suo volto.
«Perché sia chiaro chi è lo Stato.
Messina Denaro, piuttosto, deve nascondersi. Ma che vita fai? E che vita
costringi a fare ai tuoi familiari?».
Nel viaggio di ritorno in Sicilia, i ricordi si affastellano. Piera ripensa
agli ultimi giorni dello «zio Paolo», come lo chiama, Paolo Borsellino. «Da
quando avevano ucciso il suo amico Giovanni, non sorrideva più — racconta —
Però una settimana prima di morire, mi telefonò in caserma, disse: “Il
ristorante è ancora aperto?”. Ogni tanto a lui e ai miei angeli cucinavo
qualcosa. “Il ristorante è ancora aperto?”: mi sembra di sentirla ancora quella
voce. Ma era preoccupato, fu l’ultima volta che parlammo».
Ora Piera Aiello passeggia assieme al comandante generale dell’Arma,
Giovanni Nistri, e al comandante provinciale di Trapani, Stefano Russo, nella
piazza principale di Valderice. Fra poco inizierà un’iniziativa in ricordo di
tre vittime della mafia: il capitano Mario D’Aleo, l’appuntato Giuseppe
Bommarito e il carabiniere Pietro Morici, uccisi trentacinque anni fa. Dice
Piera: «Nel mio viaggio di ritorno in Sicilia, a volto scoperto, voglio
raccontare nuovamente tante storie di cui nessuno più si ricorda. Storie che
magari i ragazzi neanche conoscono». Il nuovo viaggio di Piera è appena
iniziato.
La Repubblica Palermo, 14 giugno 2018
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