Per i due ministri è necessario rivedere la norma introdotta nella scorsa
legislatura. Il vice-premier: "Complica, non semplifica". Flai-Cgil:
"Non è persecutoria, leggano la parte preventiva". Il sociologo
Omizzolo: "Ha avuto il merito di far venire alla luce molte situazioni
sommerse". Le novità: inasprimento degli strumenti penali, prevista la
confisca dei beni e l’arresto in flagranza anche ai datori di lavoro
Secondo il ministro per le Politiche agricole, il leghista Gian Marco Centinaio “la legge sul caporalato va decisamente cambiata”. Una posizione espressa anche dal ministro dell’Interno Matteo Salvini che, del testo entrato in vigore il 3 novembre 2016, ha detto: “Invece di semplificare complica”. Ma quali effetti ha prodotto la legge sul caporalato? La segretaria generale Flai Cgil Ivana Galli, dopo le dichiarazioni di Centinaio, ha invitato il ministro a leggere la legge 199 senza pregiudizi, definendola una norma “non persecutoria” e sottolineando che va però applicata non solo sotto il profilo della repressione del fenomeno, ma anche per quanto riguarda “la parte preventiva, che parla di misure su collocamento e trasporti”.
Aspetti che oggi
rappresentano la forza di caporali e imprenditori
disonesti che proprio a loro si rivolgono. La pensa così anche Marco
Omizzolo, sociologo della cooperativa ‘In Migrazione’, che ha denunciato lo sfruttamento
dei migranti nei campi e per questo è stato più volte vittima di intimidazioni.
“Cambiare totalmente la legge – ha detto a ilfattoquotidiano.it –
significherebbe tornare a una situazione come quella che c’era prima del 2016,
quando il padrone pagava un euro e 50 centesimi per 14 ore di lavoro al giorno,
riducendo in schiavitù chi non aveva strumenti per ribellarsi.
Questa legge ha avuto il merito di far venire alla luce molte situazioni
sommerse”.Secondo il ministro per le Politiche agricole, il leghista Gian Marco Centinaio “la legge sul caporalato va decisamente cambiata”. Una posizione espressa anche dal ministro dell’Interno Matteo Salvini che, del testo entrato in vigore il 3 novembre 2016, ha detto: “Invece di semplificare complica”. Ma quali effetti ha prodotto la legge sul caporalato? La segretaria generale Flai Cgil Ivana Galli, dopo le dichiarazioni di Centinaio, ha invitato il ministro a leggere la legge 199 senza pregiudizi, definendola una norma “non persecutoria” e sottolineando che va però applicata non solo sotto il profilo della repressione del fenomeno, ma anche per quanto riguarda “la parte preventiva, che parla di misure su collocamento e trasporti”.
LE PAROLE DEL MINISTRO – Secondo il ministro la legge 199
ha delle lacune. “Vogliamo capire – ha dichiarato – i punti di
debolezza e modificarli il prima possibile”. Per Centinaio la prova
che il testo approvato nella scorsa legislatura non funziona è che “le bidonville sono
rimaste e i caporali continuano a sfruttare le persone. Credo – ha aggiunto –
che si debba aprire una riflessione con le associazioni dei produttori per
capire che cosa non va e che cosa c’è da cambiare”.
LE NOVITÀ INTRODOTTE DALLA LEGGE – La legge Martina-Orlando è stata
approvata il 18 ottobre 2016 in via definitiva con 336 voti a favore, nessuno
contrario e 25 astenuti(Forza Italia e Lega). Le novità?
In primis l’inasprimento degli strumenti penali, con la previsione della confisca
dei beni(esattamente come per le organizzazioni criminali mafiose) e dell’arresto
in flagranza non solo ai caporali, ma anche ai datori di
lavoro consapevoli dell’origine dello sfruttamento. Sono previsti fino
a 6 anni di carcere che possono diventare 8 in caso di
violenza o minaccia e multe da 500 a mille euro per ciascun lavoratore
reclutato. Il Codice penale del 2011 indicava alcuni elementi specifici che
stabilivano lo sfruttamento, come la presenza di violenze, minacce
o intimidazioni, oggi non più necessari perché si configuri il
reato. La nuova legge prevede, inoltre, il controllo giudiziario sull’azienda
con l’obiettivo di non interrompere l’attività agricola. Per la prima volta,
inoltre, sono state estese le finalità del Fondo antitratta anche
alle vittime di caporalato. La legge ha previsto anche il rafforzamento della
rete del lavoro agricolo di qualità e il coinvolgimento delle amministrazioni
statali nella vigilanza e nella tutela delle condizioni di
lavoro nel settore agricolo. Oggi, fra le altre cose, la Flai Cgil chiede
proprio di “valorizzare le sperimentazioni in atto con l’istituzione delle
sezioni territoriali della rete del lavoro agricolo di qualità”
LA LEGGE FRA SOSTENITORI E DETRATTORI –“All’approvazione della legge – ricorda
Marco Omizzolo – si è arrivati anche grazie alla spinta di alcuni episodi di
cronaca, come lo sciopero che a Latina ha portò in piazza circa 4mila braccianti
indiani per protestare contro lo sfruttamento del loro lavoro nei
campi e la morte di Paola Clemente,
bracciante agricola di 49 anni di San Giorgio Jonico (Taranto), avvenuta il 13
luglio 2015”. Fu colpita da un malore dopo due ore di lavoro sotto
un tendone rovente, a separare i chicchi più piccoli dai grappoli d’uva.
L’iter si accelerò e si arrivò all’approvazione. “Lo Stato risponde in
maniera netta e unita contro il caporalato con questa nuova legge attesa da
almeno cinque anni”, dichiarò l’allora ministro dem Martina. La Lega si
astenne ed è sempre stata molto critica con il testo, tanto che quando a
dicembre 2017 Matteo Salvini ha fatto visita a Castel Volturno (Caserta)
a caccia di caporali, via Twitter è arrivata la frecciatina dell’allora
vicesegretario del Pd Martina: “Salvini si è però dimenticato di spiegare
perché la Lega non ha votato la legge contro il caporalato”. Il Movimento
5 Stelle, invece, ha sempre collaborato per arrivare a quell’approvazione.
Tuttavia, i deputati del M5S delle Commissioni Giustizia e Lavoro hanno da
subito definito il provvedimento “il primo passo di un lungo percorso”
sottolineando “i tanti aspetti che andavano potenziati, dai
trasporti per raggiungere il luogo di lavoro in mano ai caporali agli alloggi
dignitosi”. Insomma, che la questione fosse tutt’altro che chiusa era
facilmente intuibile.
GLI EFFETTI DELLA LEGGE – Ma quali sono stati, allora, gli effetti
della legge? È uscito a febbraio 2018 il rapporto annuale
dell’attività di vigilanza in materia di lavoro e legislazione sociale dell’Ispettorato
nazionale del lavoro. I dati emersi nel dossier si prestano a una prima
significativa analisi sugli effetti dell’entrata in vigore della legge 199/16 e
del protocollo “Cura legalità uscita dal ghetto” dello stesso anno: nelle
ispezioni effettuate nel 2017 sono stati individuati 5.222 lavoratori
irregolari, di cui 3.549 in nero, con un tasso d’irregolarità del 50%.
L’attività di polizia giudiziaria, inoltre, ha permesso di individuare 387
lavoratorivittime di sfruttamento in agricoltura. Sono stati emessi 360
provvedimenti di sospensione di attività imprenditoriali, 312 dei
quali sono stati revocati a seguito di regolarizzazione. Come sottolineato
dalla segretaria generale della Flai Cgil Ivana Galli questo dimostra che la
legge, “oltre all’azione repressiva, ha anche favorito percorsi di
regolarizzazione”. Un’analisi condivisa da Omizzolo: “La legge viene applicata
eccome e in provincia di Latina c’è la maggiore percentuale di arresti tra
caporali e datori di lavoro. La norma funziona dove c’è collegamento tra gli
operatori del territorio”. Diversi i casi anche in Sicilia: “Nei
giorni scorsi sono stati salvati sia italiani che migranti: condividevano
la stanza con maiali e pecore. L’ultimo caso, sempre in Sicilia,
riguarda braccianti pagati 3 euro l’ora e tenuti a pane e acqua”. Ma
questi casi sono emersi solo grazie alla legge? “Intanto il legislatore ha
capito che c’è un rapporto tra caporale e datore di lavoro – spiega il
sociologo – e poi il testo prevede il sequestro e la confisca, quindi viene
nominato un curatore giudiziario che amministra il bene che quel datore di
lavoro non è capace di gestire in modo legale”. L’effetto? Le regolarizzazioni
come strada obbligata. Non solo. “Prima della legge – aggiunge – per me era
impossibile aprire un tavolo di concertazione con il datore di
lavoro, mentre oggi lo facciamo perché abbiamo uno strumento forte in mano”.
COSA C’È DA FARE – Quali sono le cose migliorabili? “Ha ragione il
sindacato: l’aspetto preventivo, perché dobbiamo fare in modo che il lavoratore
non entri proprio nel giro dello sfruttamento. Devono lavorare meglio gli uffici
di collocamento, gli ispettori del lavoro sono troppo pochi e bisogna
attuare la riforma della grande distribuzione organizzata per liberare
produttori e lavoratori dal gioco del prezzo imposto”. Poi ci sono i mercati.
“Serve una grande riforma dei mercati ortofrutticoli – spiega
Omizzolo – perché dal mercato Fondi a Latina, fino a quello
di Vittoria in Sicilia e a quello di Milano c’è
da fare un lavoro di trasparenza, mentre oggi hanno una gestione opaca e,
in alcuni casi, la presenza delle mafie è rilevante”. L’ultimo
rapporto dell’Osservatorio Placido Rizzotto di Flai Cgil, risalente
a due anni fa, parla di 450mila persone all’anno, solo nel settore agricolo,
che vivono in condizioni di sfruttamento lavorativo e disagio abitativo. Di
queste 100mila in condizioni di schiavitù. “L’80 per cento è rappresentato da
stranieri – conclude Omizzolo – ma gli altri 20mila, vorrei dire a Salvini –
sono cittadini italiani”.
Il Fatto Quotidiano, 15 giugno 2018
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