di Marco
Marzano
Vittorio
Bellavite, il coordinatore nazionale di Noi Siamo Chiesa, una delle principali
organizzazioni del progressismo cattolico, ha pubblicato una lunga nota critica
a proposito dell’ultimo numero di MicroMega dedicato al
Vaticano e alla “falsa rivoluzione” di Francesco. Bellavite imputa a Micromega,
e in particolare al sottoscritto, di nutrire uno “sterile pregiudizio
ideologico” nei confronti del pontefice romano e dell’organizzazione che lui
dirige.
In verità, Bellavite non nega la validità di moltissime delle argomentazioni avanzate nel numero della rivista da lui messo sotto accusa. Non nega ad esempio, il coordinatore di Noi Siamo Chiesa, che la tanto attesa riforma della curia che avrebbe dovuto dar vita alla chiesa sinodale e rilanciare il potere delle periferie ecclesiali si sia rivelata un clamoroso flop, così come non nega che il presunto rivoluzionario argentino non abbia fatto nulla per mutare il carattere maschilista e clericale della Chiesa Cattolica o che la sua “tolleranza zero” nei confronti della pedofilia si sia rivelata poco più di un vuoto bla bla. Non contesta tutto questo Bellavite. E del resto come potrebbe? Il clamoroso fallimento di tutte le ambizioni riformatrici di Bergoglio è semplicemente incontestabile, è un dato empirico oggettivo sotto gli occhi di tutti, anche se nessuno lo dice mai esplicitamente. Per questo motivo, Bellavite dovrebbe se non altro riconoscere a Micromega di aver avuto il coraggio di compiere un’opera di parresia, di aver affermato una verità scomoda da pronunciare nel clima ottuso da “culto della personalità” costruito intorno a Bergoglio. In definitiva, in questo, e non certo in un pregiudizio ideologico verso il papa, consiste la laicità illuminista della rivista: nel continuare ad usare imperterriti la ragione e la scienza quando tutti intorno ricorrono solo alla retorica mielosa e alla propaganda più o meno interessata.
In altre parole, se il papa inserisce qui e là nei suoi discorsi qualche accenno in più alla condizione dei poveri questo non significa che sia un uomo di sinistra (parlano di poveri anche i fascisti o i peronisti di destra), né soprattutto che la Chiesa stia davvero agendo in modo diverso verso il proletariato, che ad esempio i gerarchi abbiano iniziato a pensare di rinunciare a parte del loro immenso patrimonio mobiliare e immobiliare o che abbiano deciso di interrompere i tanti ottimi rapporti con i dittatori del Terzo Mondo e i leader populisti del Primo o che invitino le masse diseredate alla lotta di classe e alla mobilitazione sindacale. La stragrande maggioranza delle parole pronunciate dal papa, dai gerarchi e dal clero sono semplicemente del tutto prive di conseguenze concrete, come dovrebbe sapere un uomo maturo come Vittorio Bellavite. Immaginare che i regimi politici cambino perché chi li guida innova un po’ il linguaggio della propaganda equivale davvero a vivere nel mondo dei sogni, dove basta chiudere gli occhi perché gli orrori scompaiano e la virtù trionfi. Un’ingenuità analoga porta Bellavite a credere che l’amore per Francesco sia un prodotto spontaneo dei sentimenti del popolo, che i media si limiterebbero a riflettere ed amplificare. Come se la nauseabonda e quotidiana esaltazione populistica del leader "che ama il suo popolo" perché indossa i mocassini usati o si mette in coda col vassoio nella mensa vaticana non fosse parte di una realtà mediatica ormai analoga, nei toni, a quella delle peggiori dittature, dove scompaiono il senso critico e l’indipendenza dell'informazione.
Quel che in
realtà a Bellavite e a molta parte della sinistra ecclesiale sembra sfuggire, o
che forse non vogliono ammettere, è che papa Francesco, contrariamente a tutte
le ingiustificate aspettative alimentate dal roboante avvio del suo
pontificato, non è, come del resto i suoi predecessori, né di destra né di
sinistra, ma è semplicemente il capo dei cattolici, il principale custode
dell’istituzione e il protettore numero uno degli interessi della sua classe
dirigente. Questo è del resto da sempre il compito di un papa: tutelare i
principi immutabili sui quali l’organizzazione del cattolicesimo si è
costituita nel tempo, difenderne il carattere autoritario e monarchico, il
maschilismo radicale e la superiorità della casta sacerdotale rispetto alla massa
dei fedeli. Francesco si sta dimostrando pienamente all’altezza del compito,
anche in virtù della sua capacità di eliminare ogni traccia di vera opposizione
dentro l’organizzazione e di riassorbire, a destra come a sinistra, quelle
frange dissidenti che furono così fastidiose per chi lo ha preceduto sul soglio
di Pietro. Il plauso entusiastico di quel poco che rimane della vecchia
sinistra ecclesiale è una delle ricompense più belle per il sacerdote militante
in gioventù nella peronista Guardia di ferro, il segnale che la belva
aggressiva e sinistrorsa di un tempo è diventato oggi un tenero agnellino
smarrito, pronto a rientrare a capo chino e senza condizioni nel vecchio ovile
clericale da cui era uscito tanti anni fa. Non si capisce perché noi altri dovremmo
seguirlo.
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