L'intervento di Sonia Grechi, nipote di Cangialosi |
PUBBLICHIAMO L'INTERVENTO FATTO DA SONIA GRECHI, NIPOTE DI CALOGERO CANGIALOSI, DURANTE LA CERIMONIA DI INTITOLAZIONE DEL SALONE DELLA CGIL DI GROSSETO AL NONNO
di SONIA GRECHI
nipote di Calogero Cangialosi
Grazie per
condividere con la nostra Camera del lavoro questa giornata così speciale, dedicata
alla memoria di mio nonno... Calogero Cangialosi. Ringrazio con
orgoglio di appartenenza tutta la camera del lavoro di Grosseto e in particolare
il segretario generale Claudio Renzetti, il segretario organizzativo Andrea
Ferretti per aver condiviso con me da almeno sei anni la storia di mio nonno. Rivolgo gratitudine
ai compagni della camera del lavoro di Palermo e Camporeale, in particolare al
segretario generale Enzo Campo e al responsabile della legalità Dino
Paternostro, con i quali ho instaurato un legame di profonda amicizia e
naturalmente appartenenza alla stessa famiglia della CGIL.
Ringrazio
infinitamente Il Liceo Musicale del Polo Bianciardi con i suoi allievi
coordinati dalla loro insegnante..la prof.ssa Gloria Mazzi, il Liceo Rosmini
con il suo laboratorio teatrale e l’ insegnante prof. Fabio Cicaloni, per aver
contribuito a rendere così speciale la giornata odierna.
Il 4 maggio rimarrà una
data storica nella nostra città, perché finalmente
dopo 70 lunghi anni dalla sua tragica scomparsa, oggi ne ricordiamo la sua
straordinaria figura, e non solo…. perché a breve questo salone prenderà il
suo nome, e credetemi.. non riesco a trovare le parole per descrivere quello
che per me ciò rappresenta.
Il salone conferenze
non è semplicemente un luogo fisico, ma è il centro dell’attività sindacale, il
fulcro nevralgico dove il sindacato si apre all’esterno e guarda dentro se
stesso. Insomma, un luogo di vita, che appartiene a tutti, ad ogni cittadino.
Ecco perché avere questa sala dedicata a lui assume ancora più valore di una
anonima via cittadina, luogo di confronto e dibattito e dove si svolge la
nostra attività. Ed ogni giorno che passa il suo ricordo ci accompagnerà, ci
sarà vicino, ci servirà da esempio.
Nonno Calogero ha
sacrificato la sua esistenza e condizionato quella delle persone a lui vicine
per un ideale, per la giustizia, per creare quelle condizioni di democrazia che
sono la base di una società moderna ed emancipata dal sopruso e dello
sfruttamento.
Aveva solo 41 anni,
una moglie che lo adorava e quattro splendidi figli, di cui la più piccola,
Vita, mia mamma, aveva solo due mesi. Insomma, una intera esistenza da vivere
felice con loro.
Era il 1948. Il
nostro Paese dopo il conflitto mondiale, tentava di rialzarsi e la Costituzione
era stata appena varata. “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro,
recita l’articolo 1. Già, ma quale lavoro? Non certo quello sottopagato dai
latifondisti ai contadini siciliani, sfruttati, ridotti alla condizione di
minima sussistenza, ostaggio della povertà e con la dignità di uomini
calpestata dal profitto e dell’interesse.
Anche il semplice
tabacco, per concedersi lo svago di una sigaretta, era un lusso. Mio nonno di
tutto ciò ne era consapevole. Sovente si
faceva consegnare del denaro dalla nonna e con questo comprava le preziose sigarette
donandole a chi era meno fortunato di lui. Troppi lo erano. E lui, segretario
del PSI e di Federterra, oltre che della Camera del Lavoro di Camporeale, se ne
era reso conto e sopratutto non voleva che i suoi figli vivessero in questa
condizione. Per questo si era impegnato in prima persona, ed essendo uomo di
grande intelligenza e spessore voleva cambiare lo stato delle cose. Del resto
le norme esistevano, solo che non erano rispettate.
C’erano i decreti
Gullo con cui si stravolgeva il concetto del lavoro riconoscendo ai contadini
il 60% del raccolto. Una svolta epocale questa che avrebbe permesso di smarcare
dalla povertà una ampia fetta di popolazione, restituendole la dignità perduta.
Lo scontro con don Serafino Sciortino, il latifondista di Camporeale di cui lui
era mezzadro, fu violento.
Sciortino non avrebbe
mai permesso quanto i decreti indicavano. Per questo propose a nonno Calogero
una “buonuscita”; un biglietto di sola andata per gli Stati Uniti d’America per
lui e la sua famiglia, accompagnato da un bonus. Ma la proposta venne
fermamente respinta.
Nonno Calogero
continuò nel suo intendimento.
Pochi giorni prima,
il 10 marzo, il suo compagno e amico
Placido Rizzotto, era scomparso per mano del capomafia di Corleone ed il
suo corpo fatto sparire. Anche quella morte non lo intimidì. Anzi.
Don Serafino tentò un’ultima
carta per convincerlo; il 28 marzo lo invitò a casa sua per un ragionamento, ma
il capomafia Vanni Sacco con i suoi picciotti lo sequestrarono, con l’intenzione
di ucciderlo. L’intento non fu portato a termine perché i compagni della Camera
del Lavoro e i contadini, dopo aver scoperto dove era tenuto prigioniero, con
un commando armato di lupare, coraggiosamente lo liberarono.
Nonno Calogero,
indomito, continuò nella sua lotta, con la consapevolezza che ormai il suo
destino era segnato. Nemmeno il grande, immenso amore per la sua famiglia, lo avrebbero
distolto dal perseguimento dei propri ideali. La sete di giustizia e di libertà
era talmente grande che nulla e nessuno l’avrebbe potuta soddisfare, neppure la
vista dei suoi figli ai quali soleva rimboccare le coperte quando rientrava a
casa dopo una giornata di lavoro e di lotta politica.
Così quella sera del
primo aprile, la piazza di Camporeale era piena di contadini che discutevano
per le imminenti elezioni politiche del 18 aprile. Alla camera del lavoro
quella sera si era fatto tardi per parlare di tutto questo. Nonno Calogero
salutò i presenti per tornare a casa, accompagnato da Vito di Salvo, Vincenzo
Liotta, Giacomo Calandra e Calogero Natoli. I compagni garantivano
la scorta al loro dirigente sindacale nel mirino della mafia.
Tutti e cinque
uscirono dalla sede sindacale, che si trovava in piazza, e si avviarono verso
via Perosi dove abitava. Erano quasi arrivati, quando dalla parte alta di via
Minghetti, che faceva angolo con via Perosi, si udì un crepitare di mitra.
Decine di colpi, sparati in rapida successione ad altezza d’uomo, si
abbatterono sull’intero gruppo. Colpito alla testa e al petto, nonno Calogero
cadde a terra, morendo all’istante. Anche Liotta e Di Salvo furono colpiti e
feriti gravemente. Miracolosamente illesi rimasero invece Calandra e Natoli. Il
corpo del nonno fu portato nella casa del suocero. Passarono ben quattro giorni
prima che un giudice di Alcamo si degnasse di mettere piede in paese.
Ai funerali
parteciparono tutti i contadini di Camporeale e dei comuni del circondario. In
mezzo a loro e accanto ai familiari anche il segretario nazionale del Partito Socialista
Italiano, Pietro Nenni, venuto personalmente a Camporeale, per onorare il suo
compagno di partito.
Per quell’omicidio
non ci fu mai giustizia. Non fu imbastito nemmeno un processo, nonostante tutti
sapessero che a dare l’ordine di morte era stato il proprietario terriero don Serafino
Sciortino, mentre a sparare ci avevano pensato il capomafia Vanni Sacco e i
suoi picciotti. Si procedette contro ignoti che tali rimasero per sempre.
Questa è la storia di
Calogero Cangialosi. Questo era nonno Calogero, il cui esempio deve essere oggi
patrimonio di tutti.
E se i colpevoli e i
mandanti, la giustizia degli uomini non potrà condannare,
nutro la speranza che la memoria non scolori e anzi rifulga di luce propria
rendendo immortale quel gesto compiuto, non da un eroe ma da una persona
semplice come tanti altri e per tale ragione unica, che ha sacrificato la sua
vita e condizionato quella di altri per le sue idee di libertà e
giustizia, ideali che sono oggi e saranno domani alla base di una società emancipata
ed evoluta, in cui l’essere umano torni ad esserne il centro.
Sonia Grechi
figlia di Vita e nipote di Calogero Cangialosi
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