Salvatore Carnevale |
Il
16 maggio 1955, la mafia uccide Salvatore Carnevale, socialista, sindacalista
della CGIL, fondatore e segretario della Camera del lavoro di Sciara (Palermo).
A poco meno di due mesi dall’omicidio, il 7 luglio 1955, Giuseppe Di Vittorio,
segretario generale della CGIL, scrive a Francesca Serio in Carnevale, mamma di
Salvatore. Recita la lettera conservata nei locali dell’Archivio storico CGIL
nazionale e ad oggi ancora inedita:“Cara
compagna, scusami innanzi tutto se non ti ho scritto prima d’ora. La Segreteria
confederale ha esaminato la particolare situazione economica della tua famiglia
causata dalla morte del caro ed eroico compagno Salvatore Carnevale,
assassinato dalla mafia perché difensore accanito e fedele della causa
dell’emancipazione del lavoro.
Mentre
ti rinnovo le condoglianze più fraterne per la insostituibile perdita del tuo
caro figlio, la cui morte sarà di fulgido esempio per tutti i lavoratori
siciliani e di tutta Italia, ti invio la somma di lire 100.000 come aiuto della
CGIL, per portare un po’ di sollievo alle tue necessità.
Fatti
forte cara compagna Francesca e sii certa che il sacrificio di tuo figlio non
resterà senza frutto. La marcia dei lavoratori verso un avvenire di pace, di
benessere, di maggiore tranquillità per tutti, è continua. Verrà il giorno in
cui gli ideali di tuo figlio, che sono gli ideali di tutti i lavoratori del
mondo, saranno realizzati.
Il
segretario generale Giuseppe Di Vittorio”.
La
vicenda relativa all’omicidio di Salvatore Carnevale è particolarmente
interessante perché, tra l’altro, vede protagonisti due futuri presidenti della
Repubblica: Sandro Pertini sarà a fianco di Francesca Serio per tutta la durata
del processo; mentre nel collegio di difesa degli imputati (Giorgio Panzeca,
Antonio Mangiafridda, Luigi Tardibuono e Giovanni di Bella, condannati
all’ergastolo in primo grado ed assolti in appello e in Cassazione per
insufficienza di prove) compare (in Cassazione) un altro futuro presidente
della Repubblica, l’avvocato Giovanni Leone.
Tra
l’altro la rappresentanza degli interessi di mamma Carnevale è fatta propria
dal Comitato di solidarietà democratica, movimento attivo nello scenario
politico italiano nato a seguito dell’attentato a Togliatti, fondato da Umberto
Terracini con l’intento di difendere le libertà democratiche e di fornire
assistenza legale e sostegno materiale agli arrestati per motivi politici e
alle loro famiglie, con particolare riferimento agli ex – partigiani attivi
durante la Resistenza accusati nell’immediato dopoguerra di atti di violenza
sommaria nei confronti di fascisti e avversari politici (tra gli avvocati
protagonisti del procedimento Carnevale compare Lelio Basso).
Ovviamente
l’assassinio di Salvatore Carnevale suscita, oltre la citata lettera di Di
Vittorio (purtroppo sono lacunosi i verbali di Segreteria per quel periodo) una
reazione immediata della CGIL guidata da Pio La Torre a livello provinciale e
da Emanuele Macaluso a livello regionale («Di Turiddu ho un ricordo vivissimo –
dirà nel 2013 – veniva alle riunioni, partecipava attivamente alle nostre
iniziative. Era una persona determinata come tanti capilega di allora, un
combattente dedito agli ideali di giustizia per rendere più umane le condizioni
di vita nelle campagne. A Sciara ricorderò lui e gli altri sindacalisti, oltre
quaranta, uccisi dalla mafia in Sicilia in quegli anni. Uomini coraggiosi a cui
dobbiamo tanto»).
Lo
stesso Carlo Levi gli dedica meravigliose pagine del suo libro Le
parole sono pietre e per lui Ignazio Buttitta compone una ballata poi
recitata dai cantastorie in tutte le piazze d’Italia.
Nel
1962 viene prodotto il film Un uomo da bruciare, primo film diretto da
Valentino Orsini insieme ai fratelli Taviani, liberamente ispirato alla vita di
Salvatore Carnevale (interpretato da Gian Maria Volonté).
In
proposito è reperibile in rete un interessante ricordo di Goffredo Fofi: “Ho
conosciuto Vittorio De Seta a Partinico, provincia di Palermo, nella lontana
estate del 1956 quando avevo 19 anni. Ero sceso a lavorare nel gruppo di Danilo
Dolci, e De Seta era venuto a cercarlo per parlare con lui del suo progetto di
film – avrebbe dovuto essere il suo esordio nel lungometraggio – sul
sindacalista Salvatore Carnevale di Sciara, ucciso pochi anni prima dalla
mafia. Di Carnevale avevo conosciuto la madre, accompagnando un giorno a
Sciara, con Dolci, Ignazio Buttitta e Ciccio Busacca, autore il primo ed
esecutore il secondo di una ballata sulla tragica morte del giovane
sindacalista. Ero un accanito cinefilo, e anche se a Partinico di andare al
cinema non se ne parlava, continuavo a procurarmi “Cinema nuovo” e avevo visto
qualche documentario di De Seta e letto della sua opera. Fu il primo regista
che conobbi, e anche per questo i miei ricordi sono molto vivi. De Seta era un
giovane naturalmente elegante, di nobili origini calabro-sicule, molto diverso
dagli intellettuali palermitani di sinistra che avevo cominciato a conoscere e
frequentare. Lasciò a Dolci una copia della sua sceneggiatura su Carnevale, di
cui io mi appropriai prima che Dolci, come allora faceva, la buttasse assieme
alla corrispondenza dei mesi appena passati, di cui riuscii a salvare per un
certo tempo, una lunghissima lettera di Pasolini a Dolci (che gli aveva chiesto
di raggiungerlo in Sicilia) e una breve lettera di Giuseppe Di Vittorio
indirizzata proprio a me. Molti anni dopo, De Seta a cui ricordai quel primo
incontro, mi chiese di ritrovargli quel copione, di cui non aveva conservato la
copia, ma ovviamente era andato perso in uno dei miei tanti spostamenti da una
regione all’altra del paese. Il film su Carnevale finirono per farlo, a modo
loro, Orsini e i fratelli Taviani con un giovanissimo Volontè protagonista (Un
uomo da bruciare)”.
Ilaria
Romeo è responsabile dell’archivio della Cgil
26 ottobre 2017
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