sabato, maggio 26, 2018

Liggio a Catania nel 1970 voleva ammazzare il questore Mangano e il giornalista Fava

Luciano Liggio
CARMELO CARBONE
Quando Liggio nel 1970 era latitante nei pressi di Catania e si era attivato per uccidere il questore Angelo Mangano ed il giornalista Giuseppe Fava.
La nuova “reggenza” di cosa nostra nel palermitano, siamo nel 1970, era composta da Gaetano Badalamenti, Luciano Liggio e Stefano Bontade. Badalamenti, capo mafia di Cinisi, convocò il
capomafia catanese Pippo Calderone. Lo invitò a Cinisi e durante il pranzo gli disse tra l’altro di avere latitante in loco Liggio, che però non poteva più tenerlo lì, gli chiese se era possibile che se ne occupasse lui. Calderone accettò. A Liggio si procurarono dei documenti falsi ed una casa. La casa era in campagna. In quella casa però, vi rimase pochi giorni. Ecco l’episodio raccontato dal pentito Antonino Calderone:

“Volle andare via perché diceva di avere freddo. Era capriccioso come un bambino. Era pieno di esigenze. Ci fece girare un paio di province per trovargli l’acqua Ferrarelle, altrimenti non beveva. L’acqua del rubinetto, diceva che gli faceva male perché era stato operato alla prostata… Riuscimmo a trovargli una villetta un po’ fuori in collina a San Giovanni La Punta (provincia di Catania n.d.a). Era un posto carino dove si fermò per quasi due anni. A lui si era unito Bernardo Provenzano anch’egli latitante. In paese si presentavano come due commercianti di carni”.


Angelo Mangano
Antonino Calderone racconta anche un curioso aneddoto. La villetta aveva un terrazzino che dava sul lato interno dove non c’erano costruzioni finite. Un bel giorno, Liggio si spogliò nudo e si mise al sole, pensando che nessuno lo vedesse, ma ad una certa distanza c’era un palazzo in costruzione, ormai quasi ultimato. Poiché l’appaltatore doveva vendere gli appartamenti, si trovava spesso ad accompagnare dei possibili compratori che volevano visitarli e quando i clienti vedevano quest’uomo nudo sul terrazzo, si impressionavano e non compravano. Il costruttore infine andò dal maresciallo dei carabinieri a protestare per la presenza di quell’uomo nudo che non gli faceva vendere le case. Successe allora che i carabinieri andarono a bussare alla porta della villetta di Liggio, lui li vide arrivare era con i pantaloncini. Suonarono il campanello, era da solo in casa, Liggio aprì la porta, i carabinieri gli dissero che c’era il maresciallo in caserma che voleva parlargli, 
Liggio gli disse che per il momento non era possibile in quanto aspettava il medico che doveva togliergli il catetere, si abbassò i pantaloncini e fece vedere. I carabinieri gli dissero che si sarebbe potuto presentare con tranquillità nel pomeriggio. Si vestì scese in strada e da una cabina telefonica telefonò a Pippo Calderone, al quale senza dare spiegazioni chiese di recarsi da lui, non a casa, ma alla fermata dell’autobus. Non appena giunto gli raccontò l’accaduto, i due rimasero perplessi, non riuscivano a capire il perché di quella visita, era però evidente che gli agenti non nutrissero alcun sospetto circa la reale identità di Liggio. Dopo un lungo conciliabolo, Liggio decise che quel pomeriggio si sarebbe presentato presso la locale stazione dei carabinieri. Nel frattempo arrivò col treno da Palermo Bernardo Provenzano, gli fu riferito l’episodio. Provenzano disse che sarebbe andato lui dai carabinieri, adducendo come scusa, il fatto che l’uomo che si sarebbe dovuto presentare stava male. Bernardo Provenzano, venne accompagnato in auto nei pressi della piazza centrale nelle cui vicinanze c’era la caserma. Liggio rimase in auto“, era nervoso e bestemmiava”, racconta il pentito Antonino Calderone. Provenzano usci dalla caserma, raggiunse l’auto e salì a bordo. Tutto era andato per il meglio. Una volta salito in auto, riferì, che il motivo della convocazione di Liggio da parte del maresciallo dei carabinieri, era la sua nudità sul terrazzino della villetta non passata inosservata, al che Liggio esclamò: “Chi è questo cornuto che dice che io mi metto nudo?”, e Provenzano: “Ho detto al maresciallo che sei stato male che sei stato operato ed hai bisogno di sole. Lui mi ha risposto che capisce, che si rende conto che noi siamo qui in convalescenza e che basta che ti metti un costume da bagno, che stai in abiti succinti e che tutto finisce lì”.
Pippo Fava
Nell’agosto del 1970 Liggio ormai si era perfettamente ambientato, aveva stretto una “insana amicizia” con un certo Nino “cori granni”, (letteralmente “cuore grande”, generoso), Liggio gradiva molto la compagnia di questo giovane, di cui diceva: “parla poco e fa i fatti”. “Cori granni” ricambiava l’alta considerazione andandolo a trovare spesso presso l’abitazione di San Giovanni La Punta. “Cori granni”, fu fidato compagno di spedizione di Liggio, nella ricerca dell’allora vice questore Mangano. Liggio era a conoscenza che Mangano era originario di Riposto, un paese costiero della zona jonico - etnea a circa 25 chilometri a nord di Catania. Il mafioso era sicuro che Mangano facesse i bagni da quelle parti. Tutte le mattine e per l’intero mese di agosto a bordo di una “Fiat 500”, armati di pistola e coltello, Liggio e “cori granni” si recarono alla ricerca di Mangano, “niente di meglio che ammazzarlo ora”, diceva Liggio e mimando col coltello, l’atto di affondarlo sul corpo di Mangano, ripeteva: “voglio fare così, così e così ”. Il vice questore Mangano andava veramente da quelle parti a fare i bagni in estate. Ma i due non riuscirono a trovarlo. Liggio nel frattempo chiese informazioni circa le abitudini di un’altra persona. La persona era il giornalista e scrittore Giuseppe Fava, originario di Palazzolo Acreide in provincia di Siracusa ma catanese d’adozione, reo a dire del mafioso di aver messo in ridicolo i suoi occhi in un suo articolo. Siamo riusciti a rintracciare l’articolo in questione, il quale era apparso su un numero del quotidiano catanese “La Sicilia” nel 1966. Ecco il brano incriminato:
“...un giovane dal volto rotondo e molle, la piccola bocca carnosa, gli occhi da orientale; era gracile, leggermente zoppo, con la schiena serrata da un’armatura di gesso e di legno per una deformazione infantile…”. Gli fu detto da Pippo Calderone, che non aveva senso prendersela con un personaggio di quel livello. Alla fine, ne convenne e desistette. Liggio rimase a Catania sino al luglio 1971. Andò via perché nel frattempo era stato arrestato Pippo Calderone, di conseguenza era diventato troppo rischioso rimanere in quella zona.

Dal libro di Carmelo Carbone "ANGELO MANGANO UN POLIZIOTTO SCOMODO" EDIZIONI INDIPENDENTI - 2017
Copyright 2017 Carmelo Carbone

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