L'anatema del Papa contro i mafiosi: "Convertitevi!" |
di ANTONELLA LO CICERO
“La mafia
continua a esistere e a ordire le sue trame mortali, estendendole anzi – ormai
da tempo – oltre la Sicilia, nel resto d’Italia e all’estero, procacciandosi
ovunque connivenze e alleanze, dissimulando la sua presenza in tanti ambienti e
contagiandosi a molti soggetti – sociali e individuali – che apparentemente ne
sembrano immuni, trapiantandosi ovunque nel solco di una pervasiva corruzione”. Lo affermano i vescovi siciliani nella Lettera a 25 anni dall’appello del Papa Giovanni Paolo II ai mafiosi nella Valle deiTempli, ad Agrigento. I vescovi ribadiscono che “la mafia è peccato”, “la mafia è
incompatibile con il Vangelo” e ricordano che quando Giovanni
Paolo II chiese loro di convertirsi la
mafia rispose con gli attentati del luglio 1993, a San Giovanni in Laterano e a
San Giorgio al Velabro, poi il 15 settembre 1993 uccisero padre Pino
Puglisi, parroco nel quartiere Brancaccio,
a Palermo, ora beato.
“Tutti i
mafiosi sono peccatori: quelli con la pistola e quelli che si mimetizzano
tra i cosiddetti colletti bianchi, quelli più o meno noti e quelli
che si nascondono nell’ombra”. E’ quanto si
legge fra l’altro nella Lettera dei vescovi di Sicilia intitolata “Convertitevi!”, a 25
anni dall’appello di San Giovanni Paolo II ai mafiosi nella Valle dei Templi,
ad Agrigento, che oggi viene ricordato con una solenne cerimonia nello stesso
luogo.
All’epoca Giovanni Paolo II gridò a
braccio ai mafiosi “Convertitevi!
Una volta, un giorno, verrà il giudizio di Dio”. Oggi tutta la
Conferenza episcopale siciliana rinnova quell’appello in una lunga e
approfondita lettera, che prende in esame diversi aspetti della mafia, anche in
rapporto alla fede e alla pietà popolare. “Peccato è l’omertà di chi col proprio silenzio finisce per
coprirne i misfatti, così facendosene – consapevolmente o meno – complice
– chiariscono i vescovi siciliani – . Peccato ancor più grave è la mentalità mafiosa,
anche quando si esprime nei gesti quotidiani di prevaricazione e in una
inestinguibile sete di vendetta. Peccato gravissimo è l’azione mafiosa,
sia quando viene personalmente eseguita sia quando viene comandata e delegata a
terzi”.
Allo stesso modo le organizzazioni
mafiose sono “strutture di
peccato”, perché “con i loro intrighi e i loro traffici si rivoltano contro la
volontà divina” e producono “la morte fisica, che le azioni mafiose causano dolorosamente tra gli
esseri umani” e “la morte radicale, che rimarrà – nel momento supremo del
giudizio di Dio – inconciliabile con la vita eterna”. La mafia,
precisano i vescovi, “si
configura non solo come un gravissimo reato, ma anche come un disastroso
deficit culturale e, di conseguenza, come un clamoroso tradimento
della storia siciliana. Più precisamente, come un’anemia spirituale. E, per
questo motivo, anche come un’incrinatura fatale nella virtù religiosa, che
finisce così per risultare depotenziata e travisata”.
La Conferenza episcopale siciliana
sottolinea che “la mafia è un problema che tocca la Chiesa, la sua consistenza
storica e la sua presenza sociale in determinati territori e ambienti, il
vissuto dei suoi membri, di quelli che resistono all’invadenza mafiosa e di
quelli che invece se ne lasciano dominare”. E se negli anni la comunità
ecclesiale ha preso le distanze dal “silenzio”
che prima circondava il fenomeno mafioso, oggi “rischiamo di passare dal silenzio alle sole parole” –
avvertono – magari ripetendo ciò che già dicono altri : “Privo di un suo timbro peculiare, il
discorso ecclesiale riguardante le mafie rischia così di essere più descrittivo
che profetico”.
Sui media “le condanne pubbliche e le scomuniche“, osservano, “hanno eco brevissima” ma ciò
che li preoccupa davvero è “che
il nostro discorso” non giunga a “interpellare” e a “scuotere davvero i mafiosi, da parte loro
non certo interessati a leggere i documenti ecclesiali” e non si
riesce a “far crescere
generazioni nuove di credenti”. Perciò invitano a proporre “una catechesi interattiva, il più
possibile ‘pratica’ e ‘contestuale'” e a sfruttare “ogni buona occasione: nel catechismo agli
adolescenti, in cui anche i figli dei mafiosi devono essere coinvolti”, nei “momenti formativi dedicati ai giovani e
agli adulti”; nella celebrazione del “battesimo, la prima comunione e la cresima; nelle omelie durante i
funerali delle vittime di mafia, ma anche – dove e quando sia
fattibile – durante le esequie di
persone defunte che sono appartenute alla mafia”.
9 maggio 2018
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