CLAUDIO REALE
Invoca un’antimafia che accantoni le autocertificazioni, ma anche una nuova
legge sui finanziamenti delle campagne elettorali. E poi Claudio Fava,
neo-presidente della commissione Antimafia dell’Ars, annuncia che il 23 maggio
parteciperà alla commemorazione della strage di Capaci, ma non per parlare: «La
memoria di Giovanni Falcone — dice — va portata avanti soprattutto il 24
maggio, il giorno dopo. Basta con le passerelle, con le scorte usate come
status symbol». Ma soprattutto il politico catanese — figlio di Pippo Fava,
fondatore de I Siciliani e vittima di Cosa nostra — in commissione
vuole portare «un approfondimento su come mafia e corruzione hanno distorto i
processi di spesa, gli appalti, anche l’organizzazione della Regione. Il primo
compito è partire dalle vicende giudiziarie di questi giorni, prendendo spunto
dal grande interrogativo di fondo».
Quale?
«Come è stato possibile costituire un governo parallelo che gestiva
processi politici, spesa, priorità e carriere? Il fatto che le istituzioni
siano state rapinate di funzioni spostate ad ambiti privati è un vulnus per la
democrazia, e attiene al mandato della commissione».
Un tema è certamente il
finanziamento della politica. Di fatto non esistono controlli sui fondi per le
campagne elettorali.
«Ci sono leggi abbastanza puntuali, ma sono stati sperimentati molti
strumenti concreti per aggirarle, per garantire che la politica restasse serva
di interessi privati, ed è anche avvenuto alla luce del sole. Non sappiamo se
il finanziamento ipotizzato dall’inchiesta sia vero, ma c’è un dato di fatto:
un pezzo dell’agenda politica dei governi Cuffaro, Lombardo e Crocetta è stato
appaltato a Confindustria. Sono poche le voci che si sono alzate per dire che
questo era un sistema abusivo».
Va bene, ma adesso è
possibile recepire la legge sulle campagne elettorali?
«Bisogna rendere autonoma la politica. Non si può ritenere che le campagne
elettorali siano legibus solutae, al di sopra delle leggi, visto ciò
che ha prodotto questo sistema.
Ma sarebbe bene che la politica arrivasse un istante prima, anziché un
istante dopo. E poi c’è una questione aperta anche sul piano delle forme:
bisogna restituire la funzione del fare alla battaglia contro le cosche,
bisogna uscire dall’idea tutta autoreferenziale di un’antimafia da
autocertificazione, viatico per carriere personali».
Ecco, ad esempio c’è un
dibattito sul 23 maggio. Le istituzioni devono esserci?
«Falcone va ricordato soprattutto nei comportamenti. Occorre recuperare una
sobrietà rispetto agli ultimi tempi: rispetto ai comizi col giubbotto
antiproiettile, alle scorte usate come status symbol, agli
imprenditori indotti a denunciare intimidazioni per entrare nel circolo delle
vittime. Questo, però, è importante soprattutto dal giorno dopo».
E quel giorno lì?
«Io ci andrò, come sempre. Ma non per parlare: andrò lì come il 22 andrò
nel giardino di Ciaculli. Per offrire memoria a chi non c’è più».
A proposito di chi non
c’è più: mercoledì va anche in onda “Prima che la notte”, la fiction su suo
padre e “I Siciliani”.
«Mi sembra un buon film perché racconta la vita e non la morte.
Quello che ci arriva è ciò che fecero da vivi. Bisogna celebrare la vita di
chi ha combattuto la mafia, non la morte».
La
Repubblica Palermo, 20 maggio 2018
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