La statua di S. Leoluca a Corleone |
di MARIA STELLADORO
Leone Luca di Corleone è vissuto tra il IX e il X secolo, è patrono di Corleone e di Vibo Valentia. Dopo l'interessante convegno del 24-25 maggio, organizzato dalla parrocchia di S. Leoluca, e il giorno dopo la "corsa", svoltasi ieri, pubblichiamo questo bel saggio di Maria Stelladoro, considerata la maggiore esperta sulla vita del santo.
Leone Luca di Corleone è vissuto tra il IX e il X secolo, è patrono di Corleone e di Vibo Valentia. Dopo l'interessante convegno del 24-25 maggio, organizzato dalla parrocchia di S. Leoluca, e il giorno dopo la "corsa", svoltasi ieri, pubblichiamo questo bel saggio di Maria Stelladoro, considerata la maggiore esperta sulla vita del santo.
Leone Luca, santo monaco italo-greco (IX-X secolo), nacque a Corleone di
Sicilia da Leone e Teotiste, contadini e pastori. Orfano di entrambi i genitori
in giovane età, abbandonò i lavori agresti ed entrò novizio nel monastero di S.
Filippo di Agira. Qui ricevette la prima tonsura da un anziano monaco e il
consiglio di emigrare in Calabria per le violente incursioni dei Saraceni in
Sicilia.Raggiunta la Calabria, incontrò una pia donna, alla quale manifestò le
tribolazioni del suo animo, le chiese consiglio e la pia donna lo indirizzò
alla vita monastica cenobitica. Dopo la peregrinatio ad limina
Apostolorumsi stabilì in Calabria, nel monastero sui monti Mula, divenendo
discepolo dell’igumeno Cristoforo, che lo rivestì dell’abito monastico e gli
cambiò il nome in Luca. Fondarono insieme un monastero nel territorio di
Mercurio e un altro in quello di Vena e in quest’ultimo dimorarono fino alla
morte. Designato igumeno del monastero di Vena dallo stesso Cristoforo morente,
vi esplicò una funzione taumaturgica polivalente (guarì un lebbroso, dei
paralitici e indemoniati). In punto di morte scelse come suoi successori
Teodoro ed Eutimio, suoi discepoli. Dal monastero di Vena, dove morì, fu
traslato, in seguito, a Monteleone in Calabria, dove fu eretta in suo onore la
Chiesa Madre.
San Leoluca come viene rappresentato a Vibo Valentia |
Tale racconto è tramandato dai manoscritti in latino rinvenuti. Ottavio
Gaetani ne pubblicò il testo in latino nel 1657 ricavandolo da tre manoscritti
trovati in Sicilia: a Palermo, a Mazara e a Corleone. Qualche anno dopo i
Bollandisti diedero alle stampe un’altra Vita, pure in latino,
rinvenuta nella biblioteca di Giuseppe Acosta. Entrambi gli editori pubblicano
quindi il testo della Vita in latino ma non accennano alla
lingua dei codici utilizzati. La BHL 4842 riporta l’incipit e
il desinit della Vita pubblicata dai due
editori mentre la BHG non registra Leone Luca di Corleone. Dal punto di vista
stilistico i Bollandisti aderirono al primaevo
stylo, invece il Gaetani modificò stylo paululum cultiore. Leone Luca, avendo fatto fruttificare il talento affidatogli da padre
Cristoforo in punto di morte, assegnerà, anche lui prossimo alla dipartita,
l’igumenato al discepolo Teodoro, cui ne affianca in aiuto un altro di nome
Eutimio. E’ indubbio che sia Teodoro che Eutimio fossero discepoli di Leone
Luca. E’ chiaro infatti che se Leone Luca era igumeno del monastero, sia
Teodoro che Eutimio, sia tutti gli altri confratelli erano discepoli del santo,
che provvederanno pure alle esequie del maestro. Leone Luca inizia il suo
ministero pastorale con due pabula,sia per alimentare nei suoi
confratelli la carità, sia per esortarli a sfuggire i pettegolezzi. Li
riportiamo: un tempo, essendo un frate rimasto da solo e con un solo pane nel
monastero, poiché gli altri erano usciti per lavorare, vide arrivare alcuni
cacciatori stanchi e affamati, che gli chiesero del cibo. Mosso da carità verso
il prossimo, non esitò a dare loro quell’unico pane che aveva e qualche mela.
Rimasto a digiuno faticò nei lavori domestici fino a sera, quando, stanco e
affamato, aperto l’uscio della sua cella, vi trovò tre pani caldi e bianchi,
mandatigli da Dio in premio della sua generosità verso i cacciatori.
L’altro
episodio, narrato da Leone Luca, risale al tempo dell’igumeno Cristoforo,
quando un confratello aveva offeso un umile. Per espiare la sua colpa si
sottopose ad una rigida penitenza: soffrì per venti giorni e venti
notti nudo il freddo sui monti di Mormanno. Ma un giorno, per
sfuggire a dei cacciatori a causa della sua nudità, si immerse, per pudore,
nell’acqua gelida fino al collo. Caruso, prendendo spunto dal verbo usato dai
Bollandisti: suspicamurafferma il «carattere ‘mascherato’ dei due
racconti narrati in precedenza». Di tale ‘racconto mascherato’ lo studioso si
serve per rivalutare, contro le affermazioni di Pertusi, una
presunta istruzione di Leone Luca. Gaetani afferma: Anni
Chr. 915. I Martii; i Bollandisti, invece, più cautamente dicono : Circa
Annum DCCCC I Martii e più avanti Floruit S. Leo Lucas
saeculo Christi nono e Sicilia dimissus antequam ea ab Saracenis occuparetur,
quod factum est sub finem Imperii Michaelis Balbi anno DCCCXXIX extincti.
Partendo da questi dati possiamo ricostruire una cronologia, lievemente
posteriore a quella tracciata da Da Costa Louillet e quasi identica a quella
del Martire. Quindi, se crediamo che Leone Luca sia morto nel 915 (come vuole
il Gaetani), a cento anni (come vuole la tradizione manoscritta, accettata
dagli editori), è comprensibile che la data di nascita sia l’815. A queste
coordinate aggiungiamo i seguenti particolari nella narrazione: se consideriamo
che a 20 anni avrebbe ricevuto l’investitura monastica sui monti Mula e se
mettiamo in rapporto l’appellativo datogli dal Gaetani al momento del suo esodo
dalla Sicilia (adolescens) e dai Bollandisti al momento del suo arrivo
in Calabria (beatissimus puer) possiamo attribuirgli un’età di 17/18
anni al momento del suo esodo dalla Sicilia e fissarlo quindi all’832/33,
accordandoci in questo con il Ménager. Cosa spingeva Leone Luca ad allontanarsene?
Da ponente a levante sopraggiungeva nel sec. IX l’invasione araba con la caduta
di Mazara nell’827, cui seguiva la caduta di Palermo e nel decennio seguente
veniva conquistata tutta la valle di Mazara, dove gli Arabi fondarono le loro
colonie. Nell’841-59 fu conquistata la Valle di Noto e infine, nell’843-902 la
Valle di Demone. Dopo Taormina (902), con la caduta di Rametta (965), ultimo
baluardo bizantino, ormai tutta la Sicilia era in mano agli Arabi. Nella Vita di
Leone Luca quindi gli Arabi sono la minaccia incombente e pertanto che sia
usato anacronisticamente e/o allegoricamente il termine Vandali nella Vita in
ricordo, forse, delle scorrerie vandaliche dei secoli precedenti con le quali
quelle degli Arabi sono probabilmente paragonate per ferocia e crudeltà: i
Vandali, sotto Genserico, invasero l’isola nell’autunno del 461, nella
primavera del 462 e nuovamente nel 463. Una nuova scorreria vandalica in
Sicilia fu respinta nel 465 da Marcellino, che, però, fu assassinato nel 468,
anno in cui essi si insediarono definitivamente nell’isola. Il trattato di
Genserico e Odoacre, che non pare essere anteriore al 24 agosto del 476
(rivolta di Odoacre) né posteriore al 24 gennaio del 477 (morte di Genserico),
legalizza, infatti, l’autorità di Genserico su tutta la Sicilia. Il dominio
vandalico nell’isola durò fino agli ultimi anni del 533 o i primi del 534,
quando la Sicilia fu occupata dai Goti.
Caruso paragona il termine «Agareni» nella Vita di Leone Luca
di Corleone, con quello nella Vita di Luca di Dèmena, dov’«è
accompagnato dalla specificazione qui et Sarraceni dicuntur». Lo
studioso afferma che «la specificazione sembrerebbe risalire al traduttore,
dato che non trova riscontro negli altri monumenti dell’agiografia storica
italo-greca conservatisi in lingua originale». Inoltre, l’anacronistico uso del
termine Wandalis usato nella Vita di Leone
Luca di Corleone (al momento della nascita del santo) e la presenza
contemporaneamente dei termini Agareni o Saraceni (al
momento del suo esodo dalla Sicilia) è già stato evidenziato nella nostra
edizione, nella quale abbiamo accettato l’identificazione, operata dal Gaetani,
degli Agareni con i Saraceni.
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