EMANUELE LAURIA
Da 25 a 100 euro per ogni scheda: al lavoro le procure
di mezza Sicilia Il ruolo dell’intermediario che offre il denaro e “ scherma”
il candidato
«Le competizioni elettorali in Sicilia sono come il Tour de France: i
dopati vinceranno sempre». Il fenomeno del voto di scambio, nell’Isola, si può
tranquillamente riassumere nella metafora sportiva dell’ex deputato socialista
Nino Oddo. Perché le inchieste giudiziarie che si moltiplicano in tutte le procure
dell’Isola (soprattutto a Palermo, Catania e Siracusa) danno sempre più il
quadro di una campagna elettorale, quello per le Regionali, condizionata dalla
corruzione. Il caso dei fratelli Caputo — arrestati ieri — è l’ultimo di una
lunga serie: pochi giorni fa, a Catania, la notizia dell’indagine su un
chiacchieratissimo candidato forzista, Riccardo Pellegrino, consigliere
comunale e candidato sindaco, che avrebbe pagato singole somme di denaro (da
mille a tremila euro) a diversi mediatori per acquistare voti in provincia.
Qualche settimana prima era finito in carcere Roberto Barbagallo, sindaco
di Acireale, con l’accusa di aver tentato di favorire illegittimamente
l’elezione del deputato di Sicilia futura Nicola D’Agostino. E nuovi sviluppi
giudiziari potrebbero arrivare a breve: sotto la lente dei magistrati, nel
Siracusano, ci sono 3 candidati alle Regionali.
Avrebbero promesso «soldi o altre utilità», questa la formula, in cambio di
preferenze.
Lo scambio
Subito dopo il voto, le telecamere delle “Iene” hanno ripreso materialmente
lo scambio illecito: il passaggio di denaro fra una edicolante di
Acicastello e un’amica, due giorni dopo le elezioni regionali. Nelle immagini
si vedono cento euro scivolare da una mano all’altra, cinquanta per ogni voto
fatto avere ad Antonio Castro, candidato di Forza Italia di Acireale. «Ad
accogliere la mia proposta sono stati in 88», afferma la venditrice di giornali
mostrando all’interlocutrice che ha appena preso la ricompensa (e munita di
telecamera nascosta) la lista degli altri elettori che avrebbero accettato la
sua offerta.
Lui, Castro, ha detto subito di non saperne nulla:
«Una fangata ». Non ce l’ha fatta comunque a conquistare un seggio
all’Ars: 1.437 consensi, troppo pochi. A Palermo è sotto inchiesta per
corruzione elettorale Edy Tamajo, altro big del consenso, con l’accusa di
aver comprato — sempre attraverso mediatori — un pacchetto di voti nei
quartieri popolari di Palermo. Una lunga scia di inchiesta che sottintende un
“sistema”.
Il “sistema”
Al vertice c’è, ovviamente, il candidato, che ha un gruzzolo da investire
ma non viene mai a contatto con i “beneficiari finali” dei piccoli contributi.
In mezzo infatti risalta la figura dell’intermediario che divide i fondi in
somme più piccole affidate a diversi galoppini, incaricati di contattare gli
elettori proponendogli soldi in cambio di voti. I politici, in tutti i casi,
dicono di non sapere nulla di esborsi di denaro. Le somme sarebbero state
versate a loro insaputa. Ma questo sistema, secondo i magistrati, è congegnato
proprio in modo da “schermare” attraverso faccendieri e galoppini i candidati
che pagano per la loro elezione.
D’altronde, fa riflettere il caso Antinoro: il medico Domenico Galati, che
sarebbe stato l’intermediario fra l’ex eurodeputato e i clan, è stato
condannato a tre anni per voto di scambio politico-mafioso.
Antonello Antinoro, alla fine della vicenda giudiziaria è stato in parte
assolto e in parte ha beneficiato della prescrizione (con sentenza definitiva)
per il reato di corruzione elettorale.
Le tariffe
Il prezzo del voto, oggi, risente di una singolare variabile geografica.
Cinquanta euro è la cifra che sarebbe stata pagata per procacciare voti ad
Acireale. E in provincia di Catania, riferiscono fonti giudiziarie, quella
sarebbe la tariffa media. Stessa cifra, in effetti, sarebbe quella versata da
chi avrebbe cercato i voti per Riccardo Pellegrino. “Solo” 25 euro è invece la
somma che per ciascun voto sarebbe stata offerta a Brancaccio, almeno secondo
quanto emerge dall’inchiesta Tamajo. Cifre che, in ogni caso, risentirebbero
della crisi economica: nel 2012 i boss del Borgo Vecchio, sempre a Palermo,
avrebbero applicato un tariffario da 100 euro a preferenza. Ma, sul piano
squisitamente finanziario, conviene a un candidato comprarsi i voti? «Se avessi
acquistato tutte le mie preferenze dovrei essere milionario», ha detto Tamajo
nel difendersi dalle accuse a suo carico. Ma un navigato parlamentare confidava
qualche mese fa: «Anche mille voti, se uno ha una buona base elettorale,
possono fare la differenza. Al prezzo di 50 euro l’uno, fanno 50mila euro. Se
il candidato viene eletto, quei soldi li recupera con sei mesi di
stipendio...».
Le altre promesse
Sullo sfondo ci sono altri tipi di promesse: Barbagallo avrebbe fatto
prospettare controlli amministrativi soft ad alcuni commercianti fuori regola,
in cambio di un sostegno a D’Agostino, mentre i procacciatori di preferenze per
Caputo, a Palermo, avrebbero offerto assunzioni in aziende di amici o
addirittura l’ammissione alla scuola infermieri. Le mille facce del un voto di
scambio.
La Repubblica Palermo, 5 aprile 2018
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