Salvo Palazzolo
Il consiglio di Armao: “ Candida tuo fratello”. E Pagano insiste: “ Non mandiamo al macero 7mila voti”
Il consiglio di Armao: “ Candida tuo fratello”. E Pagano insiste: “ Non mandiamo al macero 7mila voti”
La prima persona che Salvino Caputo chiama dopo aver saputo di essere
incandidabile è l’avvocato amministrativista Gaetano Armao. È il 29 settembre
dell’anno scorso, da lì a poco il legale diventerà assessore all’Economia del
governo Musumeci. Caputo gli chiede un parere tecnico- giuridico. «Armao, dopo
avere espresso il suo parere, gli prospetta la possibilità di candidare il
fratello» , scrive la giudice delle indagini preliminari di Termini Imerese
Stefania Gallì. Ecco come nacque quello che il procuratore di Termini Imerese
Ambrogio Cartosio chiama lo «stratagemma».
Con un parere autorevole. Proposta subito accolta con entusiasmo da Alessandro Pagano, il coordinatore della Lega nella Sicilia occidentale, che però proponeva di lanciare un altro Caputo con la formuletta magica “detto Salvino”, il figlio dell’ex deputato. Diceva al telefono: «Noi non possiamo perdere settemila voti, seimila voti, non meno di questo, e buttarli a macero... scusami... ma che va candidi a tuo figlio scusami». E insisteva: « Che discorsi stiamo facendo, ma che fa... si buttano questi... la politica... cioè tu continui a essere più forte di tutti, ma come si deve fare, anziché perdere settemila voti... io so già la soluzione qual è».
Con un parere autorevole. Proposta subito accolta con entusiasmo da Alessandro Pagano, il coordinatore della Lega nella Sicilia occidentale, che però proponeva di lanciare un altro Caputo con la formuletta magica “detto Salvino”, il figlio dell’ex deputato. Diceva al telefono: «Noi non possiamo perdere settemila voti, seimila voti, non meno di questo, e buttarli a macero... scusami... ma che va candidi a tuo figlio scusami». E insisteva: « Che discorsi stiamo facendo, ma che fa... si buttano questi... la politica... cioè tu continui a essere più forte di tutti, ma come si deve fare, anziché perdere settemila voti... io so già la soluzione qual è».
Uno stratagemma, un grande inganno: «Caputo senza fotografie — a Pagano
sembrava una grande idea — e Gianluca, non so come si chiama tuo figlio...
detto Salvino... punto, basta. È così. Funziona così» . Altro che
stratagemma, altro che inganno. Per Pagano era una necessità: «Se oggi salta
questo, noi perdiamo in termini di credibilità... non può essere che noi
perdiamo questa opportunità, non esiste. E scusami, lo abbiamo costruito da sei
mesi e ora sul traguardo» . “Detto Salvino”, una proposta per salvare Salvino
Caputo, e una ventata di ottimismo invase la Lega siciliana. «Noi dobbiamo
andare avanti — diceva ancora Pagano a Caputo, non sospettando di essere
intercettato dai carabinieri — con la soluzione che ti ho detto noi siamo tranquilli,
perché lo chiameremo sempre Salvino Caputo, a noi che ci cambia, certo non è la
stessa cosa avere te, perché perderemo qualche cosa... ma non è un
vantaggio tale che possiamo disperdere, quindi stai tranquillo».
La notizia della incandidabilità di Caputo stava creando grande dibattito
all’interno della Lega: «C’è un casino in questo momento — insisteva Pagano —
tutti i tuoi fan sono tutti in subbuglio» . Caputo temeva che i suoi capi
elettori non avrebbero gradito la candidatura di un altro “Salvino”: «Ci sono
centinaia di persone che fanno da capi elettori in tutta la provincia di
Palermo per me — diceva — come glielo spiego che devono votare mio figlio, c’è
gente che ha smosso paesi, cioè io ho fatto riunioni in ogni paese con almeno
cinquanta persone». Caputo lo definiva «un lavoro certosino». Qualche
giorno dopo, poi, cade l’ipotesi del figlio, che si chiama Roberto, e spunta la
candidatura del fratello. È il primo ottobre. Salvino chiama Mario: «Tieni
conto che molti sapranno che sono io il candidato, perché non è che tutti sono
raggiungibili o tutti sanno che io non mi candido, specialmente nei paesi... ma
si gioca nell’equivoco, sul fatto anche Caputo detto Salvino, infatti
nel partito anche su questo insistono».
Salvino Caputo si sentiva candidato a tutti gli effetti. E lo diceva
chiaramente a Nino Cianciolo, in corsa alle Regionali con la lista “Popolari e
autonomisti-Musumeci presidente” che gli chiedeva: «Quindi ti candidi?» .
Risposta: «Sì, sì, certo» . Lo stratagemma del “detto” piaceva anche ai suoi
grandi elettori. Uno di loro, Salvatore Adragna, consigliò di «non diffondere
la notizia della mancata candidatura — scrive il gip — al fine di non
scoraggiare gli elettori» . E furono preparati i manifesti: solo con il
cognome» . Dicevano nelle intercettazioni: «È una strategia non mettergli la
foto».
La Repubblica Palermo, 5 aprile 2018
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