Le sorelle Napoli |
di FELICE CAVALLARO
Sicilia, recinti distrutti da mucche e
denunce. «Ci considerano un disonore della famiglia perché denunciamo tutto ai
carabinieri»
MEZZOJUSO (Palermo) - Di certo c’è
che qualcuno tagliava e abbatteva le recinzioni dei terreni coltivati da tre
sorelle entrate nel mirino della mafia. Vittime di incursioni con una mandria
di bovini «inselvatichiti» lanciati a distruggere grano e frumento. Come succede
con le «vacche sacre» che la
’ndrangheta lascia pascolare in Calabria allo stato brado sconvolgendo
campi e piantagioni di chi viene così invitato a sloggiare. Operazione tentata
a Mezzojuso, nel cuore malato della Sicilia, al confine con Corleone e Godrano,
dove però Irene, Anna, Ina Napoli, tre sorelle di ferro, pur disperate come la
madre Gina, non mollano: «Non ce ne andremo, non venderemo mai». È la sfida a
boss e sgherri che celati dai passamontagna tranciano, o meglio tranciavano, i
reticolati per favorire incursioni e devastazione.
Le telecamere e
Giletti
Almeno così sembra dalle inquadrature
delle telecamere di sorveglianza che hanno filmato perfino un trattore verde
dietro la mandria della scorribanda. Immagini riproposte domenica sera da
Massimo Giletti su La7 per una puntata di Non è l’Arena alla
quale era stato invitato pure il neo assessore all’Agricoltura Edy Bandiera
perché fra i vicini a lungo sospettati dalle tre donne ancorate alla memoria
del padre c’è pure la Regione siciliana con il suo Istituto zootecnico,
proprietario di quel trattore.
Il porta-pizzini di
Provenzano
L’interesse dei carabinieri, della
Procura di Termini Imerese competente per territorio e del prefetto Antonella
De Miro che ha convocato e sostenuto le sorelle a Palermo si concentra
soprattutto su altri confinanti della proprietà Napoli con storie giudiziarie
segnate perfino dall’ombra di Bernardo Provenzano. A cominciare da Simone e
Giuseppe La Barbera, figlio e nipote di Nicola, il defunto «porta-pizzini» del
numero uno di Cosa nostra quando da latitante scansò un blitz, dileguandosi fra
campi in cui non sono tollerate presenze estranee. È il caso delle sorelle
Napoli che, oltre l’istituto regionale, hanno denunciato questi ed altri
personaggi alla magistratura ottenendo però davanti al giudice di pace di
Corleone solo la beffa di una assoluzione per tutti. Come ricordano, infuriate
con il loro avvocato: «Non si presentò all’udienza anche se ce lo aveva mandato
Addiopizzo». Da Palermo getta acqua sul fuoco Daniele Marannano per
l’organizzazione: «Facciamo quel che possiamo, non ci sottraiamo nei limiti
delle nostre possibilità, ma le sosteniamo con convinzione...».
La famiglia dei
carabinieri
Fatto sta che hanno cambiato avvocato.
Alte e forti, a tratti appaiono invincibili, spesso indifese, i volti rigati
dalle lacrime. Anche pensando al contesto in cui si muovono: «Siamo il disonore
della famiglia perché ci rivolgiamo ai carabinieri che consideriamo la nostra
vera famiglia». E con il comandante provinciale Antonio Di Stasio vanno in
prefettura dove l’attenzione è massima. Come in Procura, a Termini Imerese.
Rinnovando indagini che allarmano anche la Regione dove l’assessore Bandiera,
«finora irreperibile per La7», commenta caustico Giletti, sembra in attesa di
una relazione chiesta al direttore dell’Istituto, Antonio Console.
La caccia della
Forestale
Un funzionario al lavoro per raccogliere
documentazione e «fare chiarezza». Come spiega: «Il problema degli animali
inselvatichiti colpisce anche noi. Scorrazzano buttando a terra ogni steccato
perché dove vedono erba demoliscono tutto. Li combattiamo con la Forestale per
catturarli, come è accaduto venerdì scorso con sei capi. I nostri 46 bovini
invece hanno 250 ettari di terreno e mai sforano recinzioni ormai ben
controllate. Perché dovremmo fare invadere altri terreni? Io ho presentato
relazioni dettagliate e sono stato interrogato dal giudice a Corleone che ha
emesso una sentenza di assoluzione a favore dell’Istituto e dei suoi
dipendenti. Se le sorelle Napoli hanno ricevuto minacce, ovviamente, ci
dispiace, ma non è un problema che può coinvolgere l’ente».
Prefettura in appoggio
Relazione e spiegazioni che
rimbalzeranno anche in prefettura dove la dottoressa De Miro ricorda comunque
che, se esistono mucche allo stato brado, la Regione dovrebbe farsene carico,
trattandosi probabilmente in parte di terreni demaniali. Altra storia quella
delle cesoie che nemmeno le «vacche sacre» sanno usare, mentre echeggiano
ancora minacciose le voci che hanno convinto le sorelle di ferro ad appoggiarsi
ai carabinieri. Voci oblique: «Non è mestiere per le femmine». Una ragione in
più per ribellarsi, come sussurra fra le lacrime la madre, mamma Gina,
accarezzando la gatta di famiglia, Camilla: «Per noi diventa difficile pure
trovare un operaio o una trebbiatrice perché dicono a tutti di non venire a
lavorare da noi. Con danni economici enormi». Gli stessi che il prefetto De
Miro ha arginato ottenendo la cosiddetta sospensione dei termini legali per
bloccare i debiti in banca. Altra misura dopo un risarcimento ottenuto per i
mancati guadagni del 2014, quando ancora speravano nel processo poi perso,
senza avvocato.
Corriere.it, 21 marzo 2018
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