Palermo, 29 luglio 1983: la strage di via Pipitone Federico |
LUCIO LUCA
La strage di via Pipitone Federico gli omicidi Giuliano e Costa, il
disastro di Ustica le pagine nere rilette dai rilievi della Polizia Scientifica
C’è un pezzo di storia che passa inesorabilmente dalla Sicilia. È quello
che lega la mafia ai grandi misteri d’Italia, i boss più inafferrabili alla
lunga scia di sangue che ha squarciato l’Isola, l’attacco di Cosa nostra
all’eliminazione sistematica di chi ha consacrato la sua vita per sconfiggerla.
Senza dimenticare le stragi che hanno segnato il Novecento, come quella del
disastro aereo di Ustica del 1980. Eventi che finora si potevano rileggere nei libri e nelle collezioni dei
giornali, negli archivi dei tg o nel mare magnum di Internet.
Quello che mancava, invece, era la ricostruzione investigativa da parte
della Polizia Scientifica, i primi reperti raccolti sui “luoghi del crimine”,
le immagini dalle quali sono emersi dettagli fondamentali per le indagini, le
foto segnaletiche di chi ha tentato di prendersi un Paese con le bombe e i
kalashnikov. Materiale che spesso è servito nei processi per incastrare i
colpevoli ma che, ovviamente, era rimasto gelosamente custodito negli armati
blindati del Viminale.
Adesso, invece, quei “Frammenti di storia” sono a disposizione di tutti
grazie alla mostra itinerante “L’Italia attraverso le impronte, le immagini e i
sopralluoghi della Polizia scientifica” ospitata nell’Auditorium Parco della
musica di Roma.
Un percorso affascinante e doloroso che parte dall’inizio del secolo scorso
con le impronte digitali e le foto di un inedito Benito (erroneamente chiamato
Benedetto) Mussolini con i capelli, passa per la scheda segnaletica di un
giovane Sandro Pertini condannato per attività antifascista e bollato come
“pericoloso”, rievoca il delitto Matteotti, l’arresto di De Gasperi, le
prigioni di Antonio Gramsci.
Viste una dopo l’altra, nell’epoca di Csi e dell’ipertecnologia, degli
esami del Dna e delle immagini tridimensionali, le foto in bianco e nero della
Scientifica sembrano provenire da un’altra era geologica. E forse è proprio
così.
Ma di certo colgono l’attimo in cui tutto è cambiato, il momento nel quale
la storia d’Italia ha preso una direzione che poteva portare il Paese al
disastro. E testimoniano come il lavoro degli uomini di Stato – i poliziotti in
questo caso – abbia contribuito a far rinascere la speranza di un popolo che a
un certo momento sembrava definitivamente sconfitto. Quello siciliano, certo, che
con la mafia e i suoi misteri, a cavallo fra il secondo e il terzo millennio,
ha dovuto convivere.
Si comincia nel 1979 con l’omicidio del capo della Squadra Mobile di
Palermo Giorgio Boris Giuliano, freddato alla cassa del bar Lux dove ogni
mattina prendeva il primo caffè della giornata. Fu Leoluca Bagarella, cognato
di Totò Riina, a sparare contro il poliziotto che aveva intuito il ruolo di
Cosa nostra nel traffico internazionale di stupefacenti e che, per questo,
doveva morire. Un anno dopo toccò invece al procuratore capo Gaetano Costa:
qualche giorno prima aveva firmato personalmente gli ordini di cattura nei
confronti del clan di Rosario Spatola, provvedimenti che altri magistrati
si erano rifiutati di firmare. È il 1980, l’anno del disastro di Ustica, il Dc9
dell’Itavia decollato da Bologna e diretto a Palermo che si squarcia in volo e
si inabissa nel Mediterraneo. La polizia mostra le foto dei primi resti
recuperati in mare e certo fa impressione pensare che 38 anni dopo ci sono
ancora 81 morti che chiedono giustizia.
C’è poi la terribile estate palermitana del 1983 con la sua data simbolo:
il 29 luglio. Alle 8,05 la città si sveglia con un boato, l’esplosione che
uccide il capo dell’Ufficio istruzione del tribunale Rocco Chinnici, due
carabinieri della scorta e il portinaio dello stabile di via Pipitone Federico.
Palermo sembra Beirut, lo confermano anche le foto dall’alto scattate
dalla Scientifica.
La mostra rievoca altri omicidi eccellenti di una stagione terribile:
l’atrio d’ingresso crivellato di colpi della casa di Ninni Cassarà, il vice
questore aggiunto massacrato in via Croce Rossa nel 1985 insieme al collega
Roberto Antiochia, proprio una settimana dopo il commissario Beppe Montana.
E come in una macchina del tempo, il 1992 di Falcone e Borsellino, le auto
accartocciate dal tritolo, la risposta dello Stato che arresta prima Totò Riina
e poi Bernardo Provenzano, i pizzini del boss e il momento in cui a “Binnu”
vengono prese le impronte digitali dopo 43 anni di latitanza.
Le immagini finali sono quelle dei corpi straziati dei migranti morti
durante i loro viaggi della speranza nelle carrette del mare. Il triste rito
dei riconoscimenti, i barconi carichi fino all’inverosimile che provano ad
attraccare a Lampedusa, i poliziotti della Scientifica che prendono in braccia
un neonato o giocano con un paio di bambini sopravvissuti alle traversate.
«Questa mostra, che porteremo in giro per tutta l’Italia, è una memoria
storica che deve diventare un ulteriore stimolo per assolvere fino in fondo la
missione assegnata alla Scientifica – spiega il capo della Polizia Franco
Gabrielli – Un’occasione per guardarsi allo specchio e confrontarsi con il
passato, ma anche con il futuro che ci aspetta».
La Repubblica Palermo, 17 aprile 2018
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