EMANUELE LAURIA
Il racconto. Ventisei anni di mafia e politica. Scalfaro al Quirinale dopo
la morte di Falcone. Gli exploit forzisti, le inchieste, i big alla sbarra
Sarà la storia del processo Trattativa, che ha consumato in corte d’Assise
la prima tappa, a dire se la Storia con la S maiuscola, quella d’Italia, va
realmente riscritta. Ma la verità giudiziaria, al momento, consegna una
certezza: la vita politica (e sociale) del Paese, negli ultimi 26 anni, è stata
condizionata dai fatti avvenuti in Sicilia. Di più: gli eventi maturati
nell’Isola hanno aperto e chiuso un’era, hanno dato il “la” alla Seconda
Repubblica e l’hanno consegnata agli archivi. 1992-2018: è in questo periodo
che si snoda una vicenda che costringe a porre il punto d’osservazione a sud
dello Stretto, con l’avvertenza che altri giudici, domani, potranno modificare
la prospettiva.
A Mondello muore la Dc
Il racconto non può che cominciare dalla fine della Dc, di quel pezzo della
Dc collusa con la mafia, che comincia a dissolversi fra i viali di Mondello nel
marzo del ’92, con l’inutile corsa di Salvo Lima inseguito dai sicari. La
Cupola si vendica per il mancato rispetto dei patti: il verdetto del
maxiprocesso non era stato ammorbidito in Cassazione. Di lì a poco,
vacillerà la candidatura al Quirinale di Giulio Andreotti, il capocorrente di Lima.
Capaci, scossa per il Quirinale
È il tritolo sotto l’autostrada, l’eccidio in cui muoiono Giovanni
Falcone, la moglie e tre agenti della scorta, a determinare un’altra svolta
politica: si sblocca la lunga impasse per la votazione del capo dello Stato,
l’emergenza nazionale consiglia i partiti a chiudere in fretta le
trattative ed eleggere Oscar Luigi Scalfaro.
I misteri di via D’Amelio
Il giudice salta in aria con gli uomini della scorta, scompare l’agenda
rossa. Saranno le motivazioni della sentenza di venerdì a far comprendere
meglio se il giudice paga anche il fatto di essere venuto a conoscenza della
Trattativa. Fatto sta che, secondo la corte presieduta da Alfredo Montalto, in
quel momento la Trattativa è già cominciata e tre ufficiali dei carabinieri — Mori,
De Donno, Subranni — sono in contatto con Vito Ciancimimo. E veicolano, in
qualche modo, le richieste di Totò Riina ai governi Amato e Ciampi.
Il partito di Bagarella
Nelle settimane che precedono l’attentato agli Uffizi, su input di Leoluca
Bagarella nasce “Sicilia libera”: i vertici mafiosi, delusi dalla politica,
decidono di fare un partito proprio.
Il casting al residence Marbela
Il luogo di ritrovo nei pressi di via Autonomia siciliana per una squadra
formata da uomini Publitalia, Programma Italia e Standa, dove Miccichè tiene
quotidianamente una selezione del personale politico per la futura Forza
Italia. Così nasce in Sicilia il “progetto Botticelli” (primo nome del futuro
partito di maggioranza). Con Miccichè c’è Marcello Dell’Utri, ovviamente, che
secondo i giudici di Palermo è da anni il tramite fra Cosa nostra e il
Berlusconi imprenditore, e nel biennio ’93-94 diventa il tramite con il
Berlusconi politico. In quello stesso periodo, secondo la requisitoria dei pm
del processo Trattativa, Bagarella decide di sciogliere Sicilia libera e di
confluire su Forza Italia. «Dell’Utri fa nascere Forza Italia su interesse di
Cosa nostra», afferma Antonio Ingroia, l’ex pm che ha istruito il processo
Trattativa. Miccichè, oggi, si dice «incredulo davanti a ogni accostamento di
Forza Italia alla mafia»: «Se accadevano davvero queste cose attorno a me,
io ero evidentemente incapace di intendere e di volere».
Il boom e le inchieste
Il 27 marzo 1994 Silvio Berlusconi vede subito, alle pendici di
Monte Pellegrino, le fondamenta della fortezza che Dell’Utri e Miccichè
stanno mettendo su. Ventun per cento il dato nazionale, 34 per cento quello
siciliano. Cominciava la saga del Cavaliere pigliatutto sotto la linea dello
Stretto, una storia di amore e ombre, di voti e inchieste giudiziarie. La
Piovra, almeno il suo spettro, accompagna le vicende berlusconiane in Sicilia.
Si apre la stagione dei processi: quello a carico di Dell’Utri (oggi in
carcere), del senatore Antonio D’Alì (la Cassazione ha recentemente
annullato l’assoluzione), dell’ex deputato Giovanni Mercadante (condannato a
dieci anni). Quelli, chiusi invece con un’assoluzione, nei confronti di altri
big del partito, da Francesco Musotto a Gaspare Giudice. Il tutto ad alimentare
quei sospetti di collusione con Cosa nostra che non sono mai venuti meno in
oltre cinque lustri.
L’effetto 61 a 0
Il ritorno di Berlusconi a Palazzo Chigi è favorito, ancora una volta, da
una mossa sullo scacchiere siciliano. Forza Italia di Miccichè stringe un patto
con Totò Cuffaro (che dieci anni dopo dovrà scontare una lunga condanna per
aver favorito la mafia) e fa il pieno di vittorie nei collegi dell’Isola. Da
quel momento il centrodestra diventa forza dominante. E dentro Forza Italia
fanno carriera parlamentari siciliani che promuovono leggi a favore di
Berlusconi. Come i lodi Schifani e Alfano sull’immunità delle alte cariche
dello Stato. Ma Renato Schifani ricorda spesso come fu lui, nel 2002, a proporre
un provvedimento «di forte valenza antimafia»: la stabilizzazione del 41 bis.
L’ultima spinta
Dopo gli anni di Raffaele Lombardo e Rosario Crocetta, è ancora una volta
la Sicilia ad annunciare il ritorno del centrodestra e di Forza Italia. La
coalizione torna al governo in Sicilia malgrado le polemiche sugli
“impresentabili” (fra cui Riccardo Pellegrino, il candidato forzista che nei
comizi inneggiava alla famiglia mafiosa dei Mazzei) e primeggia alle Politiche.
Seconda Repubblica, the end?
Venti aprile 2018: dal bunker di Pagliarelli la sentenza che può
influenzare di nuovo la storia d’Italia. L’accertamento giudiziario della
Trattativa Stato-mafia irrompe su un’altra trattativa, quella per il Quirinale,
e rischia di mettere all’angolo Berlusconi. Palermo, ancora una volta, diventa
capitale politica.
La Repubblica Palermo, 22 aprile 2018
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