domenica, aprile 22, 2018

Dalle stragi alla Trattativa: così la Sicilia cambia l’Italia


EMANUELE LAURIA
Il racconto. Ventisei anni di mafia e politica. Scalfaro al Quirinale dopo la morte di Falcone. Gli exploit forzisti, le inchieste, i big alla sbarra
Sarà la storia del processo Trattativa, che ha consumato in corte d’Assise la prima tappa, a dire se la Storia con la S maiuscola, quella d’Italia, va realmente riscritta. Ma la verità giudiziaria, al momento, consegna una certezza: la vita politica (e sociale) del Paese, negli ultimi 26 anni, è stata condizionata dai fatti avvenuti in Sicilia. Di più: gli eventi maturati nell’Isola hanno aperto e chiuso un’era, hanno dato il “la” alla Seconda Repubblica e l’hanno consegnata agli archivi. 1992-2018: è in questo periodo che si snoda una vicenda che costringe a porre il punto d’osservazione a sud dello Stretto, con l’avvertenza che altri giudici, domani, potranno modificare la prospettiva.
A Mondello muore la Dc

Il racconto non può che cominciare dalla fine della Dc, di quel pezzo della Dc collusa con la mafia, che comincia a dissolversi fra i viali di Mondello nel marzo del ’92, con l’inutile corsa di Salvo Lima inseguito dai sicari. La Cupola si vendica per il mancato rispetto dei patti: il verdetto del maxiprocesso non era stato ammorbidito in Cassazione. Di lì a poco, vacillerà la candidatura al Quirinale di Giulio Andreotti, il capocorrente di Lima.
Capaci, scossa per il Quirinale
È il tritolo sotto l’autostrada, l’eccidio in cui muoiono Giovanni Falcone, la moglie e tre agenti della scorta, a determinare un’altra svolta politica: si sblocca la lunga impasse per la votazione del capo dello Stato, l’emergenza nazionale consiglia i partiti a chiudere in fretta le trattative ed eleggere Oscar Luigi Scalfaro.
I misteri di via D’Amelio
Il giudice salta in aria con gli uomini della scorta, scompare l’agenda rossa. Saranno le motivazioni della sentenza di venerdì a far comprendere meglio se il giudice paga anche il fatto di essere venuto a conoscenza della Trattativa. Fatto sta che, secondo la corte presieduta da Alfredo Montalto, in quel momento la Trattativa è già cominciata e tre ufficiali dei carabinieri — Mori, De Donno, Subranni — sono in contatto con Vito Ciancimimo. E veicolano, in qualche modo, le richieste di Totò Riina ai governi Amato e Ciampi.
Il partito di Bagarella
Nelle settimane che precedono l’attentato agli Uffizi, su input di Leoluca Bagarella nasce “Sicilia libera”: i vertici mafiosi, delusi dalla politica, decidono di fare un partito proprio.
Il casting al residence Marbela
Il luogo di ritrovo nei pressi di via Autonomia siciliana per una squadra formata da uomini Publitalia, Programma Italia e Standa, dove Miccichè tiene quotidianamente una selezione del personale politico per la futura Forza Italia. Così nasce in Sicilia il “progetto Botticelli” (primo nome del futuro partito di maggioranza). Con Miccichè c’è Marcello Dell’Utri, ovviamente, che secondo i giudici di Palermo è da anni il tramite fra Cosa nostra e il Berlusconi imprenditore, e nel biennio ’93-94 diventa il tramite con il Berlusconi politico. In quello stesso periodo, secondo la requisitoria dei pm del processo Trattativa, Bagarella decide di sciogliere Sicilia libera e di confluire su Forza Italia. «Dell’Utri fa nascere Forza Italia su interesse di Cosa nostra», afferma Antonio Ingroia, l’ex pm che ha istruito il processo Trattativa. Miccichè, oggi, si dice «incredulo davanti a ogni accostamento di Forza Italia alla mafia»: «Se accadevano davvero queste cose attorno a me, io ero evidentemente incapace di intendere e di volere».
Il boom e le inchieste
Il 27 marzo 1994 Silvio Berlusconi vede subito, alle pendici di Monte Pellegrino, le fondamenta della fortezza che Dell’Utri e Miccichè stanno mettendo su. Ventun per cento il dato nazionale, 34 per cento quello siciliano. Cominciava la saga del Cavaliere pigliatutto sotto la linea dello Stretto, una storia di amore e ombre, di voti e inchieste giudiziarie. La Piovra, almeno il suo spettro, accompagna le vicende berlusconiane in Sicilia. Si apre la stagione dei processi: quello a carico di Dell’Utri (oggi in carcere), del senatore Antonio D’Alì (la Cassazione ha recentemente annullato l’assoluzione), dell’ex deputato Giovanni Mercadante (condannato a dieci anni). Quelli, chiusi invece con un’assoluzione, nei confronti di altri big del partito, da Francesco Musotto a Gaspare Giudice. Il tutto ad alimentare quei sospetti di collusione con Cosa nostra che non sono mai venuti meno in oltre cinque lustri.
L’effetto 61 a 0
Il ritorno di Berlusconi a Palazzo Chigi è favorito, ancora una volta, da una mossa sullo scacchiere siciliano. Forza Italia di Miccichè stringe un patto con Totò Cuffaro (che dieci anni dopo dovrà scontare una lunga condanna per aver favorito la mafia) e fa il pieno di vittorie nei collegi dell’Isola. Da quel momento il centrodestra diventa forza dominante. E dentro Forza Italia fanno carriera parlamentari siciliani che promuovono leggi a favore di Berlusconi. Come i lodi Schifani e Alfano sull’immunità delle alte cariche dello Stato. Ma Renato Schifani ricorda spesso come fu lui, nel 2002, a proporre un provvedimento «di forte valenza antimafia»: la stabilizzazione del 41 bis.
L’ultima spinta
Dopo gli anni di Raffaele Lombardo e Rosario Crocetta, è ancora una volta la Sicilia ad annunciare il ritorno del centrodestra e di Forza Italia. La coalizione torna al governo in Sicilia malgrado le polemiche sugli “impresentabili” (fra cui Riccardo Pellegrino, il candidato forzista che nei comizi inneggiava alla famiglia mafiosa dei Mazzei) e primeggia alle Politiche.
Seconda Repubblica, the end?
Venti aprile 2018: dal bunker di Pagliarelli la sentenza che può influenzare di nuovo la storia d’Italia. L’accertamento giudiziario della Trattativa Stato-mafia irrompe su un’altra trattativa, quella per il Quirinale, e rischia di mettere all’angolo Berlusconi. Palermo, ancora una volta, diventa capitale politica.
La Repubblica Palermo, 22 aprile 2018

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