Il segretario della Camera del lavoro Cosimo Lo Sciuto |
CRONACA – Lo chiamavano il vento del Nord,
ricorda Dino Paternostro, perché «riempiva di libertà i polmoni dei
contadini». Quelli per cui si è battuto, attirando su di sé le ire dei padroni
e della mafia, che lo uccide il 10 marzo 1948 pestandolo a sangue e gettando il
suo corpo nelle foibe di Rocca Busambra, dove viene ritrovato solo nel 2009
«Rizzotto è patrimonio d’Italia, la nostra
terra ha pagato un contributo di sangue altissimo, l’impegno dei sindacalisti
come lui è un esempio per tutti». Così questa mattina Cosimo Lo Sciuto,
segretario della Cgil di Corleone, intervenuto in occasione della
cerimonia per ricordare il brutale omicidio di Placido Rizzotto.
Sono passati 70 anni da quel 10 marzo 1948, quando a soli 34
anni viene rapito e ucciso dalla mafia. A condannarlo è il suo
impegno a favore del movimento contadino per l’occupazione delle terre e le sue
lotte a favore dei diritti dei lavoratori. Tra i primi a indagare c'è Carlo
Alberto Dalla Chiesa, all'epoca capitano dei carabinieri. GUARDA L'ALBUM FOTOGRAFICO
«Lo chiamavano il vento del Nord - lo
ricorda anche il giornalista Dino Paternostro -. Il
suo soffio faceva paura ai padroni e ai gabelloti mafiosi, ma riempiva
di libertà i polmoni dei contadini, perché insegnava a non abbassare la
testa davanti ai signori. Ma che i contadini rialzassero la testa non piaceva
per niente ai grandi proprietari terrieri di Corleone. E non piaceva neppure
alla mafia». A finire dietro le sbarre sono Vincenzo Collura e Pasquale
Criscione, che ammettono di aver fatto parte del commando che aveva rapito il
sindacalista, in concorso con Luciano Liggio, la primula
rossa di Corleone e fra i protagonisti del maxiprocesso a Cosa nostra
celebrato a Palermo nell'86.
I primi due, però, vengono alla fine scarcerati per
insufficienza di prove, dopo aver ritrattato la confessione, mentre Liggio è
latitante fino al 1964. Ma è solo grazie alla testimonianza del
pentito Collura che è stato possibile ritrovare, il 7 luglio 2009, i
resti di Rizzotto, che era stato gettato nelle foibe di Rocca Busambra,
dopo essere stato pestato a sangue. La certezza che si tratti di lui
arriva finalmente nel 2012, comparando il dna estratto dalle ossa
recuperate con quello del padre, morto alcuni anni prima e riesumato per questo
scopo.
«Rizzotto lottava per una società migliore e oggi
siamo qui per dare continuità a quel percorso e rappresentare l’immagine
di Corleone capitale italiana, e non solo siciliana, dell’antimafia e
dell’antifascismo», è il commento di Enzo Campo,
segretario generale della Cgil Palermo, anche lui intervenuto a Corleone in
piazza Garibaldi, davanti al busto del sindacalista. «In questa piazza
oggi una Corleone diversa. L’antimafia militante è radunata qui», afferma
ancora, rivolgendosi ai presenti. E sono in tanti ad essersi presentati
all'appuntamento di questa mattina: soprattutto studenti, malgrado di sabato le
scuole siano chiuse, e poi associazioni antimafia, forze dell'ordine,
rappresentanti delle istituzioni e parenti delle vittime uccise da Cosa
nostra.
Da Franco La Torre, figlio di Pio La
Torre, che ha diretto la Camera del Lavoro di Corleone dopo Rizzotto,
ad Antonella Azoti, il giudice Morvillo, Giuseppe
Rizzo, Vincenzo lo Jacono e Placido Rizzotto,
il nipote anche lui sindacalista e che porta addosso, con quello stesso
nome, il ricordo di un uomo che per i giovani corleonesi di oggi rappresenta un
emblema del paese, la cui immagine in passato troppo spesso è stata offuscata
dalla mafia. Presente, anche se non fisicamente, anche il vescovo di
Monreale, monsignor Pennisi, che ha inviato per l'occasione un
messaggio personale, sottolineando che «a distanza di 70 anni lui è
stato il vero vincitore, e gli assassini sono stati i veri perdenti».
MERIDIONEWS, 10 MARZO 2018
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