Enrico Bellavia
Dopo la superperizia i familiari delle 115 vittime
della sciagura aerea di Palermo del 1972 si appellano al pg di Catania: “ Indaghi lui”
Una battaglia che sfianca e avvilisce quella per la verità sulla strage
aerea di Montagna Longa. Un mistero che con ostinata determinazione la
magistratura lascia che rimanga tale, pur di fronte a una valanga di elementi
che vanno in direzione contraria a quella sbrigativa e più accomodante
dell’errore dei piloti. Ora la perizia dell’esperto Rosario Ardito Marretta, l’ingegnere e
professore universitario che ha già risolto il giallo dell’inabissamento
dell’Atr della Tuninter nel 2005, all’ipotesi della bomba formulata a caldo — e
sempre scartata aprioristicamente dalle verità ufficiali — fornisce una serie
di dati di fatto.
La procura di Catania, competente perché a bordo del Dc 8 Alitalia c’era il
magistrato palermitano Ignazio Alcamo, ha archiviato in fretta quel dossier
di 161 pagine. Lo ha fatto utilizzando tre scarni fogli che liquidano il
lavoro scientifico e battono sempre sullo stesso punto: il tempo trascorso.
Quarantasei anni sono un lasso enorme tra la tragedia e la sua memoria
quasi per tutti. Ma non per i familiari di quelle 115 vittime che hanno diritto
a una risposta. Lo hanno preteso le vedove e quel centinaio di bambini rimasti
orfani. Il 5 maggio del 1972 il più grande di loro aveva 16 anni, il più
piccolo 6 mesi.
Per questo, Ilde Scaglione e Ninni Valvo, riuniti con tutti gli altri
parenti in associazione, continuano il lavoro che fu di Maria Eleonora Fais, e
non si sono dati per vinti. Con l’avvocato Giovanni Di Benedetto hanno chiesto
che sia la procura generale ad avocare la riapertura delle indagini. Si battono
perché il lavoro di Marretta venga valutato e la sua tesi vagliata: l’aereo non
si schiantò per un errore umano ma per una manomissione.
Due i pilastri della consulenza: il calore che avrebbe dovuto generare
l’aereo al momento dell’impatto su Montagna Longa e, in secondo luogo, il
giallo della scatola nera.
Se l’aereo si fosse schiantato per un’errata manovra dei piloti, avrebbe
urtato la montagna incendiandosi con tutto il suo carico di combustibile e
intorno non avrebbe dovuto più crescere un filo d’erba. Invece alcuni corpi
sono rimasti pressoché integri, molti non avevano le scarpe, come se qualcuno
li avesse avvisati di un imminente atterraggio e gli stessi bagagli sembrano
essere stati danneggiati da una forza interna alla fusoliera. E c’è poi la
testimonianza di chi vide l’aereo in fiamme.
Marretta trova una sola spiegazione a tutto questo: una detonazione a bordo
provocò una deflagrazione che rese ingovernabile l’aereo. E a nulla valsero i
disperati tentativi dei piloti.
« Il carburante — spiega Marretta — fu disperso in atmosfera dopo
l’esplosione avvenuta in prossimità di uno dei serbatoi». I piloti cercarono di
liberarsi del resto. La fuoriuscita in volo provocò le fiamme che i
testimoni videro.
Il mistero della scatola nera sembra essere il suggello al mistero. L’Fdr (
flight data recorder), allora una sorta di stampante ad aghi, aveva il nastro
strappato già dal 30 aprile. In quello stato il Dc 8 avrebbe dovuto fermarsi
per la riparazione. Invece, senza segnare alcunché sul nastro della scatola
nera, l’aereo volò per cinque giorni. E così anche quel 5 maggio. L’anomalia
avrebbe dovuto essere segnalata da due spie in cabina. E i piloti lo avrebbero
dovuto segnare sui registri di bordo. Invece nulla.
Se il nastro è strappato, a meno di ipotizzare che sia stato manomesso
successivamente, non resta che immaginare che fosse stato manipolato lo
strumento che doveva segnalarne l’anomalia.
Cosa potrebbero dire nuove indagini? Potrebbero ricontrollare la perizia
Marretta stressandola, per verificare tutti i calcoli effettuati, si potrebbero
ricercare tracce sui corpi di materiale esplosivo, ci si potrebbe mettere
a caccia dei resti dell’aereo che, giallo nel giallo, non si sa che fine
abbiano fatto. Anche alla riesumazione dei corpi si erano detti disponibili i
familiari, ma anche su questo la magistratura di Catania è stata finora
indisponibile.
C’è poi il contesto che non va tralasciato. Quel volo spezzato precede di
20 giorni Peteano, cade a un anno esatto dall’uccisione del procuratore capo di
Palermo Pietro Scaglione, a 17 mesi dal golpe Borghese, nato sul quell’alleanza
tra mafia e “neri” nel cui seno sono state coltivate le stragi successive e
alla quale si interessò perfino Giovanni Falcone. E quella connection era la
base del rapporto del vicequestore Giuseppe Peri del 1977.
Abbastanza perché almeno su Montagna Longa, come accaduto per il volo di
Enrico Mattei, si possa scrivere una pagina di verità con bollo di giustizia.
Anche dopo oltre 40 anni.
La Repubblica, 27 marzo 2018
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