LAVINIA RIVARA
L’analisi. La sinistra sparita dai quartieri popolari
ROMA - Trovare la sinistra non è poi così difficile, la sua casa è ormai in zone
molto illuminate, nei quartieri borghesi dei grandi centri urbani, dove la sera
si può uscire e vive la classe dirigente. Più difficile scovarla
nell’hinterland delle città, nei sobborghi semiperiferici abitati da lavoratori
dipendenti, operai, artigiani, laddove un tempo aveva il suo zoccolo duro.
Sparita del tutto al sud, nelle borgate e nella provincia dove la
disoccupazione morde giovani e famiglie, la convivenza con gli immigrati è
difficile e la sera non si gira tranquilli. È la fotografia della sinistra
scattata col voto del 4 marzo, dove i migliori risultati del Pd sono tutti nei
centri storici di Milano e Torino, nei quartieri bene di Genova, Bologna, Roma,
Napoli e Bari.
I dem soffrono soprattutto in periferia: scendono sotto il 17 per cento,
sopra i 100 mila abitanti risalgono attorno al 20 per cento, sfiorano il 30% in
coalizione quando si superano i 300 mila abitanti, come rileva una analisi di
Andrea Maccagni per Youtrend.
Ma la geografia del voto è anche quella del disagio sociale e delle
disuguaglianze. Se è vero che il Partito democratico ha perso oltre 2 milioni e
mezzo di voti rispetto al 2013 e quasi cinque rispetto agli 11 milioni delle
Europee 2014, il calo non può che riguardare un po’ tutte le fasce sociali, ma
colpisce «come il consenso si sia ridimensionato soprattutto tra i dipendenti
pubblici, storica componente del blocco sociale di centrosinistra… un
cambiamento di portata comparabile al dissolversi delle zone Rosse», scrivono
Matteo Cavallaro, Giovanni Diamanti e Lorenzo Pregliasco nell’instant
book Una nuova Italia (Castelvecchi). Nel settore privato però non va
affatto meglio. «Il picco più basso del Pd in questa fascia di lavoratori, 16%,
è il più basso tra le categorie produttive e, specularmente, il più alto per i
5Stelle, dove tocca il 37%» dice Pregliasco.
Ecco la mappa del voto.
Nei due comuni più ricchi della Lombardia, Basiglio e Cusago,
nel milanese, con un reddito medio annuo rispettivamente di 43 mila e 36
mila euro, il Pd prende poco più del 21%. Ma nei due più poveri, nel comasco,
la musica cambia: a Val Rezzodove il reddito si ferma a 6 mila euro
la percentuale dei dem è addirittura l’un per cento,
a Carvagna (5.470 euro) siamo all’8,8%. A Milano nel primo
municipio (centro storico), con un tasso di laureati che si aggira attorno al
30% contro l’11% della media, i dem superano il 30%, in coalizione addirittura
arrivano al 49, grazie all’ottima performance di +Europa. Ma nell’estrema
periferia di Quarto Oggiaro il Pd precipita al 19,6%.
A Torino il quadro è simile. Nel collegio uninominale 01 della
Camera del centro e della Collina il centrosinistra sfonda quota 40%, i dem
sono al 28,5 e Leu al 6,5.
Anche a Mirafiori tengono bene attestandosi al 27 per cento. Ma nei
quartieri periferici, alle prese coni immigrazione e crisi industriali,
compreso quello più problematico di Barriera di Milano, il Pd scende al 22,2.
Così in provincia: a Pino Torinese, 37 mila euro di reddito, i dem
sono al 28%; a Ribordone (13 mila euro)si scende fino al 12%.
Nel quartiere borghese di Castelletto, a Genova il centrosinistra
è al 38,4%, il Pd al 24%. Percentuali solo leggermente inferiori nelle altre
zone “bene” come Carignano e Abaro. Ma a Borzoli, quartiere dove coesitono
problemi socio economici e ambientali il Democratici piombano dal 35% del 2013
al 21%, mentre i 5Stelle toccano il 49%.
Qui però va bene Leu, con il 7,4.
Ma non c’è solo il malessere sociale, dice Fabio Bordignon, politologo
dell’università di Urbino: «I tassi di disoccupazione non sono l’unica
spiegazione del trionfo 5Stelle, specie al sud.
Conta anche l’insoddisfazione sul funzionamento della democrazia.
Dalla fine dell’ultimo governo Berlusconi il Pd è il partito che ha
incarnato il sistema. Le classi sociali in maggiore sofferenza non lo votano
più perché rappresenta il potere, il governo, il sistema appunto, contro cui
prevale una spinta radicale di protesta».
E veniamo a Bologna, città rossa per eccellenza. Il Pd resta il
primo partito pur perdendo un terzo dei voti rispetto al 2013. Ma anche qui la
performance migliore è nei quartieri alti (Irnerio, Galvani, Malpighi) dove il
calo oscilla tra il 4 a l’8% e dove Leu fa i suoi migliori risultati, tra il 10
e l’11%. Il crollo fino a 16 punti invece si registra nei quartieri più
popolari (San Donato, Bolognina, Lame).
Tralasciando l’isola felice di Firenze (43,2%) e l’area
metropolitana dove il Pd conquista ovunque percentuali molto alte (il minimo è
il 32% a Campi Bisenzio, il massimo è il 48%
aFiesole), a Roma, anche se le cifre scendono, il partito tiene
nel collegio Centro-Trionfale e Parioli-Trieste (28%), le zone più agiate della
città. Poi si scende man mano che ci si addentra nella grande periferia: il 20%
nei quartieri piccolo-borghesi di Labaro-Prima Porta, 17,6% nei più popolari
Tiburtino, Prenestino, Torre Angela.
A Napoli se ci si lascia guidare dal tasso di occupazione, intorno al 40%
nei rioni bene di Chiaia, Vomero, Posillipo i dem conquistano dai 24 ai 27
punti. Ma a Scampia, lì dove la quota di chi ha lavoro si dimezza, non si arriva
al 9%, a San Pietro a Patierno neanche al 7. Nei comuni più ricchi della
provincia, come Capri (reddito medio 17mila euro) il partito è al
19,3; aCasola dove l’imponibile non supera i 5 mila euro si precipita al
3,5.
Più si scende al sud più salgono i 5Stelle e calano i Democratici.
A Bari prendono il 16% e il miglior risultato è nel seggio di
Poggiofranco, una delle zone più facoltose: 200 voti al candidato Pd 190 ai
5Stelle 11 a Leu, 194 a FI. Nei quartieri più difficili e marginali quasi non
esiste.
Nella terra del trionfo a 5Stelle, la Sicilia, i dem toccano il
15% a Palermo solo nel quartiere agiato e centralissimo della
Libertà, nel famigerato Zen si crolla al 4,3%.
Nella aree di crisi, come Gela, è al 9,5% a Vittoria al
7,2. Un dato in controtendenza è quello di Campofelice di Fitalia, dove il reddito medio non arriva a 11 mila
euro eppure il Pd è al 21,5. Ma si tratta di uno dei centri più isolati della
Sicilia, 500 anime, strade impraticabili per arrivarci, un paese che muore.
Vorrà dire qualcosa?
La Repubblica, 23 marzo 2018
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