L'Assemblea Regionale Siciliana |
GIANNI BONINA
Solo il 17 ottobre scorso, quando il tribunale di Roma stabilì che “Mafia
capitale” era un’associazione dedita all’esercizio della corruzione, fu
sventato il tentativo di comprendere dentro il fenomeno mafioso fattispecie di
reato che semmai andavano iscritte nel lungo elenco degli effetti collaterali
della recrudescenza mafiosa e non ricondotte ai casi tassativamente imposti da
dottrina e gurisprudenza per disciplinare il 416 bis.
Dicendo che se tutto è mafia niente è mafia, Leonardo Sciascia presagiva un
pericolo che successivamente la legislazione ordinaria e la pratica giudiziaria
hanno in verità inteso correre, fino al caso limite di “Mafia capitale”,
estendendo l’accezione di mafia a un numero sempre maggiore di ipotesi di
illegalità. Ma quello che era un pericolo è diventato ora una realtà, dopo il
varo in Sicilia della legge regionale istitutiva della Commissione antimafia
nel nuovo modello di organo impegnato in «attività di prevenzione e di
contrasto della corruzione, della concussione e in genere di tutti i reati
contro la pubblica amministrazione e delle illegalità nella Regione e negli
enti del sistema regionale». Tutti i reati in genere che coinvolgano gli enti
pubblici sono dunque stati assimilati a quello unico per il quale l’Antimafia
era stata istituita a Palazzo dei Normanni.
Con voto unanime, plausi comuni e attestati di compiacimento, Sala d’Ercole
ha però esitato nella seduta del 14 febbraio un dispositivo di indagine dotato
di compiti prevalentemente di vigilanza su ogni forma di abuso e anziché la
dismessa commissione antimafia ha predisposto un apparato che fa proprie le
competenze di una commissione trasparenza e di un ufficio alla legalità, nonché
accolto i precetti di un codice etico e di un codice degli appalti, così
mutuando le procedure di un organismo qual è l’Anac, perdipiù doppiandolo, ma
mancando di assolvere allo scopo primario della lotta alla mafia vista come
emergenza.
Assumere la corruttela nei modi allarmistici di una specificità pari alla
mafia comporta non solo ridimensionare Cosa nostra a presenza non più
emergenziale ma ordinaria e perciò alla fine accettabile, ma anche liofilizzare
l’iniziativa politica in una sporade di tali e tanti fronti (c’è chi ha
proposto di aggiungere anche la lotta alla massoneria e chi addirittura lo
strapotere dei dirigenti pubblici) da aversi alla fine un ispettorato e non una
Commissione antimafia. La quale si definisce nell’esclusiva azione tesa a
studiare dinamiche sociali e politiche che riguardano gli elementi costitutivi
dell’insorgenza mafiosa, a cominciare dall’omertà e dall’ingerenza del potere
mafioso nella sfera pubblica, concentrando a questo modo l’impegno
istituzionale sulla terza fase che Sciascia preconizzava circa l’evoluzione del
fenomeno, i rapporti cioè di intermediazione parassitaria tra cittadino e
Stato. Reati come la corruzione, la concussione, il voto di scambio, la
malversazione, il peculato e decine di altri non hanno nulla di siciliano se
non che vengono commessi anche in Sicilia, forse in misura maggiore per effetto
di una causa endemica, che è appunto la mafia. Ma investigare gli effetti e non
la causa significa disattendere l’imperativo di una Commissione antimafia che,
priva di reali poteri, si è vista per altri versi mutata da organismo pensato
in origine per instillare nella coscienza comune, specie giovanile, una
consapevolezza antimafia a scuola di educazione alla legalità tout court,
quando in Sicilia, proprio perché Sicilia, è la coscienza civile antimafia che
occorre ancora maturare, col mettere in capo alla Regione il compito di
provvedere ad essa in permanente stato di emergenza, spettando invece allo
Stato infondere e diffondere, giusta la teoria di Robert Nozick
sull’associazione protettiva dominante, un modello unico nazionale di
acquisizione di uno spirito condiviso di legalità.
E’ la Sicilia a subire la maledizione e l’onta della mafia. Spostando il
mirino nella nuova e inedita smania di individuare nuove minacce si rischia di
perdere di vista l’obiettivo vero e di fare un favore al nemico di sempre e più
incombente. Purtroppo, all’unanimità, il parlamento siciliano sembra aver fatto
proprio questo. Anziché potenziare e munire la Commissione antimafia di
crescenti poteri di penetrazione, l’ha disarticolata e diversificata fino a
sterilizzarla. Ma, sebbene sulla carta e per legge sia diventata un’altra cosa,
spetterà ai suoi componenti tenerla sulla rotta primigenia e istituzionale, nel
convincimento che andare in altre direzioni può significare andare alla deriva.
La Repubblica Palermo, 18 febbraio 2018
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