I pomodorini di Pachino |
CARLO OTTAVIANO
Il pomodoro Pachino non è originario del Siracusano, ma di Tel Aviv. Il
marsala è inglese Salvo il cioccolato di Modica tanto amato da Sciascia
Il marsala, il pomodorino di Pachino e il cioccolato di Modica non hanno
mai fatto male a nessuno. Invece le parole di Alberto Grandi, professore
universitario a Parma, sulle tre eccellenze siciliane risultano indigeste a
tanti. Nel libro “Denominazione di origine inventata”, appena edito da
Mondadori, lo storico sostiene che si tratta di invenzioni di marketing e che
le narrazioni sulle loro antiche origini sono fake news, bufale a scopo
commerciale. Con uguale determinazione Grandi bombarda altri simboli del made
in Italy a partire dal parmigiano reggiano che sarebbe nato in Wisconsin. La
tesi di fondo è che il mito della cucina italiana ha origine negli anni
Sessanta e che in Italia «si è affermata l’assurda pretesa di codificare la
tradizione per decreto». Niente di nuovo: già lo storico inglese Eric Hobsbawm
aveva dimostrato che è una «invenzione della tradizione» perfino il kilt
scozzese, nato solo nella seconda metà dell’Ottocento «con buona pace – scrive
Grandi – di Mel Gibson e del suo Braveheart».
Per quanto riguarda i prodotti simbolo della Sicilia, Grandi ha ragione in
due casi su tre.
Sul Marsala riconosce – bontà sua – ai siciliani l’onestà intellettuale di
non bluffare sui meriti del commerciante inglese John Woodhouse che in ognuna
delle trenta botticelle di vino siciliano caricate nel 1773 sul brigantino
Elizabeth aveva aggiunto due galloni di alcol per garantirne la conservazione.
Ne venne fuori un vino liquoroso, simile al Madera.
Ecco, Woodhouse lo spacciò come spagnolo e zitti zitti così continuarono a
fare altri imprenditori inglesi (Ingham, Hopps, Whitaker, Payne, Corlett, Pink,
Clarkson, Wood) giunti in Sicilia sull’onda del successo. La nuova narrazione
sul vinum in perpetuum prodotto sin dai tempi dei Cartaginesi (ma
siamo nell’ambito delle favole e non delle certezze storiche) arriva molto
dopo, durante il regime fascista, quando non si poteva certo «ammettere che un
vino italiano fosse in realtà un’invenzione della perfida Albione».
Il pomodoro Pachino è un altro tipico Doi, denominazione di origine
inventata. Ci sono persino data e luogo di nascita certi: 1989, centro di
ricerche genetiche Hazera Genetics a Tel Aviv. Non è propriamente un Ogm ma un
Mas (Market Assisted Selection), insomma un ibrido, un incrocio creato in
laboratorio «dove in poco tempo viene fatto quello che in natura potrebbe
durare millenni attraverso il noto meccanismo della selezione naturale di
darwiniana memoria».
In un primo momento il piccolo “ciliegino” non ebbe grande fortuna presso i
coltivatori siciliani abituati a produrre pomodori di dimensioni ben maggiori
ma solo nella stagione calda, a differenza dell’odierno Pachino che matura
tutti i mesi dell’anno e quindi con enormi potenzialità commerciali.
Comunque, va detto, nel siracusano il pomodoro israeliano cresce meglio che
altrove. Fatto sta che ora i coltivatori siciliani sono legati a doppio
mandato a Israele per l’acquisto dei semi o delle piantine.
Eccoci a Modica, infine, dove invece è stata considerata lesa maestà la
tesi di Grandi a proposito dello straordinario cioccolato lavorato a freddo.
«La storia – scrive – è meno affascinante di quel che si racconta in modo
decisamente bizzarro». Dare agli Aztechi e ai conquistadores spagnoli del
Messico il merito dell’origine della ricetta sarebbe pura invenzione e a
creare, involontariamente, il qui pro quo sarebbe stato addirittura Leonardo
Sciascia durante un viaggio negli anni Ottanta ad Alicante. In Europa –
sostiene Grandi – le prime barrette solide di cioccolato sono apparse nel 1847
a Londra e solo più di un secolo dopo, nel 1990, Franco Ruta della Dolceria
Bonajuto di Modica sarebbe riuscito a creare a freddo l’impasto granuloso
con i cristalli di zucchero. E qui – dicono a Modica – casca l’asino!
«Ci sarebbe tanto, troppo da dire – replica Pier Paolo Ruta – Sarebbe
bastato sbirciare tra le nostre vetrine per trovare esempi di “Xocolata a la
Piedra” ancora oggi prodotta in diversi parti della Spagna». Ruta, cita studi
dei secoli scorsi: «Si potrebbe scrivere un trattato per segnalare le
similitudini tra il metate raffigurato nel codice Mendoza ed i racconti delle
lavorazioni sulla “valata” che faceva mio nonno o la postura curva di Don Luigi
Baglieri, l’ultimo “ciucculattaru” ambulante ancora vivente». Negli stessi
giorni dell’uscita del libro di Grandi, Ruta ha pubblicato il librettino
“Voltaire e la cioccolata di Modica”, di Marcella Smocovich, giornalista e scrittrice
di origine istriana, per 15 anni assistente personale a Roma di Leonardo
Sciascia. «Leonardo Sciascia – scrive Smocovich – prima di essere uno scrittore
era un siciliano intelligente, gentile e generoso; e per gli amici, i direttori
di giornali e molti intellettuali, uno spacciatore di cioccolata di Modica, di
dolci siciliani, di stampe antiche e di libri».
La scrittrice narra di un viaggio a Barcellona. : «Durante una cena con
Manuel Vázquez Montalbán, aveva vantato la cioccolata dell’Antica Dolceria
Bonajuto fatta ancora secondo l’antica tradizione precolombiana che gli
spagnoli credevano fosse solo loro». E stavolta oltre che letteratura, queste
parole sono sentenza, anzi Cassazione, a chiudere le polemiche provocate dal
comunque interessante libro del docente emiliano.
La Repubblica Palermo, 27 febbraio 2018
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