Fabrizia Triolo accarezza la targa dedicata al padre |
di PIER GIUSEPPE SCIORTINO
Tanti spazi urbani, giardini ed edifici pubblici sono intitolati a uomini,
date e fatti che hanno l’obiettivo di rendere viva la memoria collettiva dando alla storia il
valore positivo. Ma la storia
purtroppo spesso è
scritta dai vincitori,
quelli che in
quel presente hanno rappresentato la forza, il potere, non
sempre esercitato in maniera umana, civile e democratica. Una volta mi diedero
l’opportunità di scrivere in un blog locale; in quell’occasione volevo
provocare un dibattito chiedendo la sostituzione di alcuni toponimi di vie e
piazze che erano intitolate a personaggi e fatti del risorgimento, proponevo
(un esempio per tutti) di cambiare la via “Bixio” con “Vittime di Bronte
dell’agosto del 1860” (perdenti dimenticati dalla storia). Era un gioco,
ripeto, una provocazione per parlarne e stimolare un dibattito. Ho letto
l’articolo del giornalista Anselmo sulla questione della intitolazione
dell’auditorium all’avvocato Ugo Triolo, e se da un lato mi sento di
condividere la sensibilità alla conservazione storica di quel contesto urbano,
dall’altro mi pongo una domanda: “ma davvero l’intitolazione di un auditorium,
che diventa tale prima di questa recente decisione dei commissari, ovvero ha
smesso di essere chiesa prima (forse più di 150 anni fa) possa sollecitare
tutto questo “pandemonio” sui social e nei blog?”.
Certamente non c’entra
niente S. Andrea sulla rivisitazione storica e sulla necessità culturale di cambiare
intitolazione ad un edificio, ma se quel nuovo nome è un atto di celebrazione
di verità, un atto di memoria che diventa storia e la storia (in questo caso) è
occasione di riscatto di una collettività, allora si! Penso proprio che quella
scelta è atto di grande valore culturale! Inoltre, non credo che apporre quella
targa commemorativa all’entrata dell’auditorium sia stata un’azione
dissacratoria, quella forse l’hanno fatta
coloro che di quel luogo ne fecero magazzino/deposito, coloro che non
hanno fatto nulla per restituire valore storico-culturale ad un manufatto
architettonico da riconnettere ad un ambiente urbano di antica definizione.
Perché tanta indignazione?(quella dei social). Perché oggi? Perché in
questo particolare contesto? (la memoria di un concittadino ucciso dalla mafia)
Ho assistito a due degli appuntamenti organizzati per ricordare Ugo Triolo e
Mario Francese, quella del 22 gennaio al Liceo di Corleone, e quella del 26
alla presenza di importanti rappresentanti delle istituzioni e uomini di
cultura. Sia nella prima che nella seconda ho sentito Dario Triolo, mio amico
da sempre, un ragazzo che è dovuto diventare uomo chiedendosi: “perché hanno
ucciso mio padre?” Un padre ucciso due volte, prima dai proiettili della mafia
e dopo dall’indifferenza. Dario esordisce il 22 dicendo che ne sta parlando
solo ora dopo 40 anni e ci parla di un uomo semplice, rispettoso delle regole,
tutto d’un pezzo. E’ vero! Siamo vecchi amici e ricordo bene quel galantuomo.
Rifletto: “Quanto tempo, quanto dolore, quanta sofferenza, incertezza ....
E noi con questo ipocrita dibattito, vogliamo uccidergli per la terza volta il
padre?” No! Non è umanamente onesto, non è intellettualmente consentito! Che
sia chiaro: non ritengo responsabile di faziosità l’articolo del giornalista e
scrittore Anselmo (a cui riconosco un ruolo culturale importante per Corleone e
non solo); anzi quanto scrive è un importante
occasione di riflessione sul valore storico-urbanistico
di questa città, purtroppo quell’articolo ha
prestato il fianco, di sicuro involontariamente, all’ipocrisia culturale
di chi preferisce ancora nascondere la testa nella sabbia.
Faccio ancora un’altra riflessione, rifletto sulle parole del giornalista
scrittore Dino Paternostro: “l’antimafia è antica quanto la mafia”. Penso che
abbia voluto sollecitare anche la memoria collettiva di altre vittime lasciate
nel dimenticatoio. Dino Paternostro se ne è occupato con attenta scientificità storica
nei suoi numerosi studi. Ho riletto i suoi articoli sulla morte di Giovanni
Zangara nel 1919, di Calogero Comaianni del 1945, anche costoro facevano
semplicemente il loro dovere per essere condannati a morte; e mi viene in mente
il piccolo Giuseppe Letizia testimone oculare dell’omicidio di Placido
Rizzotto.
A questo punto penso veramente che questo dibattito sulla toponomastica accesosi
sui social diventa sempre più offensivo alla memoria di uomini onesti e vittime
innocenti per mano mafiosa, per alcuni è solo un modo di provare banalmente (e
aggiungo malvagiamente) la scalata ad un “professionismo dell’antimafia”
attraverso i social. Sciascia coniò quel dire in un contesto certamente diverso
e culturalmente più alto, lui grande meridionalista e fine scrittore sapeva
raccontare la Sicilianità con le sue contraddizioni e ci offre spunti di più
colta riflessione.
Concludo facendo una proposta sia ad Anselmo quanto a Paternostro essendo
uomini di cultura: “propongo di promuovere una giornata di studi sulla memoria
e chiedo loro di essere promotori per l’istallazione di un monumento che unisce
virtualmente in un unico spazio urbano di rilevanza tutte le vittime della
mafia di questa città”. Senza scomodare santi, laici, credenti, re, principi e baroni.
Come si dice: “L’unione fa la Forza!”
Pier Giuseppe Sciortino
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