ILVO DIAMANTI
La percezione della criminalità organizzata resta
molto alta. E anche nel Settentrione è aumentata la paura di infiltrazioni. I
più “sensibili” sono gli elettori della Lega e del M5S
La mafia, fino a qualche tempo fa, aveva un marchio territoriale preciso.
Perché il suo rapporto con il territorio era stretto. Andava oltre la
prospettiva “criminale”. La mafia era radicata nella società — e nel territorio.
Sostituiva lo Stato dove lo Stato era lontano.
Assente. In Sicilia, anzitutto. Quindi, con modelli e definizioni diverse,
in altre Regioni del Sud. In Calabria, Puglia, Campania. Dove la ‘ndrangheta,
la sacra corona unita e la camorra avevano — e hanno ancora — una presenza
forte e diffusa. Ma oggi la situazione è cambiata profondamente. E le mafie si
sono diffuse dovunque. A Roma. Dove Mafia capitale, al di là
della sentenza di primo grado, ha dimostrato il legame profondo fra
società e criminalità. Nella Capitale, appunto. Ma soprattutto a Nord. E oltre
confine. Aree dove riciclare e investire è più facile che nel Mezzogiorno.
Le inchieste dei magistrati hanno seguito e ricostruito da tempo i percorsi
della criminalità organizzata. La nuova — e mutevole — geografia della mafia,
però, non viene riprodotta solo da giudici e poliziotti. Ma è divenuta, ormai,
“senso comune”. Lo “sconfinamento” mafioso oltre i territori tradizionali,
infatti, è largamente condiviso. Come lo è l’espansione del fenomeno. Il
sondaggio di Demos, condotto alcune settimane fa, lo recepisce con molta
chiarezza. Per non generare equivoci, meglio ribadire che si tratta di
un’indagine sulle opinioni e sulle percezioni. Non faccio e non facciamo i
magistrati. Anche se i dati delle inchieste sull’Opinione Pubblica riflettono
quelle delle inchieste dell’antimafia. Ne sono ovviamente condizionate. Visto
che le indagini dei magistrati hanno un impatto rilevante sui media. E, quindi,
sull’opinione pubblica. Secondo un terzo degli italiani (del campione
intervistato da Demos), dunque, la mafia oggi sarebbe «più forte rispetto a
20-30 anni fa». All’epoca degli omicidi di Piersanti Mattarella, Giuseppe Fava,
Ninni Cassarà, Beppe Montana, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Giovanni Falcone e
Paolo Borsellino. Solo per citarne alcuni. D’altronde, le vittime di mafia, in
Italia sono stimate in diverse migliaia.
Ebbene, nella percezione sociale, da allora sarebbe cambiato poco. Tanto
più che, secondo un ulteriore 46%, la sua influenza resterebbe inalterata,
rispetto a quegli anni di sangue e di morte. Mentre meno di 2 italiani su 10
considerano la presenza mafiosa diminuita. Il maggior grado di gravità del
fenomeno è percepito dagli elettori della Lega: 43%. Quindi, a distanza, dalla
base del M5s (38%). Mentre il pericolo della mafia appare meno forte che in
passato a coloro che votano FI (29%).
Ma se la forza della mafia appare immutata e perfino cresciuta, nella
percezione dei cittadini, la geografia del suo radicamento risulta
profondamente cambiata. La mafia, secondo quasi metà degli italiani (47%), si
sarebbe diffusa e allargata soprattutto nel Nord. Molto meno nel Sud. Quasi per
nulla nel Centro. Nonostante le indagini su Mafia Capitale e i recenti episodi
violenti e criminali avvenuti a Ostia. Ma Roma, probabilmente, è percepita come
un’entità specifica e diversa. Va oltre il “centro”.
Invece, colpisce come la marcia verso Nord della mafia venga recepita e
sottolineata proprio in quest’area. Soprattutto a Nord-Ovest (57%), lungo
l’asse Milano-Torino-Genova. Fino ai confini con L’Emilia Romagna. Anche nel
Nord-Est l’espansione mafiosa è riconosciuta da un ampio settore di popolazione
(poco meno del 50%). Mentre questa percezione tende a diminuire via via che si
scende a Sud. Dove si è meno disponibili a cogliere, meglio: ad accettare le
nuove direzioni della presenza territoriale della mafia. Anche se la diffusione
della mafia, nel proprio contesto, viene considerata in crescita da una
componente di persone, tutto sommato, limitata (10%).
La rappresentazione geopolitica mafiosa mostra differenze significative e
rilevanti, in base agli orientamenti di voto.
L’espansione del fenomeno nel Nord, in particolare, incontra maggiore
difficoltà ad essere ammesso fra gli elettori dei partiti che hanno basi e
radici più forti in quest’area. In particolare, fra i leghisti e, ancora più,
fra i votanti di FI. Fra i padani e nella base del partito di Berlusconi.
Impiantato a Milano, anche se diffuso, successivamente, un po’ dovunque. Soprattutto
nel Mezzogiorno. Tuttavia, quasi 4 elettori della Lega su 10 oggi riconoscono
come la mafia sia, ormai, cresciuta anche — anzi: soprattutto — intorno a loro.
A “casa loro”.
Così, mentre i magistrati ricostruiscono gli itinerari della risalita mafiosa
— e della criminalità organizzata — dal Sud verso il Nord, la società e la
popolazione adeguano gli “occhiali” con i quali osservano e valutano il mondo
intorno a loro. E scoprono una realtà profondamente cambiata. Nella quale
le differenze territoriali non sono più profonde e marcate come un tempo. La
frattura fra Nord e Sud, in particolare, tende a ridimensionarsi.
Almeno sotto il profilo del fenomeno criminale. Meglio: della criminalità
organizzata.
Le distanze, a questo proposito, sembrano ridotte. Il Paese appare sempre
più omogeneo, al proprio interno. Un’Italia (maggiormente) unita dalla crescita
mafiosa. Nella percezione dei cittadini. Occorre prenderne atto. Tuttavia, di
fronte all’espansione mafiosa occorre reagire. Non solo attraverso l’azione
giudiziaria e di polizia. Ma anche, anzitutto, sul piano sociale e culturale.
Per questo, non dobbiamo “dare per scontato”. Non rassegnarsi.
La Repubblica, 8 gennaio 2018
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