Claudio Gioè interpreta Mario Francese |
PAOLA NICITA
«No comment. Vediamo che succede domani (oggi per chi legge, ndr) con la
messa in onda». Preferisce non entrare nella polemica Claudio Gioè, l’attore
palermitano che intepreta il giornalista Mario Francese, nella nuova fiction
“Delitto di mafia”, prodotta da TaoDue, in onda stasera su Canale5, e sulla cui
messa in onda pende adesso la diffida del Giornale di Sicilia.
La fiction è stata presentata in anteprima giovedì sera al Rouge et
Noir, alla presenza del presidente dell’Ordine dei giornalisti, Giulio
Francese, il figlio di Mario, che emozionato aveva commentato: «Non è un
momento facile, ma hanno fatto un ottimo lavoro e reso giustizia a mio padre, e
raccontato con partecipazione la storia di mio fratello. So che ci saranno
polemiche».
Claudio Gioè, in collaborazione con la famiglia del giornalista, ha
raccolto tasselli di storie piccole e grandi per rendere presente e vicina
una storia di quasi quaranta anni fa.
Gioè, come ha costruito il personaggio Mario Francese?
«Intanto con emozione, è un tema che mi riguarda molto da vicino. E che mi
ha fatto scoprire quanto oblio ci sia intorno a questa figura così importante,
emblema di una mafia che uccide chi fa il proprio lavoro. Così quando il
produttore mi ha chiesto di interpretarlo mi sono sentito molto onorato. La
collaborazione con la famiglia Francese è stata determinante, mi hanno accolto
con affetto, il figlio Giulio ha diviso con me i suoi ricordi: anche quelli
dolorosi, della morte del fratello, Giuseppe, che si suicidò dopo aver a lungo
combattuto per riaprire il processo».
Che idea si è fatto? Che tipo di uomo era per lei Francese?
«Un uomo dall’umanità contagiosa; lui arrivava da Siracusa, era molto
estroverso, amava le persone della Vucciria, che aiutava anche a reclamare i
propri diritti, quando vedeva delle storture. Ho letto molte delle sue cronache sulla mafia, gli accordi per gli appalti
con i Corleonesi, e per completare questo ritratto familiare, che poi in realtà
è pieno di contenuti politici e culturali, Giulio ci ha fatto leggere le
cronache che suo padre aveva scritto nella Palermo bombardata. Mario amava
profondamente il suo lavoro».
È un modo per conservarne la memoria, altrimenti perduta?
«Per dimenticare basta non parlare. Il valore di una fiction che intanto
porta il suo nome è per noi un grande risultato. Il film è un omaggio, più che
un racconto dettagliato».
Ma al cinema e in televisione, i racconti che arrivano da Palermo parlano
sempre di mafia: non crede sia eccessivo?
«Chi si lamenta dell’eccesso di fiction sulla mafia ha ragione, se
consideriamo solo il business. Ma spero che la gente sappia distinguere. E poi
non vedo l’ora che a Palermo si raccontino altre storie, ma al momento abbassare
la guardia è pericoloso. Quando la Sicilia si riscatterà dalla mafia
racconteremo altre storie. Deve essere Palermo, per prima, a dare un’altra
immagine di sé».
La Repubblica Palermo, 21 gennaio 2018
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