La famiglia Francese |
SALVO PALAZZOLO
Il 26 gennaio del 1979 la mafia uccise Mario,
giornalista al Giornale di Sicilia. Le inchieste del figlio Giuseppe
«Avevo dodici anni, la sera del 26 gennaio 1979 ho sentito da casa quella
tragica sequenza di colpi di arma da fuoco». Giuseppe Francese scriveva da
cronista anche quando raccontava il suo dolore più grande. «Furono sei i colpi,
per l’esattezza — annotava sul quindicinaleL’inchiesta, nel dicembre 1998
— Da lì a poco, scoprii che il bersaglio era mio padre, il giornalista Mario
Francese». Giuseppe era diventato cronista per ritrovare suo padre, coraggioso
cronista di giudiziaria del Giornale di Sicilia. E cercando la verità
su quel delitto rimasto per troppi anni impunito, aveva scoperto preziosi
spunti anche per riaprire altri casi irrisolti.
Eccoli, dunque, gli articoli di Giuseppe Francese, che nel 2002 si tolse la
vita, schiacciato dalle tante, troppe domande annotate nel suo taccuino di
cronista. Sono passati 39 anni dalla morte del padre, oggi Mario Francese verrà
ricordato a Palermo nel corso di una cerimonia organizzata dall’Unione
nazionale cronisti per le 9, in viale Campania.
Il pretore e il giornalista
Su questo giornale, Giuseppe Francese raccontò la storia del vice pretore
onorario di Prizzi, l’avvocato Ugo Triolo, che era stato ucciso esattamente un
anno prima del padre. La sera del 26 gennaio 1978, Mario Francese era corso a
Corleone, rilevando quanto fosse vicina la casa di Totò Riina dal luogo
dell’omicidio. Triolo fu il primo obiettivo della strategia di attacco dei
mafiosi corleonesi, ma ancora oggi resta un delitto senza colpevoli. Stesso
destino toccato a Cosimo Cristina, il collaboratore del
giornale L’Ora trovato cadavere in una galleria ferroviaria di
Termini Imerese, il 5 maggio 1960: «Si tratta di un palese suicidio,
sentenziarono sicuri gli inquirenti — Giuseppe Francese ricostruì
minuziosamente il caso su L’inchiesta, nel numero di aprile 1998 —
non venne disposta neanche l’autopsia».
Il giovane cronista Francese recupera gli articoli sulla morte del
battagliero giornalista di provincia, cerca alcuni testimoni dell’epoca, e poi
ancora le carte di un investigatore di razza, il vice questore Angelo Mangano,
che aveva un’idea ben precisa sulla morte di Cristina: « Era stato condannato
dal tribunale della mafia » . Giuseppe Francese dedica l’articolo a suo
padre «e a tutti i giornalisti della violenza mafiosa», e intanto va avanti
nella sua ricerca del padre e di tutto quello che ha visto negli ultimi mesi
della sua vita.
La strategia della tensione
Il figlio di Mario Francese si imbatte nel tema più delicato: i rapporti
fra le cosche palermitane e la destra eversiva. Il metodo di Giuseppe è sempre
lo stesso: parte da un articolo del padre, sottolinea gli interrogativi
irrisolti e inizia le sue ricerche, attraverso atti giudiziari e nuovi
testimoni. Sul numero di maggio 1998 dell’Inchiesta pubblica un’inchiesta sui “Bombaroli
di Cosa nostra”. Non è un argomento facile, ma Giuseppe Francese è un cronista,
come suo padre, e allora parte dai fatti per cercare di delineare la strategia
della tensione avviata da Cosa nostra, «per tutelare, fra il 1977 e il 1978 -
scrive - i responsabili dell’omicidio del colonnello Giuseppe Russo»,
l’investigatore che aveva compreso l’avanzata dei nuovi mafiosi di Corleone.
Giuseppe mette in fila tutti gli attentati dinamitardi di quel periodo e
scopre che le bombe sono iniziate proprio all’indomani della presentazione del
primo rapporto dei carabinieri sul caso Russo. Spiega: «Gli ordigni vengono
piazzati davanti al commissariato Mondello, presso la centralina Sip di Tommaso
Natale, mentre l’ultimo scoppio avviene all’ 1,30, presso il deposito Cirio di
via Lancia di Brolo. Nel muro di cinta del commissariato vengono rinvenute
delle scritte con lo stemma di Ordine Nuovo». È l’inizio di una escalation di
attentati, che Giuseppe Francese ricostruisce in una cronologia ancora oggi
preziosa. Perché le trame nere sono lo scenario in cui si continua a indagare
per cercare i killer del presidente della Regione Piersanti Mattarella, ucciso
il 6 gennaio 1980. Su Antimafia Duemiladel gennaio 2001, viene
pubblicato un altro articolo sui bombaroli di Palermo: «Il colonnello Russo
aveva scoperto che l’esplosivo era compatibile con quello trovato in un
magazzino nella disponibilità del boss di San Lorenzo Francesco Madonia.
L’aveva scoperto il colonnello Russo». Anche Giuseppe, come suo padre, era
attentissimo alle indagini fatte da Russo, ancora oggi una delle vittime poco
ricordate.
L’inchiesta da scrivere
A Giuseppe piaceva tanto una frase di Alessandro Baricco, scritta nel libro
“Castelli di rabbia”. Questa: «Accadono cose che sono come domande. Passa un
minuto, oppure anni, e poi la vita risponde». Giuseppe ne aveva annotate
davvero tante domande nel suo taccuino. E le domande dei cronisti non muoiono.
«Passa un minuto, oppure anni, e poi la vita risponde» . Le domande del
cronista che cercava suo padre restano il progetto attualissimo di una grande
indagine sulla mafia ancora da scrivere.
La Repubblica Palermo, 26 gennaio 2017
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