Il sindaco al servizio del clan: liste concordate con i boss. «…Ci siamo visti per Pasqua .. loro sono venuti qua…loro erano quasi fuori
da questa gara (d’appalto, ndr)… e io mi sono messo a disposizione…».
Santo
Sabella è un sindaco al servizio di Cosa nostra secondo il gip di Palermo
Filippo Serio che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei
confronti del primo cittadino di San Biagio Platani e per altri
62 fra boss, gregari e fiancheggiatori del mandamento di “montagna” della
provincia di Agrigento. Secondo i
sostituti procuratori della Dda di Palermo Geri Ferrara, Claudio Camilleri e
Alessia Sinatra coordinati dall’aggiunto Paolo Guido, oltre alle decine di
estorsioni fra tentate e realizzate, al traffico e spaccio di droga, il nuovo
corso della mafia agrigentina cercava di piazzare i propri uomini nelle
amministrazioni locali in modo da avere un canale privilegiato
nell’assegnazione di appalti pubblici. Le indagini, durate oltre due anni del
reparto operativo dei carabinieri di Agrigento hanno accertato l’infiltrazione
mafiosa anche in un altro comune della provincia, Cammarata, dove una
consigliera comunale d’opposizione – sempre secondo gli inquirenti -
sarebbe stata eletta con i voti delle famiglie.
Santo Sabella, in carcere da stamattina per concorso esterno in associazione mafiosa, viene eletto sindaco a fine maggio 2014 con 1.032 voti nella lista civica appoggiata dal centro destra “San Biagio nel cuore”. Sabella non è la prima volta che guida il paesino agrigentino. Ha già indossato la fascia tricolore a metà degli anni duemila. Nel 2014 sconfigge la lista del movimento 5 Stelle e quella del Pd che ha Rosalba Di Piazza come candidata. Un’avversaria che Sabella apostrofa su Facebook così: «La mignotta ha pubblicato un documento politico su Facebook poi consegnato brevi manu all’amico onorevole». Una frase che gli è costata lo scorso novembre una condanna in primo grado dal tribunale di Agrigento per diffamazione aggravata.
I carabinieri accertano che già nei primi mesi del 2014 ci sono rapporti molto frequenti fra Santo Sabella e i mafiosi della famiglia di San Biagio Platani, quando l’allora candidato discute e concorda con Giuseppe Nugara, Raffaele La Rosa e Vincenzo Cipolla (rispettivamente reggente e componenti del clan) le candidature da presentare sia nella lista che sostiene Sabella sia in quelle degli avversari. «…se no… se ne vanno…ci vanno i comunisti… ci mettono… non lo possiamo permettere… minchia ti immagini… ma se ci dividiamo loro sono i favoriti… e noi queste cose non le possiamo permettere» dice Santo Sabella a Giuseppe Nugara, il reggente della famiglia. Gli inquirenti registrano molti incontri durante i quali Sabella assicura, una volta eletto, agevolazioni alle famiglie mafiose, come nel caso dei lavori aggiudicati alla Comil di Favara una ditta “costretta” ad assumere una ventina di operai di San Biagio Platani in cambio dell’appalto.
Ma i rapporti fra il primo cittadino e i mafiosi locali riguardano anche i controlli delle forze dell’ordine. Il referente di Sabella è sempre Nugara che viene avvisato di un nuovo sistema di telecamere installato in paese. Sabella suggerisce a Nugara anche di non frequentare e non parlare con uno dei carabinieri in servizio nella stazione di San Biagio Platani. «no devi stare attento… tutti i bastardi che stanno d'avanti alle telecamere... minchia puntano telecamere… è pericoloso… devi stare attento a parlarci»
Nel comune di Cammarata invece nel mirino finisce l’elezione di una
consigliera comunale d’opposizione, Giovanna Bonaccolta (che non è destinataria
di alcuna misura cautelare), moglie di Pietro Stefano Reina, il pediatra del
paese arrestato questa mattina con l’accusa di voto di scambio e concorso
esterno in associazione mafiosa. Gli inquirenti ricostruiscono i contatti fra
Reina e Calogerino Giambrone (anche lui arrestato ed esponente della famiglia
mafiosa di Cammarata) nei mesi precedenti alle consultazioni amministrative del
maggio 2015. Da quanto emerge nell’atto d’accusa dei pm della Dda di Palermo
Reina si comporta come il regista della campagna elettorale della moglie e
chiede i voti a Giambrone promettendogli che, una volta eletta, la moglie
avrebbe curato gli interessi della famiglia mafiosa. Giambrone accetta di
sostenere la donna, chiedendo però che Reina faccia da intermediario
con il fratello della moglie (titolare di
un’area di servizio lungo la statale 189) per la fornitura di caffè al bar. In
sostanza i voti delle famiglie sarebbero andati alla Bonaccolta se il fratello
della candidata avesse accettato di rifornirsi di caffè esclusivamente dal
cognato di Giambrone. Uno scambio che però non andò in porto. Giovanna
Bonaccolta venne eletta con 321 voti, ma l’area di servizio non cambiò
fornitore di caffè.
La Repubblica palermo, 22 gennaio 2018
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