Antonino Ciavarello |
I
carabinieri della stazione di San Pancrazio Salentino, in provincia di
Brindisi, hanno notificato un ordine di esecuzione pena ad Antonino Ciavarello,
44enne originario di Palermo, marito di Maria Concetta Riina
Il genero di Totò Riina nuovamente agli arresti. I carabinieridella stazione di San Pancrazio Salentino, in provincia di Brindisi, hanno notificato un ordine di esecuzione pena ad Antonino Ciavarello, 44enne originario di Palermo, marito di Maria Concetta Riina, figlia del capo dei capi di Cosa nostra, defunto pochi giorni fa. I due vivono da tempo in Puglia. Ciavarello è stato arrestato perché deve espiare 6 mesi di reclusione in regime di detenzione domiciliare. L’ordine di esecuzione pena è legato a una condanna per una truffa compiuta nel 2009 a Termini Imerese, in provincia di Palermo.
Prova a difendere Ciavarello la moglie Maria Concetta Riina. Ecco cosa scrive su Facebook:
«Visto che stanno già facendo varie ipotesi e contestazioni varie vi spiego cosa è successo; Nel 2008-2009 migliaia di italiani sono stati coinvolti in una serie di truffe di falsi bonifici e riciclaggio degli stessi, mio marito Antonino Tony Ciavarello è stato uno dei coinvolti, vittima dei truffatori che lo hanno usato per i loro sporchi affari, grazie ad un grande avvocato che non è andato a processo a difenderlo si è ritrovato con una condanna a sei mesi».
«Giusto però è che sappiate la verità - aggiunge postando una foto di operazioni bancarie fatte dal marito - e ve ne mostrerò uno stralcio, i soldi ricevuti tramite bonifico non li ha tenuti per se, inconsapevolmente è stato vittima dei truffatori, la prova che vi mostro sotto fa parte di un indagine dei Ros dei Carabinieri, dove si evince che mio marito i soldi ricevuti tramite bonifico li ha rigirati tramite Western Union come indicati dal truffatore. In mezzo a circa 6.000 italiani, l'unico condannato è mio marito».
Nei mesi scorsi a Ciavarello erano stati sequestrati alcuni beni considerati dagli inquirenti come parte del “tesoro” di Totò Riina. Si tratta di imprese che commerciano in autovetture e, stando agli esiti delle indagini patrimoniali, sono state costituite con denaro sporco. L’esame incrociato della contabilità delle aziende, infatti, aveva evidenziato una sperequazione di ben 480 mila euro, immessi per lo più in contanti ed in numerose tranche nei patrimoni sociali senza alcuna giustificazione legale.
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