Franco Franchi |
EMILIANO MORREALE
Un omaggio in due sere al De Seta per il comico che diventò una maschera
palermitana Le origini, i numeri da strada, il successo e l’accusa
Franco Franchi “maschera di Palermo”, come recita l’evento di domani al
teatro De Seta, con Maresco, Ficarra e Picone e Marco Giusti. Maschera di
Palermo se è vero che l’anima di Palermo è il suo sottoproletariato. Francesco
Benenato, il futuro Franco Franchi, padre muratore, numero imprecisato di
fratelli e sorelle, aveva iniziato la carriera dai gradini infimi del teatro di
strada, fino all’incontro con Ciccio Ingrassia nel 1954, e poi
nell’avanspettacolo con numeri che diventeranno noti al pubblico televisivo, a
cominciare dalla celebre esecuzione di “Core ‘ngrato” continuamente interrotta.
Entrati nel cinema, Franco e Ciccio dovettero normalizzarsi, ripulire la forza
selvaggia e plebea della propria arte in canovacci spesso logori, ma a volte
riuscendo a inserire lampi di genio. La normalizzazione fu anche linguistica:
il palermitano non era tra i dialetti riconosciuti dal nostro cinema, e i due
comici dovettero adeguarsi alle cadenze del siciliano “da doppiatore”, ossia
alla koiné catanese che derivava dalla gloriosa tradizione del teatro di Angelo
Musco.
Furono i comici di maggior successo del cinema italiano, dal ’63 alla fine
del decennio e oltre.
Ebbero la sfortuna di trovarsi in una fase di decadenza produttiva, in cui
la qualità professionale dei prodotti popolari declinava. Ma in una ideale
antologia cinematografica troverebbero posto certi film diretti da Lucio Fulci
( 002 agenti segretissimi, Come svaligiammo la banca d’Italia, Il lungo,
il corto, il gatto), Due mafiosi contro Goldginger, Le spie vengono dal
semifreddo di Bava, Due marines e un generale a fianco di Buster
Keaton (che portava sul set le noccioline a Franco perché, diceva ammirato, «è
una scimmia». E poi, l’idea di fare di loro Don Chisciotte e Sancho Panza nel
film del ‘68 era perfetta, e sono da ricordare alcuni tardi film del lumpen
Nando Cicero ( Ma chi t’ha dato la patente?, Armiamoci e partite).
Ma Franchi è memorabile in qualche altro momento. All’inizio dei Due
parà (1966), in cui rifà i suoi numeri di strada; nei Due
vigili (1967), in cui ha uno straziante momento da attore drammatico, e
nei Due maghi del pallone (1970), in una scena che entusiasmò
Pasolini per come «sia pure a livello brado, è riuscito a essere perfettamente
onirico» nel visualizzare il sogno del dribbling assoluto.
E non è forse un caso se le folgoranti apparizioni “d’autore” con Pasolini
in Che cosa sono le nuvole o Comencini nelle Avventure di
Pinocchio(il gatto e la volpe), erano anche riletture di forme teatrali
“basse”: l’opera dei pupi e gli imbonitori ambulanti.
Franco e Ciccio (e più Franco, in questo caso) hanno tenuto in vita e
portato nel cinema delle forme di spettacolo popolare che ormai erano
scomparse, ma che facevano parte del retroterra del loro pubblico, al Sud e
nelle periferie delle grandi città. E chi li guardava in Sicilia,
tranquillamente li considerava una versione su schermo dei pupi Nofrio e
Virticchio.
Da solo, con Cicero, la maschera di Franco diventerà più grottesca, quasi
sfigurata, in Ku Fu? Dalla Sicilia con furore (1973) e invece
sorprendentemente sobria nel proverbiale Ultimo tango a
Zagarolo (1973), e la vena malinconica esploderà in
Farfallon (1974) di Pazzaglia.
Ma dopo la separazione, il percorso di Franchi è più triste di quello del
sodale. Ingrassia piazza ruoli memorabili in film d’autore,
da Amarcord aTodo modo. Franchi invece tenta una carriera da
cantante serio, con hit un po’ fuori tempo come L’ultimo dei belli o
la pur notevole canzone diFarfallon, Vulannu vulannu. Poi ci sarà il
coinvolgimento in un processo per mafia, rapidamente archiviato ma che
amareggia gli ultimi anni di vita del comico ormai fuori dai giri: lo raccontano
benissimo Giuseppe Ayala e Pippo Baudo in alcuni passi di Come inguaiammo
il cinema italiano, il documentario di Ciprì e Maresco che sarà
proiettato stasera al De Seta.
Rimane da ricordare, al cinema, la straordinaria performance
nella Giara, episodio di Kaos (1984) dei fratelli Taviani:
il Pirandello più “gramsciano” che si sia mai visto. Negli archivi della Rai si
trova anche una testimonianza straordinaria del talento di Franchi a
teatro, Il cortile degli aragonesi, vastasata riscritta per lui da Ignazio
Buttitta. Era il 1973, Palermo nel frattempo stava producendo una straordinaria
stagione di teatro popolare e d’avanguardia, comico e non solo, dai Travaglini
in poi, con nomi come Burruano e Scaldati.
Nel luglio del 1992, tra la strage di Capaci e quella di via D’Amelio,
Franchi ha un collasso in scena mentre è a Roma a registrare le puntate
diAvanspettacolo, rentrée televisiva nella coltissima Rai3 di Angelo
Guglielmi, che proprio in quel periodo fa dirompere sullo schermo le immagini
di Cinico Tv. Un’altra Palermo, non troppo lontana da quella che aveva generato
Franco Franchi. Il comico nelle settimane successive sembra riprendersi, si
ripresenta sul palco per l’ultima puntata accolto da un applauso scrosciante.
Ma è l’addio alle scene: felice, in un certo senso, come gli sarebbe piaciuto.
Muore il 9 dicembre, esattamente un quarto di secolo fa.
La Repubblica Palermo, 9 dic 2017
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