I volontari al lavoro nei campi confiscati alla mafia |
MIRIAM DI PERI
Il racconto dei ragazzi che dalla
Toscana sono venuti in Sicilia. A lavorare nelle terre del boss di Corleone.
“Lasciali dire che al mondo quelli come te perderanno sempre, perché hai già vinto, lo giuro, non ti possono fare più niente”. Era il 2005, dalla Toscana – nell’arco di un’estate intera – sono arrivati in Sicilia, a Corleone, i primi 84 ragazzi pronti a sporcarsi le mani sulle terre confiscate a Totò Riina e assegnate alla cooperativa sociale Lavoro e non solo. Raccoglievano pomodori sotto il sole cocente di agosto. E cantavano Sogna, ragazzo, sogna, di Roberto Vecchioni. “Partecipare a quell’esperienza – racconta Veronique, oggi 32enne, mamma, moglie, funzionaria al Comune di Firenze – non è come fare un viaggio in Grecia, non è una bandierina da piazzare nel proprio atlante personale. Ti resta dentro, la riporti a casa, la metti in pratica nella vita di ogni giorno”.
“Lasciali dire che al mondo quelli come te perderanno sempre, perché hai già vinto, lo giuro, non ti possono fare più niente”. Era il 2005, dalla Toscana – nell’arco di un’estate intera – sono arrivati in Sicilia, a Corleone, i primi 84 ragazzi pronti a sporcarsi le mani sulle terre confiscate a Totò Riina e assegnate alla cooperativa sociale Lavoro e non solo. Raccoglievano pomodori sotto il sole cocente di agosto. E cantavano Sogna, ragazzo, sogna, di Roberto Vecchioni. “Partecipare a quell’esperienza – racconta Veronique, oggi 32enne, mamma, moglie, funzionaria al Comune di Firenze – non è come fare un viaggio in Grecia, non è una bandierina da piazzare nel proprio atlante personale. Ti resta dentro, la riporti a casa, la metti in pratica nella vita di ogni giorno”.
Veronique in Sicilia, da quel lontano 2005, c’è tornata
decine di volte. Carovane antimafia, nuovi campi, vacanze, weekend per rivedere
le facce amiche incontrate in quel percorso. “Vi si seccasse il sangue
dal cuore, ci dicevano” racconta, scimmiottando un siciliano improbabile,
mentre biascica la sua “c” fiorentina un po’ azzopata. “Ci
dicevano così, l’anno successivo, mentre impiantavamo un vigneto in un terreno
confiscato a Canicattì, in provincia di Agrigento. Noi sorridevamo e
rispondevamo buongiorno. E poi si tornava a legare le barbatelle ai
bastoncini, con un laccetto”.
“Riina – dice ancora – intanto è morto di vecchiaia,
ci dispiace fino a un certo punto. Però sono credente, penso che di quei 26
ergastoli ne abbia scontato uno soltanto su questa terra. Gli altri lo
aspettano altrove, adesso”.
Non ci va leggera neanche Laura, arrivata
la prima volta in Sicilia nel 2006, a 27 anni, tornata a Corleone “credo almeno
altre 5 o 6 volte. In vesti diverse, inizialmente come volontaria, poi nei
panni della coordinatrice, altre ancora come aiuto in cucina”. Oggi
ha 38 anni, è un’impiegata, si occupa dello sviluppo prodotto per dei brand di
calzature da donna e non aggiunge altro se non un “che la terra gli sia
pesantissima”.
“Sono sincero – ribatte invece Patrick –
esultare per la morte di Riina non mi piace, né lo condivido. Posso comprendere
un parente di vittima di mafia, che nel proprio intimo ricorda, come ogni
giorno della propria vita, ciò che gli è stato ingiustamente tolto. Ma anziché
manifestare gioia per l’agonia di un Riina sul letto di morte o agitare slogan
e hashtag vuoti, forse sarebbe meglio rimboccarsi le maniche e
riflettere sui traguardi concreti raggiunti e da raggiungere”. Patrick aveva 20
anni, la prima volta che ha partecipato a un campo di studio e lavoro sulle
terre confiscate. Era il 2008. È tornato ancora, nel 2009, nel
2010, nel 2013. Oggi è un avvocato, coordinatore di avvocato di strada
a Rimini (organizzazione che si occupa della tutela legale gratuita
alle persone senza dimora), mentre in studio difende le vittime di usura e
criminalità organizzata.
“Feriamo al cuore Cosa nostra –
aggiunge – quando lavoriamo giorno dopo giorno i terreni e i beni confiscati a
Corleone, Palermo e in tutta la Sicilia. Ecco, io oggi penso alla
cooperativa Lavoro e non solo e a quei Cento passi che
in questi anni abbiamo concretamente percorso. Il resto è in larga parte
protagonismo peloso”.
E
c’è Claudia, che a Corleone c’è invece nata e cresciuta. Che con
Totò, Giusi, Davide, Andrea, Valeria, ha condiviso un pezzo importante del
percorso della cooperativa, della gestione delle terre confiscate, del
tentativo di rinascita di Corleone che nel tempo si è in parte sopito. Al primo
campo ha partecipato appena diciannovenne, l’anno dopo il diploma, nel 2007.
Oggi ha 29 anni, vive a Forlì, e si occupa della comunicazione dell’Arci tra Forlì
e Cesena. “Mi sono ritrovata nella descrizione del silenzio che dev’essersi respirato ieri mattina a
Corleone, avevo molto chiare le dinamiche che ci fossero dietro. Ecco, è
strano, ma a me è venuto in mente che tra tutti i vari eventi che sono accaduti
attorno a questa figura, attorno a questa famiglia, la morte di un Totò
Riina alle soglie dei 90 anni è l’unico che non abbia contemplato una scelta.
In una vita le cui scelte sono ricadute sulle spalle di tutti noi, delle
vittime di mafia, delle loro famiglie. Questa volta, forse per la prima volta
davvero, non è stato lui a scegliere”.
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