mercoledì, novembre 01, 2017

La vita da mafiosi non piace più ai rampolli, ma nessuno denuncia

ALESSANDRA ZINITI
Il dibattito. Aumenta il numero di parenti dei boss che stanno alla larga dal crimine. I pareri della giudice Principato, della sociologa Dino e dello storico Lupo
Teresa Principato è lapidaria. «Adesso c’è Cosa nuova, Cosa nostra non esiste più». Salvatore Lupo ridimensiona: «Che ribellione è? Casomai è un andare per la propria strada in una società in cui queste cose avvengono tutti i giorni». Alessandra Dino non ha dubbi: «È una frattura generazionale, un segnale chiarissimo di una smitizzazione e di una secolarizzazione che fa ormai di Cosa nostra una organizzazione di profitti e potere ma la cui dimensione identitaria vacilla fortemente». La magistrata, lo storico, la sociologa. Punti di vista diversi ma tutti concordi nell’affermare che la “ribellione” (anche se su fronti distinti) dei due figli del vecchio boss di Bagheria Pino Scaduto è solo un segno dei tempi e che quelle regole che i due giovani hanno infranto (lei intrecciando una relazione sentimentale con un maresciallo dei carabinieri, lui rifiutandosi di eseguire l’ordine di morte del genitore) non hanno più alcun peso all’interno di Cosa nostra semplicemente perché non esistono più nella società in cui vivono.

«Il figlio che si rifiuta di eseguire l’ordine del padre di uccidere la sorella — ragiona Alessandra Dino — fa un ragionamento stringente, una semplice analisi costi-benefici: non mi conviene, a trent’anni, “consumarmi la vita”, sacrificare la mia libertà per eseguire un’azione simbolica per la riaffermazione di regole che nessuno segue più anche all’interno di Cosa nostra, come dimostrano decine di casi di esponenti mafiosi con relazioni extraconiugali o comunque proibite da vecchi canoni ormai definitivamente tramontati. Insomma il Re è nudo, la dimensione simbolica di Cosa nostra non esiste più». Almeno per gli Scaduto junior. Cosa diversa per il vecchio boss che, almeno da otto anni — stando alle indagini dei carabinieri e della Dda di Palermo — avrebbe meditato in carcere la punizione estrema per la figlia, colpevole prima di essere andata a convivere con un uomo (dunque venendo meno alla regola del matrimonio) e poi di avere intrecciato una relazione extraconiugale per giunta con un maresciallo dei carabinieri al quale avrebbe per altro confidato informazioni che avrebbero aggravato la sua posizione. «Il vecchio boss — osserva Salvatore Lupo — uscito dal carcere dopo tanto tempo avrà voluto riaffermare così la sua leadership imponendo il rispetto di queste regole, che ormai non rispetta più nessuno, sia all’interno della famiglia di mafia che nella sua famiglia di sangue. Questo ci porta a pensare che l’uso delle regole all’interno di Cosa nostra è ormai a puro fine di potere. È evidente che è tutto cambiato, soprattutto nei luoghi in cui la mafia confina con la cultura circostante. Queste cose avvengono perché avvengono normalmente nella società. Ormai solo le persone labili di mente reagiscono così ad una cosa del genere, mentre prima faceva parte di un sentire comune anche tra le persone perbene».
Teresa Principato, tornata alla Direzione nazionale antimafia dopo tanti anni da procuratore aggiunto a Palermo, conosce molto bene il boss di Bagheria. «Scaduto l’ho fatto arrestare moltissimi anni fa per droga — ricorda — Quest’ultima vicenda dimostra che Cosa nostra ragiona solo nell’ottica del tornaconto. La punizione dell’omicidio d’onore, che era prevista dalle vecchie regole, non è più in vigore da tantissimo tempo, direi dagli anni Novanta. Questi due figli, davanti ad un padre anziano e boss perdente che è rimasto in galera per 24 anni, ragionano in maniera del tutto diversa e assolutamente opportunistica. Il figlio è cosciente che, se dovesse eseguire quest’ordine di morte, lo prenderebbero subito e si “consumerebbe”, la figlia ormai da diversi anni si è costruita la sua vita infischiandosene di regole che sa non hanno più alcun peso. È un naturale processo di emancipazione, i giovani figli di famiglie di mafia, pur non affrancandosi, non tradendo, non collaborando, ragionano con logiche diverse mentre i vecchi genitori arrancano a inseguire un passato che non c’è più».

La Repubblica Palermo, 31 ottobre 2017

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