ALESSANDRA ZINITI
Il dibattito. Aumenta il numero di parenti dei boss che stanno alla larga
dal crimine. I pareri della giudice Principato, della sociologa Dino e dello
storico Lupo
Teresa Principato è lapidaria. «Adesso c’è Cosa nuova, Cosa nostra non
esiste più». Salvatore Lupo ridimensiona: «Che ribellione è? Casomai è un
andare per la propria strada in una società in cui queste cose avvengono tutti
i giorni». Alessandra Dino non ha dubbi: «È una frattura generazionale, un
segnale chiarissimo di una smitizzazione e di una secolarizzazione che fa ormai
di Cosa nostra una organizzazione di profitti e potere ma la cui dimensione
identitaria vacilla fortemente». La magistrata, lo storico, la sociologa. Punti
di vista diversi ma tutti concordi nell’affermare che la “ribellione” (anche se
su fronti distinti) dei due figli del vecchio boss di Bagheria Pino Scaduto è
solo un segno dei tempi e che quelle regole che i due giovani hanno infranto
(lei intrecciando una relazione sentimentale con un maresciallo dei
carabinieri, lui rifiutandosi di eseguire l’ordine di morte del genitore) non
hanno più alcun peso all’interno di Cosa nostra semplicemente perché non
esistono più nella società in cui vivono.
«Il figlio che si rifiuta di eseguire l’ordine del padre di uccidere la
sorella — ragiona Alessandra Dino — fa un ragionamento stringente, una semplice
analisi costi-benefici: non mi conviene, a trent’anni, “consumarmi la vita”,
sacrificare la mia libertà per eseguire un’azione simbolica per la
riaffermazione di regole che nessuno segue più anche all’interno di Cosa
nostra, come dimostrano decine di casi di esponenti mafiosi con relazioni
extraconiugali o comunque proibite da vecchi canoni ormai definitivamente
tramontati. Insomma il Re è nudo, la dimensione simbolica di Cosa nostra non
esiste più». Almeno per gli Scaduto junior. Cosa diversa per il vecchio boss
che, almeno da otto anni — stando alle indagini dei carabinieri e della Dda di
Palermo — avrebbe meditato in carcere la punizione estrema per la figlia,
colpevole prima di essere andata a convivere con un uomo (dunque venendo meno
alla regola del matrimonio) e poi di avere intrecciato una relazione
extraconiugale per giunta con un maresciallo dei carabinieri al quale
avrebbe per altro confidato informazioni che avrebbero aggravato la sua
posizione. «Il vecchio boss — osserva Salvatore Lupo — uscito dal carcere dopo
tanto tempo avrà voluto riaffermare così la sua leadership imponendo il rispetto
di queste regole, che ormai non rispetta più nessuno, sia all’interno della
famiglia di mafia che nella sua famiglia di sangue. Questo ci porta a pensare
che l’uso delle regole all’interno di Cosa nostra è ormai a puro fine di
potere. È evidente che è tutto cambiato, soprattutto nei luoghi in cui la mafia
confina con la cultura circostante. Queste cose avvengono perché avvengono
normalmente nella società. Ormai solo le persone labili di mente reagiscono
così ad una cosa del genere, mentre prima faceva parte di un sentire comune
anche tra le persone perbene».
Teresa Principato, tornata alla Direzione nazionale antimafia dopo tanti
anni da procuratore aggiunto a Palermo, conosce molto bene il boss di Bagheria.
«Scaduto l’ho fatto arrestare moltissimi anni fa per droga — ricorda —
Quest’ultima vicenda dimostra che Cosa nostra ragiona solo nell’ottica del
tornaconto. La punizione dell’omicidio d’onore, che era prevista dalle vecchie
regole, non è più in vigore da tantissimo tempo, direi dagli anni Novanta. Questi
due figli, davanti ad un padre anziano e boss perdente che è rimasto in galera
per 24 anni, ragionano in maniera del tutto diversa e assolutamente
opportunistica. Il figlio è cosciente che, se dovesse eseguire quest’ordine di
morte, lo prenderebbero subito e si “consumerebbe”, la figlia ormai da diversi
anni si è costruita la sua vita infischiandosene di regole che sa non hanno più
alcun peso. È un naturale processo di emancipazione, i giovani figli di
famiglie di mafia, pur non affrancandosi, non tradendo, non collaborando,
ragionano con logiche diverse mentre i vecchi genitori arrancano a inseguire un
passato che non c’è più».
La Repubblica Palermo, 31 ottobre 2017
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