SALVO PALAZZOLO
La Cupola è pronta a riunirsi per darsi i nuovi
assetti ma questo potrà avvenire solo dopo la morte di Riina
Ormai, stanno aspettando soltanto una notizia. «Totò Riina è morto nel suo
letto d’ospedale, al 41 bis». E poi partirà la convocazione firmata da un
direttorio. La convocazione per la gran riunione della Cupola, la commissione
provinciale di Cosa nostra, la cabina di regia dell’organizzazione, che non si
riunisce da ventiquattro anni, dal giorno dell’arresto di Riina, il 15 gennaio
1993. Perché soltanto il presidente della Cupola può convocare i capi
mandamento. Nel 2008, uno dei vecchi, il boss di Bagheria Pino Scaduto, si era
fatto promotore di una modifica dello statuto speciale dell’organizzazione
mafiosa, aveva anche trovato alleati in carcere per la modifica
“costituzionale”, ma i carabinieri del nucleo investigativo e la procura
arrivarono prima dell’approvazione, facendo saltare il tavolo della nuova
maggioranza. E mai nessuno ha più riprovato, le famiglie sono andate avanti in
ordine sparso, al massimo alcuni mandamenti hanno fatto qualche incontro al
ristorante finalizzato ad affari comuni. Ma niente riunioni plenarie. È
vietato, pena l’accusa di complotto nei confronti del gran corleonese rinchiuso
al 41 bis.
Adesso, le continue notizie sui malanni di Totò Riina, trasferito
addirittura stabilmente nell’ospedale di Parma per essere tenuto sotto
controllo, hanno riacceso grande fermento fra i clan. «Finché c’è lui vivo, non
si vede luce», sussurravano due padrini di Villagrazia pochi mesi fa. Sono
soprattutto le famiglie della vecchia guardia, “i palermitani” di stretta
osservanza, quelli usciti sconfitti dalla guerra di mafia dei primi anni
Ottanta, ad essere i più insofferenti alla gestione “corleonese”. E, allora, le
consultazioni per la convocazione della Cupola sono già partite, in modo ampio.
Anche perché, a parte il presidente del parlamentino mafioso, tutti gli altri
componenti, i capi dei mandamenti di Palermo, ci sono tutti e sono regolarmente
insediati nei territori, qualcuno arrestato nelle ultime settimane è stato già
sostituito di gran fretta, dal carcere è arrivata la ratifica ai provvedimenti
di nomina. Tutto sembra davvero pronto.
LA VILLA
Qualcuno avrebbe proposto anche la location per la grande
riunione della Cupola, una villa fuori città, un posto discreto. Ma su questo
non sembra esserci ancora accordo tra le famiglie, il luogo dovrà assicurare
non solo la massima sicurezza per l’evento che ospiterà, ma soprattutto la
comprovata neutralità della famiglia che organizza. Dettagli fondamentali,
perché “falchi” e “colombe” dell’organizzazione stanno già lavorando da tempo
su fronti opposti per delineare la maggioranza che dovrà decidere le linee
strategiche della nuova Cosa nostra. A maggio, i falchi hanno tentato un
affondo, lanciando una segnale chiarissimo al popolo di Cosa nostra, ma anche
alla città: un omicidio eclatante il giorno prima delle commemorazioni della
strage Falcone con il presidente della Repubblica, in via D’Ossuna è caduto un
pezzo della storia antica della mafia palermitana, Giuseppe Dainotti, una
storia che era diventata scomoda dopo la scarcerazione. Raccontano che qualcuno
fra le “colombe” dell’organizzazione, impegnato in delicati investimenti in
città, abbia storto il naso per il troppo clamore dell’evento. Qualche tempo
dopo, comunque, anche uno “falchi” ha perso il posto: una provvidenziale
decisione della Corte di Cassazione ha riportato in carcere Masino Di
Giovanni, il carnezziere di piazza Inagastone diventato in questi ultimi anni
il signore delle estorsioni nel centro città, era tornato libero alla fine del
2006 e alla Zisa avevano addirittura organizzato una bicchierata per salutare
il suo ritorno.
LO SCONTO
Le “colombe” non hanno fatto in tempo a festeggiare l’uscita di scena di
don Masino. Anche loro hanno subito una perdita importante, con l’arresto
di Giulio Caporrimo, padrino e astuto uomo d’affari, che per tutta
l’estate ha tenuto udienza al baretto del porticciolo di Barcarello, davanti
alla rimessa dei motoscafi della Palermo bene era un via vai continuo tra vasate e strette di mano. Il procuratore generale Roberto Scarpinato
si è accorto che per l’errore di un giudice a Caporrimo era stato concesso uno
sconto non dovuto di quattro anni e mezzo, e il boss è ritornato in
cella. La grande riorganizzazione di Cosa nostra palermitana ha ormai
messo in conto la variabile degli arresti, sempre più frequenti negli ultimi
tempi grazie al lavoro della procura diretta da Francesco Lo Voi con le
forze dell’ordine, per questo la parola d’ordine è diventata una sola per i
boss: prudenza negli incontri. Ma c’è ormai una macchina avviata per la gran
riunione. Mentre i membri più autorevoli dell’organizzazione tornati in libertà
negli ultimi tempi continuano a fare una vita assolutamente riservata, quasi da
pensionati. Sono tre, soprattutto, i nomi che preoccupano i magistrati della
procura distrettuale antimafia. Tre nomi pesanti della storia di Cosa
nostra.
(1 - Continua)
La Repubblica Palermo, 12 nov 2017
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