Palermo, la Cgil, il Centro Impastato e l'amministrazione comunale hanno ricordato Giovanni Orcel, segretario dei metalmeccanici, assassinato dalla mafia e dal padronato la sera del 14 ottobre 1920
DINO PATERNOSTRO
Chi assassinò
Giovanni Orcel la sera del 14 ottobre 1920? Chi fu a volere la morte del
segretario degli operai metallurgici della Cgil di Palermo? Cerchiamo oggi, a 97 anni dal delitto, di ripercorrere le tappe delle indagini fatte dalla
Questura di Palermo. La stessa notte del 15 ottobre, per tentare di
identificare l’uomo «basso, tarchiato e vestito di scuro con cappello a
cencio», che l’aveva ferito con un colpo di pugnale al fianco, gli inquirenti
interrogarono alcuni residenti di Via Giusino (Provvidenza Sorrentino, Antonia
Milazzo, Laura Mancuso e Filippo Militano), ma questi si chiusero «nel più
assoluto mutismo», si legge nel rapporto del 26.10.1920 che la Questura di Palermo fece
al Procuratore del Re. Chi, invece, dimostrando grande coraggio, riuscì a
vincere l’omertà e la paura, fu Rosaria Accomando, la ventisettenne moglie del
sindacalista.
Fu lei a dare agli inquirenti elementi utili per tentare di
risalire agli autori del feroce delitto. Riferì, infatti, la vedova che, due
mesi prima, il 21 agosto 1920, il marito era stato sfidato a duello da un
legionario fiumano, ma fatti alcuni riscontri, gli inquirenti lasciarono cadere
la pista perché inconsistente. Nella sua testimonianza, la vedova Orcel aveva
offerto anche un altro spunto d’indagine molto più interessante. Aveva
riferito, infatti, che il marito «potrebbe essere stato vittima delle gravi
rivelazioni fatte a carico dei responsabili dell’omicidio di Nicolò Alongi di
Prizzi». Alongi, coraggioso dirigente contadino della zona del Corleonese ed intimo
amico di Orcel, era stato assassinato la sera del 29 febbraio «Se ne volete saperne di più – aggiunse la vedova – provate a chiedere a due amici di mio marito, Luigi Chantrez e Pasquale Amico». Chantrez, per la verità, non seppe fornire nessun elemento particolarmente utile. Amico, invece, che nel mentre si era trasferito a Siena, interrogato già il 18 ottobre 1920 dal commissario di P.S. del comune toscano, confermò che effettivamente «la causale a delinquere dell’omicidio Orcel deve ricercarsi nell’assassinio di Nicolò Alongi, visto che Orcel in quella occasione ebbe a fare all’autorità giudiziaria gravi segnalazioni contro gli autori». E, fatti i dovuti riscontri, gli inquirenti accertarono che, in un esposto all’autorità giudiziaria, il sindacalista palermitano aveva denunciato come più volte il suo amico Alongi gli avesse confidato che sentiva la morte ormai prossima. «e che colui che l’avrebbe fatto assassinare sarebbe stato tal don Sisì Gristina, fratello del sindaco di Prizzi». Si può dire che
Stupisce che
gli inquirenti non provarono ad approfondire le indagini su un’altra
consistente “pista esterna”, quella riguardante due dirigenti del Cantiere
Navale di Palermo, Berio e Consiglio. Lo spunto era stato offerto da un altro
operaio della fabbrica palermitana, Giuseppe Giardelli. Interrogato, questi
dichiarò che la sera del 14 ottobre, passeggiando per Corso Vittorio Emanuele,
aveva notato l’ing. Consiglio e l’amministratore Berio che parlavano con altri
impiegati del Cantiere. Avvicinatosi per ascoltare meglio, sentì pronunciare da
Berio la parola «Orcel» e da Consiglio l’espressione «Bisogna romperla!».
Spinto dalla curiosità, l’operaio provò a seguire il gruppo in tutti i suoi
spostamenti, fino alla casa di Consiglio in via Maqueda. Ma proprio qui venne
scoperto. Non sapendo come giustificarsi, provò a dare delle risposte evasive,
ma il Berio, con fare minaccioso, troncò la discussione con un «Va bene, per te
ci penso io!». Preoccupato, il Giardelli si confidò con un compagno di lavoro
di nome Moschitta, che gli consigliò di riferire l’accaduto ad Orcel, che a
quell’ora avrebbe trovato alla Federazione dei metallurgici. Il Giardelli andò
a trovare Orcel, ma non gli riferì né che Berio aveva pronunciato il suo nome,
né che Consiglio si era lasciato scappare la frase «Bisogna romperla!». «Stavo
seguendo una ragazza, ma hanno pensato che stessi seguendo loro. Mi hanno
frainteso», spiegò al sindacalista. Tanto
che questi, ridendo, lo rassicurò, dicendogli che per questa vicenda di sicuro
non avrebbe rischiato il licenziamento. Il 15 ottobre, saputo
dell’assassinio di Orcel, Giardelli pensò che, dato il loro contegno sospettoso
della sera precedente, Berio e Consiglio «non dovessero essere estranei al
delitto». Un’affermazione sicuramente
grave, che però contrasta con tutto il comportamento precedente del Giardelli,
che allo stesso Orcel aveva taciuto le frasi minacciose al suo indirizzo. Tanto
che gli investigatori ebbero non poche perplessità sulla veridicità di tutto il
racconto. Comunque, interrogarono il commendator Giuseppe Paratore, che la sera
del 14 ottobre era nel gruppo dei due dirigenti del Cantiere. Questi confermò «in
massima parte la dichiarazione fatta dal Giardelli», precisando però che «Berio
e Consiglio, che furono insieme a lui, partirono con la massima calma e non
hanno mai avuto contegno tale da destare sospetto alcuno». A questo punto, ci si poteva aspettare che
anche Berio e Consiglio fossero interrogati. E invece no. «Essendosi
allontanati da qui dritto a Roma per ragioni di servizio – scrissero gli
inquirenti - finora (26 ottobre, cioè – ndr) non è stato possibile sentirli».
Una spiegazione poco convincente, se si pensa che Pasquale Amico, trasferitosi
a Siena, già quattro giorni dopo il delitto gli inquirenti lo fecero
interrogare dal commissario di P.S. della cittadina toscana. Non potevano usare
lo stesso sistema per Berio e Consiglio? O non lo fecero perché non potevano
permettersi il lusso di sospettare dei “padroni”? La verità è che, né subito,
né in seguito, i due furono più sentiti dagli inquirenti.
La verità è
che, né subito, né in seguito, i due furono più sentiti dagli inquirenti. E non
approfondirono neanche la vicenda dello strano sequestro della carrozza e del
cocchiere, che la sera del 14 ottobre si stava recando a casa del prof. Costa,
insieme all’infermiere Campisi, per portarlo all’ospedale e soccorrere Orcel
ferito. Senza carrozza, Costa si rifiutò di andare a piedi in ospedale. Gli
inquirenti non indagarono sul sequestro e non interrogarono il medico.
Giovanni Orcel
era nato a Palermo il 25 dicembre 1887 da Luigi, impiegato, e da Concetta
Marsicano, casalinga. Dai registri dell’anagrafe risultano altri cinque
fratelli. Il giovane Giovanni, date le modeste condizioni della famiglia, dopo
la licenza elementare non poté frequentare le scuole superiori e imparò il
mestiere di tipografo compositore. «Giovanissimo – scrive lo studioso
palermitano Umberto Santino - comincia a frequentare la Camera del lavoro di via
Montevergini, inaugurata il 1° settembre 1901, dove la linea dominante era
quella riformistica e moderata, e ben presto si dedica all'attività sindacale e
politica». Ma ben presto Orcel milita tra i socialisti “rivoluzionari”,
diventandone uno dei dirigenti più prestigiosi. Le indagini per il suo
assassinio incrociano anche Corleone. Gli inquirenti, infatti, tentarono di
accreditare una “pista interna” al movimento socialista. Da dirigente
socialista, Giovanni Orcel si era occupato delle elezioni amministrative di
Corleone dell’agosto 1920. E gli operai metalmeccanici palermitani Giacomo
Cricchio e Salvatore Origlio, intimi amici di Orcel, affermarono di avere visto
una lettera firmata dal dirigente assassinato, con cui si tentava di imporre al
gruppo dirigente socialista di Corleone «l’esclusione dalle liste elettorali di
certi Schillaci e Lo Cascio, con minaccia nel caso di trasgressione di fare
sciogliere la detta sezione». La pista, però, si rivelò talmente inconsistente,
che venne subito lasciata cadere dagli stessi inquirenti. In effetti, Vincenzo
Schillaci nell’estate del 1920 era presidente della cooperativa “Unione
agricola” e consigliere provinciale in carica, eletto nel 1914 insieme al
mitico dirigente dei contadini di Corleone Bernardino Verro, che la mafia aveva
assassinato il 3 novembre 1915, mentre era sindaco della città. Lo Cascio,
invece, anch’egli intimo amico di Verro, era il sindaco socialista in carica.
Nonostante tutti i possibili dissensi politici, di cui comunque non si hanno
notizie, è davvero azzardato insinuare che i due dirigenti socialisti di
Corleone abbiano potuto armare la mano del killer di Orcel. Tanto più che
entrambi furono candidati ed eletti nelle elezioni comunali di agosto a
Corleone.
Dino
Paternostro
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