Umberto Santino |
UMBERTO SANTINO
Ora che sono state depositate le liste per le elezioni regionali del 5
novembre, possiamo essere certi che andiamo speditamente verso un destino che
abbiamo sempre sognato.
Ci sono novità ma pure scelte nel segno di una lodevole continuità.
Ritroviamo per esempio vecchie conoscenze, candidati che possono vantare
relazioni proficue, anche se non sempre edificanti. Qualcuno ha una sorta di
record: ben 22 imputazioni, e la Commissione antimafia avrebbe sotto
osservazione una ventina di nomi, ma si scusa di avere poco tempo e più in là
non può andare. E poi ci sono piccioni viaggiatori, navigatori sperimentati,
pronti a solcare tutti i cieli e tutti i mari. Debbo riconoscere che la
metafora delle porte girevoli, a cui accennavo qualche tempo fa, è inadeguata.
Una lista raccoglie il meglio che l’Italia abbia prodotto negli ultimi
decenni: fascisti, più o meno ripuliti; devoti del Carroccio che, archiviata la
secessione della Padania, muovono alla conquista del Sud; berlusconiani che
sembravano scomparsi e invece sono al centro della scena, sospinti da una
politica che li scimmiotta e li reintegra. Stretti a coorte con i fratelli
d’Italia, i manipoli di patrioti, con l’elmo di Scipio in testa, attendono che
la vittoria porga la chioma. Altri mirano a declinare in siciliano il verbo
grillino, passato dai vaffa a “onestà e onestà”; con la Casaleggio &
associati (il titolare è asceso al cielo ma si è incarnato nel figlio) hanno
inventato la parodia virtuale della democrazia diretta, si sono tagliati
lo stipendio, vogliono abolire vitalizi e congiuntivi, hanno avuto qualche
infortunio con le firme, strizzano l’occhio agli abusivi per necessità e
programmano il trionfo alle elezioni regionali come trampolino di lancio per
l’ingresso a palazzo Chigi. Hanno già allestito il figurino del prossimo capo
del governo.
Negli accampamenti di centro, ma aperti alle correnti della storia,
silenziato il megafono di Crocetta, è ricomparso il fantasma del Ponte. Se ne
sentiva il bisogno. Con una Sicilia che rischia di scomparire, tra frane, smottamenti,
alluvioni, cemento impoverito, discariche permanenti, il Ponte, sognato sin
dalla creazione del mondo, potrebbe essere la settima meraviglia del terzo
millennio. Dovrebbe servire a unire l’isola al continente, ma già la stessa
rievocazione dell’ectoplasma del Ponte pare che più che unificare divida uno
schieramento più votato al conflitto che alla pacificazione. Quel che rimane
delle sinistre ha deciso di ripercorrere i famosi cento passi. Peppino
Impastato nel 1976 si candidò alle elezioni regionali in una lista che
raggruppava Avanguardia operaia, il Manifesto e Lotta continua, predicatori di
rivoluzioni all’insegna degli obsoleti falce e martello, ed ebbe soltanto 350
voti. Ma ora le cose sono cambiate, gli estremisti sono scomparsi, la mafia “non
spara più” e chi percorre il tragitto da palazzo dei Normanni a palazzo
d’Orleans, canticchiando il ritornello “uno due tre, quattro, cinque eccetera”,
non può fare a meno di chiedersi che fine abbia fatto la montagna di merda.
La Repubblica Palermo, 12 ottobre 2017
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