UMBERTO SANTINO
Vivere all’Albergheria”: era questo il titolo di un incontro svoltosi nei
giorni scorsi per parlare di “antimafia sociale” e delle attività nei quartieri
di Palermo, in particolare nel centro storico. Da anni vi operano centri
sociali e altre forme associative che cercano di far fronte alle condizioni
derivanti dalla marginalità: la disoccupazione e il lavoro nero, servizi
carenti o inesistenti, l’abusivismo come regola e l’arrangiarsi come forma di
vita. In questo quadro le attività illegali, più o meno direttamente legate
alla mafia, in mancanza di una consistente economia legale, offrono una
possibilità di sopravvivenza a buona parte della popolazione. Non mancano
esempi che ci danno un quadro dell’economia reale e della vita quotidiana:
ragazzi che abbandonano la scuola per dedicarsi a traffici illeciti; donne
familiari di vittime che denunciano coloro che ritengono colpevoli, si costituiscono
parti civile e vengono isolate dalla popolazione. Ma ci sono pure esempi
positivi, come giovani accompagnati nei loro studi fino alla laurea, donne con
i mariti in carcere che si riuniscono per parlare dei loro problemi e provano
ad affrancarsi da una condizione di subalternità.
Nel quartiere dell’Albergheria
il Centro sociale San Saverio, operante dal 1985, è stato un esempio da
imitare. Nel lavoro con i bambini, con le donne e con gli anziani, ha superato
i limiti delle attività assistenziali, è stato insieme un centro di
aggregazione e di maturazione di una coscienza civile, ha promosso
mobilitazioni per il diritto alla casa, ha ospitato per anni un distretto
socio-sanitario che praticava una medicina alternativa. E ha affrontato problemi
che partivano dal quartiere ma riguardavano la città. Per iniziativa di alcuni
operatori è nata la prima esperienza di bilancio partecipato, con l’esame della
spesa pubblica comunale, per analizzare la politica reale, al di là delle
promesse elettorali e della narrazione massmediale. Un’attività che non è
risultata molto gradita agli amministratori del tempo. Ma non sono
mancati problemi all’interno del centro sociale e del quartiere. Gli operatori
esterni al quartiere erano portatori di una cultura che poneva l’accento sulla
lotta alla mafia, in anni in cui Palermo era assediata dalla violenza, mentre
gli abitanti del quartiere, anche quelli impegnati nella gestione del centro
sociale, mostravano comprensibili perplessità. Non si trattava solo dei rischi
derivanti dall’esposizione con denunce esplicite ma di qualcosa di più
profondo: non c’era solo il ruolo storico dell’organizzazione mafiosa ,
con la roccaforte di Porta nuova, ma pure una realtà in cui era difficile
tracciare una linea netta tra legale e illegale. Anche al Centro Santa Chiara,
storica presenza dei salesiani nel quartiere, ci sono stati problemi. Le
denunce, da parte di sacerdoti, di casi di pedofilia, hanno portato alla
condanna di alcuni responsabili ma i sacerdoti sono stati isolati e trasferiti.
Negli ultimi anni il quartiere è diventato sempre più multiculturale, con una
crescente presenza di immigrati, ed è stato un esempio di accoglienza e di
convivenza civile, ma ci sono state contrapposizioni tra le varie etnie mentre
mafiosi locali e gruppi etnici hanno cominciato a collaborare nel traffico
di droga. E la tratta delle donne è diventato il nuovo business delle
organizzazioni criminali. In questo contesto, può valere il messaggio di padre
Puglisi: “ognuno faccia qualcosa”, ma non ci vuol molto a capire che la forma
più credibile di antimafia è sviluppare l’economia legale, creare lavoro e
offrire, soprattutto alle nuove generazioni, un progetto di vita che affranchi
dalla signoria mafiosa. E questo è impossibile senza politiche sociali, investimenti
pubblici e la maturazione democratica dei cittadini. Dovrebbe essere un
percorso praticabile ma sembra un’utopia. Palermo quest’anno è capitale
nazionale dei giovani (ma i giovani lo sanno?); l’anno prossimo lo sarà della
cultura. Quando diventerà capitale della liberazione dal bisogno e del vivere
civile? E quando cesserà di essere una discarica permanente, dall’Albergheria
alla Favorita?
La Repubblica Palermo, 27 settembre 2017
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