SALVO PALAZZOLO
La figlia più piccola di Borsellino ha scritto una lettera-appello al
Csm. Ultimo atto di una requisitoria contro i depistaggi partita il 23 maggio. “Morta mia madre, si è formato un deserto: né
magistrati né poliziotti attorno a noi”. Il Consiglio superiore ha aperto
un fascicolo. “La mia è una denuncia, non una lite con Di Matteo”
Il 23 maggio, nella grande commemorazione televisiva officiata da Fabio
Fazio, le sue parole sembrarono quasi roba di un altro programma. Fiammetta
Borsellino, la figlia più piccola del giudice Paolo, sempre rimasta in
disparte, chiamava «menti raffinatissime » quelle che avevano ordito il
depistaggio dell’indagine sulla morte di suo padre. Parole semplici e
dirompenti, che avrebbero dovuto aprire un dibattito. In quel momento, subito.
E invece le parole di Fiammetta, la figlia di Borsellino che nessuno si
aspetta, vengono fatte scivolare via. Senza una domanda ulteriore. «Senza una
stretta di mano — ha ricordato Fiammetta qualche giorno dopo quella
trasmissione — Dopo la mia esternazione, non c’è stato un cane che mi abbia
stretto la mano. Fatta eccezione per alcuni studenti napoletani e Antonio
Vullo, l’agente sopravvissuto in via D’Amelio». Nella grande commemorazione del
servizio pubblico, Fiammetta viene invitata ad accomodarsi. E per due ore resta
ad ascoltare il rito che si compie.
Ma quelle parole sono già arrivate lontano. E Fiammetta ha già fatto la sua
scelta, d’accordo con la sorella Lucia e con il fratello Manfredi. La svolta di
Fiammetta è avvenuta proprio nel corso di una riunione di famiglia, nei giorni
di Pasqua, all’indomani della sentenza dell’ultimo processo Borsellino. Il
“Quater” ha accertato che il falso pentito Scarantino è stato «indotto» a
commettere il reato. Fiammetta rilegge in maniera più approfondita le carte del
processo, e tante domande tornano a riecheggiare in casa Borsellino. Chi ha
«indotto» Scarantino a mentire? Ovvero, chi ha gestito la sua
collaborazione? Quella verità che ancora non c’è sulla strage del 19 luglio
1992 resta un dolore troppo grande per la famiglia Borsellino. Un dolore ancora
più grande è il depistaggio attorno all’indagine. Un dolore che mamma Agnese,
morta nel 2013, aveva trasformato in un urlo di giustizia. «Dopo la morte
di mio marito — raccontava — ricevevo tanti inviti in diversi palazzi delle
istituzioni. E ricevevo tanti regali. Poi ho capito. Volevano sapere cosa mi
aveva detto mio marito».
Ora è Fiammetta a riprendere le parole di mamma Agnese. Ha detto in
un’intervista: «Dopo la morte di mia madre, dopo che hanno finito di
controllarci, si è formato un deserto attorno a noi. Né un magistrato né un
poliziotto ci frequentano. Si sono dileguati tutti». Fiammetta che ha parole
schiette, Fiammetta che adesso ripete un’altra cosa semplice: «Abbiamo il
diritto di sapere la verità». E quest’anno, per la prima volta,
nell’anniversario della morte del padre, ha deciso di non restare nella sua
amata Pantelleria. Il 19 luglio Fiammetta è a Palermo, per essere ascoltata
dalla commissione Antimafia.
L’urlo di Fiammetta si fa lucido ragionamento. «Perché nostro padre ci ha
insegnato a sollevare un caso solo se ci sono le prove — dice — e qui le prove
sono evidenti». Le sue parole continuano a essere semplici e dirompenti. È la
zia Rita a spiegare la ragione di tanta forza: «Fiammetta è autorevole
perché finora non ha mai parlato, per cui quello che dice è Vangelo». Ora è
Fiammetta la voce della famiglia, mentre Lucia ha già archiviato la parentesi
politica da assessora del governo Crocetta e Manfredi, commissario di polizia,
fa sempre meno uscite pubbliche, preferisce un memorial di calcio all’ennesima
commemorazione.
Fiammetta chiede alla commissione Antimafia di intervenire. E probabilmente
si aspettava anche un intervento del Consiglio superiore della magistratura,
che però non è ancora arrivato. E allora Fiammetta torna a farsi sentire, con
una lettera inviata due giorni fa a Palazzo dei Marescialli. Chiede di sapere
che fine abbia fatto la richiesta del consigliere Aldo Morgini, che a luglio
aveva sollecitato l’apertura di un fascicolo. Il Csm aspetta le motivazioni del
“Borsellino quater”, che ha analizzato i passaggi del depistaggio, ma ha già
incardinato una pratica. Fiammetta torna a chiedere: «Il nostro obiettivo è
cercare la verità su quanto accaduto, fare luce sull’operato dei
magistrati all’epoca in servizio alla procura di Caltanissetta, Giovanni
Tinebra, Carmelo Petralia, Anna Maria Palma, Nino Di Matteo, quest’ultimo
arrivato nel novembre 1994. Bisogna fare luce anche sull’operato dei poliziotti
del Gruppo d’indagine sulle stragi Falcone e Borsellino, hanno fatto tutti una
brillante carriera».
Ancora una volta, le parole semplici e schiette di Fiammetta. Anche quando
c’è da precisare, per evitare strumentalizzazioni: «Una parte del mondo
giornalistico — dice — ha voluto semplificare il senso delle mie denunce
riducendo tutto a un alterco fra me e il dottor Di Matteo. Una semplificazione
che fa comodo a qualcuno che si nasconde nell’ombra. Una semplificazione che
distoglie l’attenzione sul nostro urlo di dolore, ben più alto».
La Repubblica Palermo, 27 settembre 2017
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