Donne nigeriane |
CLAUDIA BRUNETTO
Le ragazze vengono aiutate a dire no alla
prostituzione fuggono dagli sfruttatori che le ricattano con riti vudù
Nike è arrivata a Lampedusa credendo che ci sarebbero stati i suoi zii ad
accoglierla. Invece ancora minorenne è finita in una comunità prima che la sua
“maman” la ritrovasse e la mettesse nel giro della tratta. Anche Ruth ha fatto
la stessa fine. A diciassette anni è fuggita dalla comunità che la ospitava
dopo il suo arrivo a Palermo ed è finita a Rimini nel business del sesso a
pagamento. Sono tante le ragazze nigeriane, tantissime minorenni, che finiscono nel
giro della tratta. Per loro è nato uno sportello di ascolto al teatro
Montevergini, gestito da altre donne nigeriane che invece ce l’hanno fatta a
uscire dal giro. Sono le dieci nigeriane dell’associazione “Donne di Benin
City” che hanno deciso di mettersi in campo per cambiare le cose.
«Di noi si fidano – dicono le donne dell’associazione – riescono a
raccontarci davvero il dramma che vivono perché veniamo dallo stesso mondo,
dalla stessa cultura. Parliamo la stessa lingua. Se riuscissimo a lavorare
anche noi nelle comunità che ospitano le ragazze nigeriane riusciremmo a
salvarne tante».
Il giro è sempre lo stesso. Le ragazze vengono vendute alla maman, la loro
sfruttatrice, ancora prima del loro arrivo in Sicilia. Sono vincolate a lei da
un rito voodoo che non le permette di ribellarsi fino al pagamento di una certa
cifra che rappresenta il riscatto per tornare libere. Lo sportello del
teatro Montevergini è aperto il mercoledì mattina e sono già tante le ragazze
che si sono rivolte all’associazione per chiedere aiuto.
«È un giro di affari enorme – dice Nino Rocca del comitato anti tratta – basta
guardare i numeri degli arrivi delle ragazze. Dal 2013 a oggi si è
moltiplicato. Allora arrivavano in 500 circa, nel 2016 in Sicilia sono
approdate undicimila ragazze nigeriane. Bisogna interrompere questo
giro, una strada è proprio quella di coinvolgere le donne ex vittime della
tratta che conoscono bene questo dramma. Questa è certamente una
carta vincente».
Un altro dato preoccupante è il numero della ragazze nigeriane che fuggono
dalle comunità. Vengono raggiunte al telefono dalla maman che riesce a
strappare loro un appuntamento e a mandare qualcuno a prenderle e, di fatto,
rapirle. Così spariscono da un giorno all’altro dalle comunità.
Ecco perché si sta cercando di intensificare l’attività dello sportello
anti tratta aprendo più volte alla settimana e cercando di far veicolare con
ogni mezzo l’informazione il più possibile. «In questo ultimo periodo
siamo riuscite a salvarne tante – dicono le donne dell’associazione – L’ultima
aveva raggiunto Rimini per andare dalla maman e noi invece le abbiamo pagato il
biglietto del pullman per tornare qui e denunciare tutto quello che stava
accadendo. Ma ci vogliono valide alternative perché le ragazze si fidino. Prima
di tutto un lavoro è una casa».
La Repubblica Palermo, 10 agosto 2017
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