Luigi Natoli, l'inventore dei Beati Paoli |
PIERO VIOLANTE
Gabriello Montemagno pubblica per Sellerio la prima biografia di Luigi
Natoli Una macchina da romanzi e articoli per superare le ristrettezze
economiche Ebbe una dozzina di figli da due matrimoni
Imponente. Robusto ma non grasso. Corporatura slanciata. Marcati i
lineamenti del volto. Occhi vivaci dietro piccoli pince- nez. Barba
grigia, ben curata, risorgimentale. Sprofondato nella poltrona dagli alti
braccioli, su uno sfondo liberty, passa la notte alla scrivania di noce colma
di fogli e appunti. Non li guarda mai mentre scrive con mano pacata e fluente
su un grosso quaderno illuminato dalla lampada da tavolo. Sul suo collo è
acciambellato un gatto misterioso. I suoi occhi brillano sinistramente come
quelli di un incappucciato del diciottesimo secolo. Gabriello Montemagno mima il tono del feuilleton popolare per presentarci
William Galt ossia Luigi Natoli (1857-1941), l’autore de “I Beati Paoli”, il
romanzo popolare più letto dai palermitani di scoglio e di mare, pubblicato a
puntate sul “Giornale di Sicilia” ( maggio 1909- gennaio 1910).
“L’uomo che inventò i Beati Paoli” (Sellerio 2017, 228 pagine, 13 euro), è
la prima biografia dell’autore dei “Beati Paoli”. Il che suona almeno curioso.
Della trama e dei personaggi della trilogia i palermitani sanno tutto ma nulla
o quasi sanno di Natoli. Delle sue origini “umili”, della dura gavetta della
formazione, della sua discontinua e travagliata carriera scolastica.
Politicamente osteggiata, molto erratica «come un capocomico di compagnia »,
aggravata dal fatto che in due matrimoni il Natoli ebbe una dozzina di figli.
Montemagno sulla base di documenti di famiglia e delle conversazioni con i
figli ci restituisce una vivida storia personale economicamente labile, che
costringeva Natoli a lavorare al limite delle sue forze. Ha pubblicato trentuno
romanzi e più di trecento articoli storici, ai quali vanno aggiunti
quarantanove volumi di storia per la scuola, una quindicina di testi teatrali e
poi saggi letterari e di cultura varia. Insomma non si dava tregua.
Nel 1888, quando approda come professore di lettere al liceo Garibaldi si
lega a Giuseppe Pitré e intesse rapporti anche epistolari con numerosi
intellettuali, artisti, scrittori come Capuana. Mignosi, De Maria, De Roberto,
Cesareo. Repubblicano, mazziniano di formazione, era autonomista sulla linea di
Napoleone Colajanni. Montemagno, sulla scorta di un bel profilo di Massimo
Ganci, mette in evidenza la formazione laica , la forte sensibilità sociale
insieme ad un carattere schietto e indipendente che gli provoca non pochi guai.
Lo scrive per allontanare il sospetto , avanzato nel corso di una vuota
polemica, che Natoli simpatizzasse per i Beati Paoli, dai mafiosi eletti a loro
padrini. Per due anni, prima di arrivare a Palermo, tra l’86 e l’88, lavora a
Roma come caporedattore del “Capitan Fracassa”, allacciando importanti
relazioni culturali. La passione per il giornalismo non lo abbandonerà mai
e in qualche modo si consolida con l’uscita a puntate dei “Beati Paoli”
come feuilleton del “Giornale di Sicilia” che, pur pagando poco, fu
un sostegno di Natoli.
Nei giornali il feuilleton allora era, ma lo è ancora, un taglio
basso su tutte le colonne della pagina, spesso la prima. Era lo spazio per la
grande letteratura popolare a puntate (Balzac, Dickens, Roth). Scrittori,
grandi comunicatori, che in ogni pezzo dovevano tessere la trama e creare la
suspense per la continuazione. A dettare la struttura narrativa con continui
colpi di scena è la natura “periodica” del feuilleton che costringe
gli scrittori ad un ritmo in accelerazione anche in previsione di tempi
narrativi più larghi. In questo senso Natoli è stato un grandissimo scrittore
in grado di immaginare con sapienza i tempi narrativi dell’insieme.
È questo il segreto di chi scriveva feuilleton e del miracolo attrattivo
dei “Beati Paoli”, ma anche di un altro romanzo “Alla guerra”, apparso a
puntate sul “ Giornale di Sicilia” tra l’ottobre 1914 e l’ottobre 1915 e di
recente meritoriamente ripubblicato (I buoni cugini editori, 2014). È il primo
libro in assoluto che narra in diretta la Grande Guerra, prima ancora del libro
di Barbusse. Natoli lo scrive sotto l’emozione della morte al fronte del
figlio Clodomiro. Insieme a lui in guerra c’erano ben altri sei fratelli
Natoli, dalle storie personali avventurose, ideologicamente diverse -
Montemagno le ricostruisce con minuzia- che in trincea guadagnarono onore e
subirono ferite. Se “Alla guerra” è stato dimenticato, non lo sono mai stati “
I Beati Paoli” (riedito da Sellerio), tradotto in America vivo l’autore (Montemagno
vi dedica uno spassoso capitolo), in francese, in tedesco. Da Little Italy a
Palermo, lo leggono tutti. Nei Grandi Palazzi, all’Albergheria o all’Ucciardone
dove – narra Montemagno ospiti di riguardo in infermeria, ogni sera, si
facevano inscenare il romanzo da un detenuto che lo sapeva a memoria. Imposero
quei “pezzi da novanta” dei giorni in più di carcere al narratore, che aveva
finito il periodo di detenzione, per sapere come andava a finire.
Una trama fitta di amori, tradimenti, cose “tinte” calata nella Palermo
settecentesca, ricostruita con precisione filologica nelle sue vanelle, strade,
palazzi e catoi, negli anni in cui, i Borboni si alternarono con gli Asburgo.
Bastardi gentiluomini e purosangue malacarne, populace infida ma anche popolo
generoso e battagliero e poi gli incappucciati, i giustizieri i Beati Paoli
difensori dei deboli. Lampi di giustizia imposta dagli incappucciati - simili
ad altre sette più o meno vere - che si prendevano cura di riassestare
momentaneamente il mondo con il trionfo a volte apparente del buono sul
cattivo.
Natoli nostro Balzac? «D’accordo - disse Sciascia - non era Balzac, ma era
uno storico, con le carte in regola, uno scrittore efficace, un narratore
tecnicamente accorto, uno scrittore buono se dopo tanti anni e ”dopo aver
bevuto in tante altre cantine”, prendendo in mano un suo libro e cominciando a
leggerlo ecco che ci troviamo costretti a finirlo».
Per Montemagno questo giudizio non dà piena giustizia a Luigi Natoli.
L’idea che l’autore insegue, rafforza e sviluppa nel suo libro è che Natoli
vada ammirato «al di là di ogni espediente narrativo. Perché a Natoli
interessava parlare ai suoi lettori della storia della nostra gente, per
cercare di ispirare loro un orgoglio di popolo compromesso che ha attraversato
varie vicissitudini storiche; a lui interessava parlare dello spirito di
eguaglianza e di giustizia, del rifiuto di ogni superstizione, dell’amore per
la libertà».
La Repubblica Palermo, 10 luglio 2017
1 commento:
Un bisnonno di grande spessore ... peccato che, anche se qualche figlio e nipote ci ha provato, nessuno è stato in grado di eguagliarlo nello studio delle tematiche sociali e politiche del vissuto di una terra tanto bella quanto abusata.
Fabienne Natoli
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