Emanuele Macaluso |
EMANUELE LAURIA
«Ma quale laboratorio, il sistema politico siciliano è spappolato. Più di
quello nazionale. Mi dica lei se è giusto che, sul finire della mia esistenza,
debba assistere a questo disastro». Il senatore è stanco ma non domo. Da una
località di vacanza, in Alto Adige, Emanuele Macaluso disegna uno scenario “da
paura”, per sua stessa ammissione, e lancia l’allarme: «Questa situazione non
potrà che avere gravi ripercussioni soprattutto per il centrosinistra».
Senatore, sta seguendo questo lungo valzer di alleanze e candidature?
«Leggo i quotidiani, come sempre».
E cosa ha capito?
«Ciò che sta accadendo mette in evidenza il fatto che il sistema politico
siciliano è spappolato, più di quello nazionale. Non esistono più i partiti e
neppure forme organizzative che li ricordano. Esistono singole figure che
considerano gli elettori una proprietà personale».
I nomi.
«Cominciamo da Leoluca Orlando. Ha un suo candidato, il rettore Micari, che
dicono sia una brava persona seppure non molto conosciuto. Il punto è un altro:
Orlando parla e indica un nome come se fosse egli stesso un’entità politica.
Allo stesso modo si comporta il presidente della Regione: pronto a correre, per
conto suo, in mancanza di una indicazione del Pd. Vuole che
continui?» Prego.
«Prendiamo Alfano. Vuole decidere il candidato, per la destra come per la
sinista. Ma scegliendo fra i suoi amici, non in base alle indicazioni di una
collettività. Poi c’è Berlusconi che sceglie per suo gusto personale, Micciché
che non vuole il fascista, la Meloni e Salvini che invece reclamano Musumeci.
Insomma, la politica rubricata a fatto privato. Non esiste al mondo, neppure
nei più arretrati Paesi dell’Africa, una situazione di questo tipo ».
Non è che nella Prima repubblica i leader di partito non condizionassero le
scelte.
«Guardi, il Pci aveva un comitato centrale, la Dc e il Psi decidevano dopo
aver consultato i propri organi collegiali. C’era sempre una mediazione, fra
posizioni che erano espressione di forze organizzate, di elettori, di
militanti. Chi esprimeva una candidatura, in Sicilia, aveva sì un rapporto
diretto con il leader ma anche un rapporto con la società. Oggi tutto
questo non c’è più».
Come si viene fuori da questa impasse?
«La cosa più grave è che nessuno lo sa. E nessuno si preoccupa più di tanto
il problema di cosa fare, di promuovere un dibattito su come amministrare la
Regione, su come andare oltre la gestione dell’esistenza, su cosa fare di
un’Autonomia che è un’ombra del passato. L’autonomia siciliana doveva ridurre
il divario con le regioni del Nord, ma la forbice si è allargata».
Un atto di accusa soprattutto nei confronti della “sua” sinistra.
«Neanche nel Pd c’è un’idea chiara. Il segretario regionale, Raciti, è
un bravo ragazzo ma non conta molto. E comunque aspetta che Renzi dica chi è il
suo candidato. Non c’è uno che promuova un dibattito ».
Renzi afferma che la Sicilia è importante, ma il risultato delle elezioni
regionali isolane non inciderà sugli equilibri interni del partito.
«Mi sa che si sbaglia. Se il Pd incasserà un’altra sconfitta, ciò avrà
delle ripercussioni sulla sua leadership. Guardi, non so se si può dire ancora
che la Sicilia è un laboratorio politico. Di certo è la seconda regione
d’Italia per numero di abitanti, e oggi i leader guardano giustamente ai numeri: un
chiaro orientamento, questa regione, lo esprimerà in vista delle Politiche ».
Il Pd non ha presentato un candidato e una lista alle Comunali di Palermo,
e per le Regionali potrebbe non avere un portabandiera.
«È il risultato di un fallimento politico. L’occasione rappresentata dal
primo governatore di centrosinistra eletto dai siciliani purtroppo sembra
essere stata sprecata. Il principale partito della coalizione dovrebbe essere
unito e allargare i confini. Se non lo fa, ha già perso».
[/RISPOSTA] Come finirà?
«Allo stato, se Crocetta e Pd restano separati, la vittoria è del
centrodestra o dei grillini. Questi ultimi giocano sulle negatività, si muovono
negli spazi lasciati dagli altri. Ma non hanno un progetto di governo, basti
vedere quello che sta accadendo a Roma. Il movimento 5 Stelle non può
rappresentare una prospettiva. Viviamo una condizione molto grave: non c’è più
una forza politica che sia anche culturale, mancano quelle battaglie del
passato che in Sicilia hanno visto protagonisti quali Leonardo Sciascia, il
giornale L’Ora, alcuni docenti universitari. È brutto vedere questa situazione
sul finire della mia esistenza. E non mi chieda neppure per chi voterei: nelle
urne ho sempre espresso un’opinione su un progetto e non su una persona. Oggi ci
sono solo persone. Con il deserto alle spalle».
La Repubblica Palermo, 22 agosto 2017
Nessun commento:
Posta un commento