SALVO PALAZZOLO
La segnalazione del prefetto, il diktat del vescovo
Monsignor Pennisi: “È un simbolo di mafia, già tolto”
Per cinquant’anni, un banco della Chiesa madre di Corleone è stato un
simbolo. Di rispetto, di ossequio. Per qualche vecchio nostalgico è stato anche
un simbolo di venerazione. «Perché la persona a cui è dedicato da sempre quel
banco ha fatto tanto bene a Corleone», così sussurra ancora qualcuno in paese.
«Dott. Michele Navarra», era scritto su una targhetta fissata sul banco. Un
nome, un cognome, un titolo. E niente altro. Ma questo bastava. Ora, non c’è più quella targhetta, l’arcivescovo di Monreale Michele
Pennisi l’ha fatta rimuovere, dopo la segnalazione del prefetto di Palermo
Antonella De Miro. «Quella targhetta era un simbolo di mafia», dice monsignore.
Perché il dottore Michele Navarra, il direttore dell’ospedale di Corleone
ucciso il 2 agosto 1958, è un pezzo di storia di Cosa nostra. Nel primo
dopoguerra era diventato il punto di riferimento per un ampio schieramento di
mafia, ma in paese c’erano dei giovani che scalpitavano, chiedevano maggiore
spazio e soprattutto affari. Ben presto, il più spregiudicato di quel gruppo,
Luciano Liggio, costituisce una vera e propria cosca: i killer di punta si
chiamano Salvatore Riina e Bernardo Provenzano.
A Corleone, scoppia una faida senza fine fra i due gruppi: fra il 1945
e il 1961, vengono raccolti cinquantadue cadaveri e ventidue feriti per le
strade del paese, un numero imprecisato di persone scompare. Intanto, i capi
cosca accrescono il loro potere. Navarra è l’insospettabile che fa una gran
bella carriera. Da semplice medico condotto diventa caporeparto dell’ospedale di
Corleone; alle Regionali del 1947 sposa la causa indipendentista, alle
Politiche dell’anno successivo quella del Partito liberale, negli anni
Cinquanta il suo impegno è tutto per la Democrazia Cristiana. Navarra è
l’archetipo della mafia che media, che tesse con pazienza le relazioni con il
potere politico e quello economico. Ma nell’estate del 1958 è ormai
diventato un ostacolo per il nuovo potere mafioso di Corleone, che presto
diventerà il nuovo potere in Sicilia. Il dottore Navarra viene assassinato
mentre sta tornando in paese, un giovane collega medico, Giovanni Russo, gli ha
dato un passaggio sulla suaFiat 1100.
Povero Russo, è un brillante professionista, la moglie è incinta, non ha
niente a che fare con Navarra. Ma anche lui viene crivellato di colpi, i sicari
di Liggio sparano con un mitragliatore Thompson e con un altro mitra. Nel corpo
di Navarra verranno trovati 94 proiettili. L’ultimo atto dei sicari è
scaraventare l’auto in una scarpata. E per cinquant’anni, quella targhetta in
chiesa ha ricordato il dottore Navarra, niente invece a Corleone ricorda il
sacrificio dello sfortunato dottore Giovanni Russo.
«Bisogna rimuovere quei simboli mafiosi che riportano a una religiosità
fasulla», ribadisce l’arcivescovo di Monreale, la punta più avanzata della
Chiesa siciliana sul tema della pastorale che dovrebbe fronteggiare la
subcultura mafiosa. Qualche mese fa, dopo una strana sosta della processione di
San Giovanni davanti a casa Riina, Pennisi ha addirittura vietato il passaggio
della vara da quella strada. Non è davvero un cammino facile per gli uomini più
fidati di Papa Francesco in Sicilia: il tribunale di Palermo ha disposto
l’amministrazione giudiziaria per sei mesi dell’azienda agricola dell’Ente
Santuario Maria Santissima del Rosario di Corleone. I terreni della Curia
sarebbero stati gestiti dai boss più fedeli a Riina. Ci sono simboli che non
sono ancora caduti a Corleone.
La Repubblica Palermo, 20 agosto 2017
1 commento:
Un gesto tardivo. Ma necessario. Mons. Michele Pennisi non è nuovo a gesti del genere. Già Gela, quando era vescovo della Diocesi di Piazza Armerina, negò il funerale "im pompa magna" ad un mafioso ucciso in conflitto a fuoco con le forze dell'ordine. Le minacce gli procurarono la scorta. Un bell'esempio che ci viene da una Chiesa che, qualche decennio fa negava, semza pudore, l'esistenza della mafia in Sicilia.
Rosario Antonio Rizzo
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