mercoledì, agosto 30, 2017

Cent’anni di Galep, il papà di Tex Willer che reinventò il made in Italy

LUCA RAFFAELLI
A un secolo dalla nascita, un ricordo di Aurelio Galleppini grande disegnatore e artefice del successo dell’eroe di Bonelli. Cento anni di Galep. Aurelio Galleppini, primo disegnatore di Tex Willer, avrebbe spento ieri un secolo di candeline.
Era nato a Casale di Pari, in provincia di Grosseto, dove in questi giorni viene festeggiato da una mostra e da una serie di eventi. Ma i suoi genitori provenivano dalla Sardegna e infatti prima della guerra il giovane Aurelio frequentò l’istituto commerciale di Cagliari per poi cominciare a lavorare illustrando delle storielle, con uno stile completamente diverso da quello che conosciamo: umoristico e disneyano. Nel 1939 iniziò il suo lavoro nei fumetti avventurosi con Federico Pedrocchi, un grande sceneggiatore che gli fece anche da maestro, realizzando da debuttante storie per il Topolino di grande formato che allora pubblicava altri grandi disegnatori come Caesar, Molino, Albertarelli.

Poi arrivò la guerra, che non fermò la sua voglia di disegnare. Così Galep trasformò un camion rotto in uno studio da disegno e approfittò della possibilità di vedere da vicino i cruscotti degli aeroplani per riproporli all’interno de Le perle del Mar d’Oman. Dopo la Liberazione, si ritrova in una Cagliari da ricostruire. Lui se la cava a malapena vendendo souvenir agli americani. Ma la svolta della vita arriva nel 1947 quando, in cerca di lavoro, decide di andare a parlare con la signora Tea Bonelli, a Milano. Era lei, madre del quindicenne Sergio, a capo di una piccola casa editrice di fumetti. Ed aveva due titoli nel cassetto: Occhio Cupo, quello su cui puntare, e l’altro da realizzare senza troppe pretese. Entrambi scritti dal bravissimo Gianluigi, il marito da cui era separata ma con cui continuava a collaborare. “Occhio Cupo” era un cappa e spada di grande formato. L’altro era Tex Killer, per il formato striscia.
Killer? No, meglio Willer, decise lei, che sapeva bene quanto i fumetti, di qualsiasi tipo, facessero infuriare i genitori. E così Galep si trasferì a Milano, nella casa che era anche la redazione, per lavorare sul tavolo della cucina. È ormai storia risaputa per gli appassionati che Tex venisse disegnato durante le ore della notte, tanto è vero che alcune delle prime storie contengono dei disegnini disneyani a corredo delle didascalie: Galep vi disegnava la caffettiera fumante e graziose cagnoline. E chissà, forse il fatto che Tex sia stato realizzato di getto, senza pensarci troppo, con un tratto immediato ed adulto, forse anche questo ha favorito il suo successo. Graduale, peraltro, non immediato. Però irrefrenabile. Per Tex, Galep inventò un west che era ispirato a quello cinematografico ma anche un po’ italiano: le case di pietra come quelle della maremma, le vallate come quelle dell’appennino.
Erano altri tempi quelli, e far arrivare un libro dall’America con informazioni su vestiti e pistole era una follia, altro che Amazon. E i fumetti si facevano in famiglia, con l’aiuto dei vicini che sapevano disegnare (e che poi magari diventavano dei bravissimi disegnatori) pur di arrivare in tempo in tipografia. Dopo la chiusura di Occhio Cupo (durato dodici albi) tutta la vita di Aurelio Galleppini è stata sotto il segno di Tex e della Bonelli, realizzando migliaia di tavole e centinaia di copertine: per l’esattezza quattrocento, fino a quella del marzo 1994, lo stesso mese in cui si è spento a Chiavari, la città dove si era trasferito.
Nonostante il successo straordinario di Tex aveva un rimpianto, perché almeno uno nella vita bisogna pur averlo: quello di non aver mai fatto cartoni animati.

La Repubblica, 29 agosto 2017

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