LUCA RAFFAELLI
A un secolo dalla nascita, un ricordo di Aurelio Galleppini grande
disegnatore e artefice del successo dell’eroe di Bonelli. Cento anni di Galep. Aurelio Galleppini, primo disegnatore di Tex Willer,
avrebbe spento ieri un secolo di candeline.
Era nato a Casale di Pari, in provincia di Grosseto, dove in questi giorni
viene festeggiato da una mostra e da una serie di eventi. Ma i suoi
genitori provenivano dalla Sardegna e infatti prima della guerra il giovane
Aurelio frequentò l’istituto commerciale di Cagliari per poi cominciare a
lavorare illustrando delle storielle, con uno stile completamente diverso da
quello che conosciamo: umoristico e disneyano. Nel 1939 iniziò il suo lavoro
nei fumetti avventurosi con Federico Pedrocchi, un grande sceneggiatore che gli
fece anche da maestro, realizzando da debuttante storie per il Topolino di
grande formato che allora pubblicava altri grandi disegnatori come Caesar,
Molino, Albertarelli.
Poi arrivò la guerra, che non fermò la sua voglia di disegnare. Così Galep
trasformò un camion rotto in uno studio da disegno e approfittò della
possibilità di vedere da vicino i cruscotti degli aeroplani per riproporli
all’interno de Le perle del Mar d’Oman. Dopo la Liberazione, si
ritrova in una Cagliari da ricostruire. Lui se la cava a malapena vendendo
souvenir agli americani. Ma la svolta della vita arriva nel 1947 quando, in
cerca di lavoro, decide di andare a parlare con la signora Tea Bonelli, a
Milano. Era lei, madre del quindicenne Sergio, a capo di una piccola casa
editrice di fumetti. Ed aveva due titoli nel cassetto: Occhio
Cupo, quello su cui puntare, e l’altro da realizzare senza troppe pretese.
Entrambi scritti dal bravissimo Gianluigi, il marito da cui era separata ma con
cui continuava a collaborare. “Occhio Cupo” era un cappa e spada di grande
formato. L’altro era Tex Killer, per il formato striscia.
Killer? No, meglio Willer, decise lei, che sapeva bene quanto i fumetti, di
qualsiasi tipo, facessero infuriare i genitori. E così Galep si trasferì a
Milano, nella casa che era anche la redazione, per lavorare sul tavolo
della cucina. È ormai storia risaputa per gli appassionati che Tex venisse disegnato
durante le ore della notte, tanto è vero che alcune delle prime storie
contengono dei disegnini disneyani a corredo delle didascalie: Galep vi
disegnava la caffettiera fumante e graziose cagnoline. E chissà, forse il fatto
che Tex sia stato realizzato di getto, senza pensarci troppo, con un tratto
immediato ed adulto, forse anche questo ha favorito il suo successo. Graduale,
peraltro, non immediato. Però irrefrenabile. Per Tex, Galep inventò un west che
era ispirato a quello cinematografico ma anche un po’ italiano: le case di
pietra come quelle della maremma, le vallate come quelle dell’appennino.
Erano altri tempi quelli, e far arrivare un libro dall’America con
informazioni su vestiti e pistole era una follia, altro che Amazon. E i fumetti
si facevano in famiglia, con l’aiuto dei vicini che sapevano disegnare (e che
poi magari diventavano dei bravissimi disegnatori) pur di arrivare in tempo in
tipografia. Dopo la chiusura di Occhio Cupo (durato dodici albi)
tutta la vita di Aurelio Galleppini è stata sotto il segno di Tex e della
Bonelli, realizzando migliaia di tavole e centinaia di copertine: per
l’esattezza quattrocento, fino a quella del marzo 1994, lo stesso mese in cui
si è spento a Chiavari, la città dove si era trasferito.
Nonostante il successo straordinario di Tex aveva un rimpianto, perché
almeno uno nella vita bisogna pur averlo: quello di non aver mai fatto cartoni
animati.
La Repubblica, 29 agosto 2017
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