Vito Ciancimino |
LINO BUSCEMI
LA STORIA DEGLI AMMINISTRATORI DI PALERMO DALL’UNITA’ D’ITALIA A OGGI
LA FLESSIONE subita dalla Dc alle amministrative del 7 giugno 1970
interruppe un lungo periodo di successi elettorali. Ad avvantaggiarsi del calo
dei seggi e dei voti democristiani e delle destre furono il Psi e il Pri. In
città, intanto, il clima politico e dell’ordine pubblico non prometteva nulla
di buono: il sindaco uscente, il dc Spagnolo, ambiva a una riconferma; Vito
Ciancimino, consigliere comunale da alcuni anni ma privo di incarichi
assessoriali premeva energicamente sui suoi leader per ottenere l’investitura a
sindaco di Palermo; Salvo Lima e Rosario Nicoletti, preoccupati dello
strapotere di Gioia (alla Regione e alla Provincia), si misero di traverso per
impedire che Palazzo delle Aquile restasse nelle mani del loro avversario; la
mafia intimoriva e uccideva con inaudita ferocia (gli omicidi avvenivano non
solo per strada ma anche nelle corsie degli ospedali); il 17 settembre ’70
venne rapito sotto casa il giornalista de L’Ora Mauro De Mauro. Non
se ne saprà più nulla.
Rispetto a tale difficile situazione, al Comune verrà mandato in scena un
“dramma” che scuoterà la politica locale e nazionale fra proteste e
indignazione. Il già chiacchierato Vito Ciancimino il 13 ottobre ’70 venne
eletto sindaco della città. Una forzatura, assai rischiosa, voluta da Gioia per
premiare l’uomo che lo ha sostenuto nel duro scontro con Lima. C’era chi,
invece, vedeva nell’ostinazione di Gioia un primo tentativo per “bruciare”
l’invadente aspirante sindaco. La conferma viene da Elio Sanfilippo, il quale
ha rivelato in un suo libro (“Quando eravamo comunisti”, edizioni Passaggio)
che alla richiesta di spiegazioni su quella candidatura, formulata da un
titubante Aristide Gunnella (Pri), Gioia pare abbia risposto: «Va bene, così ce
lo togliamo dai c...».
L’elezione di Ciancimino fu definita dalla commissione parlamentare
Antimafia «una sfida». Un consigliere comunale dc, Alberto Alessi, indignato,
annunciò le sue dimissioni dalla carica. Mentre il comunista Emanuele Macaluso,
il 15 ottobre ’70, scrisse al presidente dell’Antimafia Francesco Cattanei
definendo l’elezione di Ciancimino una «umiliazione della democrazia» e
chiedendo l’apertura di «una indagine particolare sul periodo in cui il signor
Ciancimino è stato assessore... disponendo in ogni caso accertamenti sul
patrimonio» del sindaco.
La commissione, di fronte a tanto clamore, si dette una mossa e dispose
approfondite indagini. Ciancimino reagì in maniera furibonda, gridò al
complotto, attaccò l’Antimafia, preannunciò querele e sollecitò la solidarietà
dei massimi esponenti del suo partito. La città era allo sbando, ma lui tirò
dritto con inusitata protervia.
Vito Ciancimino era nato a Corleone il 2 aprile 1924, dove trascorse gli
anni dell’adolescenza. Tra il ’46 e il ’50 ebbe inizio la sua attività politica
nella Dc. Tra il ’55 e il ’56 fu eletto segretario della Dc palermitana e
consigliere comunale. Dal 1959 al 1964 sarà ininterrottamente assessore ai
Lavori pubblici, proprio nel momento della selvaggia espansione edilizia della
città verso la Piana dei Colli e non solo. Da sindaco preannunciò programmi
ambiziosi, ignaro della tempesta in arrivo. Il 28 ottobre ’70 il capo della
polizia, Angelo Vicari, dichiarò che su Ciancimino condivideva le riserve della
commissione Antimafia. Per don Vito fu un duro colpo. Reagirà a modo suo,
dicendo che il problema non era lui ma la «scomoda» corrente fanfaniana.
Riguardo ai rapporti mafia-politica, affermerà che a lui «non risultavano»,
benché un suo assessore, Giuseppe Trapani, fosse affiliato alla “famiglia” di
Porta Nuova. Capì che doveva gettare la spugna, ma tergiversava perché il 6
dicembre ’70 avrebbe dovuto accogliere alla stazione centrale, in pompa magna,
il nuovo arcivescovo Salvatore Pappalardo. L’incontro fu gelido e formale (la
foto di Ciancimino con la fascia tricolore che bacia l’anello del presule è
letteralmente sparita) e il sindaco comprese che dalla Chiesa non poteva
aspettarsi alcunché. Due giorni dopo, l’8 dicembre, dopo 85 giorni di
sindacatura si dimetterà. Per conoscere il nome del suo successore si dovranno
aspettare più di quattro mesi.
Ciancimino, comunque, non rinuncerà alla vita di partito. Nel ’76 passerà
con Lima e condizionerà la vita amministrativa fino agli anni Ottanta. Il 3
novembre del 1984 sarà arrestato e condotto a Rebibbia. Sarà ricordato come il
primo politico condannato in via definitiva, a otto anni di reclusione, per
associazione mafiosa e corruzione.
La Repubblica Palermo, 31 agosto 2017
Nessun commento:
Posta un commento