GIUSI SPICA
La tomba al cimitero dei cappuccini riporta il giorno in cui arrivò la
salma a Palermo. Una testimonianza d’indifferenza
Forse sarà stato proprio «questo clima che ci infligge sei mesi di febbre»
– come scriveva nel “Gattopardo” per spiegare l’indolenza siciliana – ad aver
stordito l’impiegato comunale che comunicò la data della sua morte,
scambiandola con quella dell’arrivo della salma in città. Non il 26 luglio -
com’è scritto nella lapide – ma il 23. Vittima, lui che ne fu il teorico, di quel “gattopardismo” che spinge i
siciliani alla pigrizia, come spiegava nel romanzo il principe Fabrizio Salina
all’inviato sabaudo Chevalley. O forse è soltanto l’ultima beffa che i
siciliani hanno inflitto all’autore del “Gattopardo”. Acclamato come
profeta fuori patria, dove il libro è subito diventato un best seller. Accolto
freddamente nel suo Paese, pubblicato postumo da Feltrinelli, dopo il rifiuto
di Einaudi e Mondadori. I suoi conterranei, forse, non gli hanno mai perdonato
di aver parlato di quel «senso di superiorità che barbaglia in ogni occhio
siciliano, che noi stessi chiamiamo fierezza, ma che in realtà è cecità ». E
poco importa che le frasi lapidarie di don Fabrizio si siano imposte nei
discorsi quotidiani con la forza dell’aforisma.
Oggi, a 60 anni della morte, a visitare la sua lapide sono quasi
esclusivamente i turisti stranieri. «Di lui chiedono molti tedeschi, inglesi e
soprattutto francesi », racconta il custode Maurizio Spatola, che da 24
anni apre e chiude il grande portone del cimitero dove sono sepolti molti
“grandi” di Sicilia: il sindacalista Pio La Torre, il politico Michele Amari,
il magistrato Pietro Scaglione, e Francesco Crispi, il politico che Tomasi di
Lampedusa cita come esempio opposto rispetto alla maggioranza dei «semidesti ».
L’elegante sepoltura a pozzo gentilizia è nell’ala più antica, a metà
strada tra la cappella dei principi Alliata di Pietratagliata e il monumento
dei baroni di Mandrascate. Ma sulla lastra di marmo dov’è inciso il suo nome e
quello della moglie, la psicanalista lettone Alexandra Wolff Stomersee, non ci
sono i fiori epitaffio a ricordarne il passaggio in terra. A ridosso del
cancelletto liberty che la protegge, c’è un mazzo di fiori secchi.
«Ogni tanto – spiega il custode – ho visto i parenti di Maria Concetta
Politi, una congiunta tumulata nella stessa sepoltura». C’è anche la salma del
capostipite, il nonno Giulio Tomasi, morto nel 1887.
Per far seppellire Giuseppe Tomasi, gli eredi pagarono 2.343 lire nel 1957.
«Qualche tempo fa – ricordano i guardiani – il Comune provò a requisire la
sepoltura, poi rinunciarono». La tomba, almeno quella, è salva. Per il resto,
“nemo profeta in patria”.
La Repubblica Palaermo, 23 luglio 2017
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