Il piccolo Charlie Gard con i suoi genitori |
di PATRIZIA GARIFFO
In questi giorni ho letto tanti post e
commenti (alcuni commenti li ho scritti anch'io) sulla storia di Charlie. In
particolare, grazie al bel post di risposta di una ragazza che conosco Anita-gaga Pallara, ho letto quello di Selvaggia Lucarelli. Lei è una persona
che a me piace molto, perché dice senza mezzi termini ciò che pensa ed è anche
questa volta l'ha fatto: Selvaggia Lucarelli ritiene che la scelta dei medici e
dei giudici sia giusta e che il bambino debba essere SOPPRESSO (eh sì, perché
non giriamoci troppo intorno ma quello che accadrà è proprio questo). E,
allora, ho voluto mettermi nei panni di chi è d'accordo, dicendo però subito
che io sono dalla parte di Charlie, non solo perché se un giorno qualcuno
dovesse decidere che la mia vita non è vita potrei subire la stessa fine (ESSERE
SOPPRESSA) ma anche perché non vedo nessun “atto di pietà” o nessun “esempio di
civiltà” in questa decisione.
Quelli che sono d'accordo con i medici e i giudici inglesi (e quelli della Corte europea per i diritti dell'uomo) sono per la maggior parte persone “sane” (parlano, camminano, respirano da sole, viaggiano, conducono una vita “degna di essere vissuta”). Così, ho pensato con molta onestà che se io fossi sana e pensassi di dovermi “ridurre” come me o, peggio, come Charlie, anche io direi: “No, questa non è vita. Meglio morire”. Poi, però, ti ritrovi a viverla sulla tua pelle questa condizione e tutto ha una prospettiva diversa. Quello che, se non l'hai provato, ti appare impossibile da sopportare poi diventa normale quotidianità. E anche questa è vita, bella, preziosa e utile per te ma anche per chi ti ama. E, poi, c'è la speranza (e io non sono un'ottimista, ma quella non mi manca), speranza in Dio o nella scienza (nessuna delle due esclude l'altra) che quello che oggi è incurabile tra 1, 5, 10 anni potrà esserlo. Ed io se fossi genitore, medico, giudice, non mi arrogherei mai il diritto o mi prenderei la responsabilità di togliere la speranza a nessuno. Trovo quindi, atroce che qualcuno (in questo caso medici e giudici) “strappino” un bambino all'amore dei suoi genitori perché VA SOPPRESSO visto che la sua vita non è vita (?). E cosa ancora più atroce e ridicola che non gli permettano neanche di portarlo a casa, a morire nella sua culla tra mamma e papà senza medici ed infermieri. Anche questo per il “bene” di Charlie, dicono. Ma medici e giudici hanno la piena consapevolezza di cosa sia la vita? Come scriveva Anita nel suo post la vita è tante cose, non è solo quello che possono fare le “persone sane”. Una vita felice è anche stare in casa con gli amici perché non puoi uscire, fare un viaggio portandosi dietro apparecchiature salvavita, avere i tuoi genitori e i tuoi fratelli che ti coccolano e ti accarezzano, anche se non puoi vederli o sentire le loro voci. Chi può avere l'assoluta certezza che questa non sia vita? Solo chi vive queste situazioni, forse, può averla, nessun medico, nessun giudice, né Selvaggia Lucarelli o chi la pensa come lei. Ed, infine, e chiudo (mi scuso per la lunghezza), mi chiedo lottiamo tanto e giustamente per la libertà di scelta di cura o di mettere fine alla nostra vita, ma quella di poter decidere se vogliamo vivere, nonostante tutto e tutti, vale di meno e non interessa a nessuno?
Quelli che sono d'accordo con i medici e i giudici inglesi (e quelli della Corte europea per i diritti dell'uomo) sono per la maggior parte persone “sane” (parlano, camminano, respirano da sole, viaggiano, conducono una vita “degna di essere vissuta”). Così, ho pensato con molta onestà che se io fossi sana e pensassi di dovermi “ridurre” come me o, peggio, come Charlie, anche io direi: “No, questa non è vita. Meglio morire”. Poi, però, ti ritrovi a viverla sulla tua pelle questa condizione e tutto ha una prospettiva diversa. Quello che, se non l'hai provato, ti appare impossibile da sopportare poi diventa normale quotidianità. E anche questa è vita, bella, preziosa e utile per te ma anche per chi ti ama. E, poi, c'è la speranza (e io non sono un'ottimista, ma quella non mi manca), speranza in Dio o nella scienza (nessuna delle due esclude l'altra) che quello che oggi è incurabile tra 1, 5, 10 anni potrà esserlo. Ed io se fossi genitore, medico, giudice, non mi arrogherei mai il diritto o mi prenderei la responsabilità di togliere la speranza a nessuno. Trovo quindi, atroce che qualcuno (in questo caso medici e giudici) “strappino” un bambino all'amore dei suoi genitori perché VA SOPPRESSO visto che la sua vita non è vita (?). E cosa ancora più atroce e ridicola che non gli permettano neanche di portarlo a casa, a morire nella sua culla tra mamma e papà senza medici ed infermieri. Anche questo per il “bene” di Charlie, dicono. Ma medici e giudici hanno la piena consapevolezza di cosa sia la vita? Come scriveva Anita nel suo post la vita è tante cose, non è solo quello che possono fare le “persone sane”. Una vita felice è anche stare in casa con gli amici perché non puoi uscire, fare un viaggio portandosi dietro apparecchiature salvavita, avere i tuoi genitori e i tuoi fratelli che ti coccolano e ti accarezzano, anche se non puoi vederli o sentire le loro voci. Chi può avere l'assoluta certezza che questa non sia vita? Solo chi vive queste situazioni, forse, può averla, nessun medico, nessun giudice, né Selvaggia Lucarelli o chi la pensa come lei. Ed, infine, e chiudo (mi scuso per la lunghezza), mi chiedo lottiamo tanto e giustamente per la libertà di scelta di cura o di mettere fine alla nostra vita, ma quella di poter decidere se vogliamo vivere, nonostante tutto e tutti, vale di meno e non interessa a nessuno?
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