I sequestri localizzati prevalentemente nelle province di Palermo e Trapani (3 società, una villa, 38 rapporti bancari e numerosi terreni). Il provvedimento si estenderà alle province di Lecce e Brindisi, ove sono stati localizzati i beni aziendali formalmente intestati ad Antonino Ciavarello, genero di Riina. Sottoposto ad amministrazione giudiziaria anche l’azienda agricola del Santuario Maria Santissima del Rosario di Tagliavia (Corleone).
Dalle prime ore odierne i Carabinieri del R.O.S. coadiuvati da quelli del
Comando Provinciale di Palermo e Trapani, stanno dando esecuzione ad un Decreto
di Sequestro beni emesso dal Tribunale – sezione misure di prevenzione -
di Palermo su proposta della Procura della Repubblica di Palermo nei confronti
del capo di cosa nostra, Salvatore RIINA, e del suo nucleo familiare per un
valore complessivo di circa 1,5 milioni di euro. Le indagini patrimoniali
condotte dal ROS costituiscono il completamento della più generale attività di
contrasto condotta dai Carabinieri nei confronti del potente mandamento mafioso
di Corleone, uscito depotenziato negli ultimi 5 anni dagli esiti delle indagini
Patria, All Stars e Grande Passo, ed ha consentito di individuare e colpire il
patrimonio occulto riconducibile a Salvatore RIINA, alla moglie Ninetta
BAGARELLA e ai figli, Giuseppe Salvatore, Maria Concetta e Lucia.
I beni
sequestrati sono localizzati prevalentemente nelle province di Palermo e
Trapani, e sono costituiti da 3 società, una villa, 38 rapporti bancari e,
soprattutto, numerosi terreni di cui si è accertata l’attuale disponibilità al
capo mafia corleonese. Punto cruciale dell’indagine patrimoniale è
rappresentato dalla evidente sperequazione tra i redditi dichiarati negli anni
dal RIINA e dai suoi congiunti, da cui è stato possibile ipotizzare l’utilizzo
di mezzi e di risorse finanziarie illecite. In tale quadro, è emersa la
significativa e continuativa disponibilità di denaro contante della famiglia,
ed in particolar modo della moglie la quale, malgrado i molteplici sequestri di
beni mobili subiti nel tempo ed a fronte dell’assenza di redditi ufficiali, è
riuscita a emettere nel periodo 2007-2013 assegni per un valore di oltre 42.000
mila euro a favore dei congiunti detenuti.
Il sequestro comprende, inoltre, la villa di 5 vani sita a Mazara del Vallo,
via degli sportivi 42, in cui, in passato, nei periodi estivi Salvatore RIINA
avrebbe trascorso la latitanza con il proprio nucleo familiare. Le indagini
hanno ricondotto l’effettiva proprietà dell’immobile, intestata a un
prestanome, a Salvatore RIINA, il quale, dopo la sua cattura avvenuta nel
gennaio del 1993, la cedeva al fratello Gaetano che l’ha occupata ininterrottamente
attraverso un fittizio contratto di locazione. In passato, nel gennaio del
1984, Gaetano RIINA aveva già subito la confisca dell’abitazione a lui
intestata, in contrada Banno Miragliano di Mazara del Vallo, da parte del
Tribunale di Trapani, nella persona del Giudice Alberto Giacomelli che proprio
per questo motivo subì la vendetta dei corleonesi, che l’uccidevano il 14
settembre 1988 e per il quale Salvatore RIINA è stato condannato all’ergastolo.
Le intercettazioni hanno rivelato come l’abitazione oggetto dell’attuale
sequestro fosse stata oggetto di disputa tra Gaetano RIINA e la cognata,
Ninetta Bagarella, che ne rivendicava la proprietà per sé e i suoi figli.
Il provvedimento odierno si estenderà alle province di Lecce e Brindisi,
ove sono stati localizzati i beni aziendali formalmente intestati a CIAVARELLO
Antonino, genero di RIINA Salvatore (Società a Responsabilità Limitata
Rigenertek, AC Service e Clawstek) tutte operanti nella vendita al dettaglio di
autovetture e, stando agli esiti delle indagini patrimoniali, costituite con
proventi di presunta derivazione illecita. Infatti, l’esame incrociato della
contabilità di queste aziende ha evidenziato una sperequazione di ben 480 mila
euro, immessi per lo più in contanti ed in numerose tranches nei patrimoni
sociali senza alcuna giustificazione legale.
Il Santuario di Tagliavia e i terreni circostanti |
Decisivi riscontri in tal senso sono stati ricavati dagli esiti delle
indagini della Compagnia Carabinieri di Corleone che, nel 2012, ha documentato
l’esistenza di una controversia per la gestione di tali terreni tra il figlio
del capo mandamento, Leoluca LO BUE, e Francesco DI MARCO che aveva costretto
quest’ultimo a rivolgersi prima a Giuseppe Salvatore RIINA e successivamente
alla madre Antonina BAGARELLA. La questione, dopo un lungo e aspro confronto,
era stata risolta a favore del DI MARCO, rimanendo cogente l’iniziale decisione
di Salvatore RIINA che il capo mandamento pro-tempore Rosario LO BUE non si era
permesso di modificare.
Il dato rappresenta un ulteriore elemento sintomatico di come l’anziano e
malato capo di cosa nostra, nonostante la lunga detenzione, sia riuscito nel
tempo ad imporre il proprio volere riguardo dinamiche criminali non solo
interne al mandamento di Corleone, ma anche nei più generali assetti di cosa
nostra, come hanno dimostrato, nel 2008, gli esiti dell’operazione denominata
“Perseo” dei Carabinieri.
19 luglio 2017
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