Totò Riina |
SU TOTO’ RIINA DECIDANO I PARENTI DELLE VITTIME
AUGUSTO CAVADI
E’ giusto che Totò Riina muoia dignitosamente a
casa sua? Se la risposta dev’essere, seccamente, un sì o un no è assai arduo
darla in maniera ponderata. Per fortuna la storia recente offre una terza via.
Già dai tempi in cui la Repubblica Sudafricana raggiunse una pacificazione
sociale, dopo decenni di guerre civili fra bianchi e neri, si conoscono i
tribunali della riconciliazione: luoghi in cui carnefici e parenti delle
vittime (se lo vogliono) si incontrano, si guardano negli occhi, si parlano,
L’ottica è quella della giustizia “rigenerativa”, al di là di una volontà
inossidabile di vendetta (che fa male a chi la prova almeno quanto danneggia il
colpevole cui è diretta) come di un facile perdonismo buonista (che offende la
memoria dei caduti almeno quanto la sensibilità dei congiunti sopravvissuti).
Non si tratta di una metodologia utopistica in senso spregiativo: è già
realizzata in centinaia di programmi di mediazione fra vittime e aggressori in
numerosi Paesi (Belgio, Germania, Inghilterra, Repubblica Ceca, Ungheria, Paesi
scandinavi).
Alla luce di un convegno nazionale svoltosi proprio a
Palermo nel 2005 (i cui atti sono ancora disponibili nel volume Nonviolenza
e mafia. Idee ed esperienze per un superamento del sistema mafioso, curato
per l’editore Di Girolamo dal sociologo Vincenzo Sanfilippo) si
potrebbe immaginare, nel caso in esame oggi, una qualche forma di confronto fra
Totò Riina e i familiari delle sue vittime eventualmente disponibili. La
decisione finale dovrebbe spettare a questi ultimi sulla base degli elementi
acquisiti nel corso di numerosi, pazienti, colloqui.
Dopo un quarto di secolo in galera, il mafioso di
Corleone mostra di aver compreso l’immensità del male commesso? E’ sinceramente
dispiaciuto? Ha compiuto qualche gesto, almeno simbolico, di risarcimento nei
confronti delle persone private brutalmente di affetti legittimi? E’ disposto a
dichiarare pubblicamente il proprio errore e il proprio pentimento per
dissuadere altri giovani mafiosi dal ripercorrere le sue strade di morte? O,
invece, egli è ancora intestardito nella convinzione di aver realizzato un
progetto di vita accettabile? E dunque per nulla pentito di ciò che ha fatto e
per nulla disposto a rimediarvi? Intende conservare sino alla fine l’immagine
di gigante del male che lascia alle nuove generazioni la testimonianza
dell’irriducibilità?
Una decisione assunta dai congiunti delle vittime di
mafia, dopo un’attenta (e sofferta) disamina di queste variabili, avrebbe un
peso e una dignità morale indiscutibili. Qualora invece a decidere dovessero
essere dei giudici terzi, sulla base di norme che non possono che essere
astratte e di carte che non possono che essere anonime, ho il timore che la
sentenza lascerebbe la bocca amara. Sia che andasse in un senso o nel senso
opposto.
Augusto Cavadi
Presidente della Scuola di formazione etico-politica “G. Falcone” di
Palermo
www.augustocavadi.co
“Repubblica – Palermo”
8.6.2017
SU TOTO’ RIINA DECIDANO I PARENTI DELLE VITTIME
E’ giusto che Totò Riina muoia dignitosamente a
casa sua? Se la risposta dev’essere, seccamente, un sì o un no è assai arduo
darla in maniera ponderata. Per fortuna la storia recente offre una terza via.
Già dai tempi in cui la Repubblica Sudafricana raggiunse una pacificazione
sociale, dopo decenni di guerre civili fra bianchi e neri, si conoscono i
tribunali della riconciliazione: luoghi in cui carnefici e parenti delle
vittime (se lo vogliono) si incontrano, si guardano negli occhi, si parlano,
L’ottica è quella della giustizia “rigenerativa”, al di là di una volontà
inossidabile di vendetta (che fa male a chi la prova almeno quanto danneggia il
colpevole cui è diretta) come di un facile perdonismo buonista (che offende la
memoria dei caduti almeno quanto la sensibilità dei congiunti sopravvissuti).
Non si tratta di una metodologia utopistica in senso spregiativo: è già
realizzata in centinaia di programmi di mediazione fra vittime e aggressori in
numerosi Paesi (Belgio, Germania, Inghilterra, Repubblica Ceca, Ungheria, Paesi
scandinavi).
Alla luce di un convegno nazionale svoltosi proprio a
Palermo nel 2005 (i cui atti sono ancora disponibili nel volume Nonviolenza
e mafia. Idee ed esperienze per un superamento del sistema mafioso, curato
per l’editore Di Girolamo dal sociologo Vincenzo Sanfilippo) si
potrebbe immaginare, nel caso in esame oggi, una qualche forma di confronto fra
Totò Riina e i familiari delle sue vittime eventualmente disponibili. La
decisione finale dovrebbe spettare a questi ultimi sulla base degli elementi
acquisiti nel corso di numerosi, pazienti, colloqui.
Dopo un quarto di secolo in galera, il mafioso di
Corleone mostra di aver compreso l’immensità del male commesso? E’ sinceramente
dispiaciuto? Ha compiuto qualche gesto, almeno simbolico, di risarcimento nei
confronti delle persone private brutalmente di affetti legittimi? E’ disposto a
dichiarare pubblicamente il proprio errore e il proprio pentimento per
dissuadere altri giovani mafiosi dal ripercorrere le sue strade di morte? O,
invece, egli è ancora intestardito nella convinzione di aver realizzato un
progetto di vita accettabile? E dunque per nulla pentito di ciò che ha fatto e
per nulla disposto a rimediarvi? Intende conservare sino alla fine l’immagine
di gigante del male che lascia alle nuove generazioni la testimonianza
dell’irriducibilità?
Una decisione assunta dai congiunti delle vittime di
mafia, dopo un’attenta (e sofferta) disamina di queste variabili, avrebbe un
peso e una dignità morale indiscutibili. Qualora invece a decidere dovessero
essere dei giudici terzi, sulla base di norme che non possono che essere
astratte e di carte che non possono che essere anonime, ho il timore che la
sentenza lascerebbe la bocca amara. Sia che andasse in un senso o nel senso
opposto.
Augusto Cavadi
Presidente della Scuola di formazione etico-politica “G. Falcone” di
Palermo
www.augustocavadi.com
“La Repubblica – Palermo”
8.6.2017
Nessun commento:
Posta un commento