GIORGIO RUTA
Operazione nelle campagne di Vittoria, arrestati i titolari dell’azienda La
Cgil: “Ma il problema riguarda tutta l’Isola”
«Cosa significa contratto?». A domandarlo è un ragazzone del Ghana, pagato
25 euro al giorno per raccogliere pomodoro per otto ore dentro a una serra a
piedi scalzi. «Non sono contento, ma è l’unico modo per poter mandare qualcosa
alla mia famiglia », racconta impaurito. «Sono un richiedente asilo, dormo in
una comunità d’accoglienza e ogni giorno il padrone mi viene a prendere».
Lo sfruttamento prende forma in una azienda agricola di Vittoria, 40mila
metri quadrati in contrada Alcerito. Gli uomini della squadra mobile di Ragusa,
diretta da Antonino Ciavola, hanno arrestato in flagranza due titolari della
società, i fratelli Angelo e Valentino Busacca e denunciato un altro uomo.
Chini dentro la serra, sono stati scoperti 19 richiedenti asilo del Gambia,
della Nigeria, del Senegal, 5 rumeni e 2 tunisini: erano impiegati per tre euro
all’ora, senza sicurezza né giorni di riposo. Per la prima volta in Sicilia è stato
applicato il nuovo articolo 603 bis sul caporalato e lo sfruttamento di
manodopera che prevede l’arresto per i titolari dell’azienda che sfruttano i
dipendenti. «Questo caso dimostra come sia importante la legge sul caporalato
per contrastare un fenomeno diffusissimo, ma va fatto ancora tanto: la stessa
normativa prevede la creazione di una cabina di regia regionale che in Sicilia
non è mai partita», commenta Alfio Mannino della Flai Cgil. I numeri parlano
chiaro: su 120mila braccianti iscritti nell’elenco anagrafico in Sicilia,
secondo i sindacati il 50 per cento lavora in nero o irregolarmente. Il 12
per cento dichiara di essere impiegato da 0 a 10 giorni l’anno. E i controlli
dell’ispettorato del lavoro non bastano: 317 in un anno, in un tessuto di 35mila
aziende.
Numeri che prendono vita con i drammatici racconti dei braccianti scoperti
dalla squadra mobile di Ragusa. «Vivo in un caseggiato di pochi metri, vicino
all’azienda, assieme a mia figlia. Così, la mattina sono già pronta per
raccogliere i pomodori », racconta una donna rumena, arrivata da poco in
Italia con un pullman. La sua paga è di 150 euro a settimana, «qualcosa la
mando anche a casa, dove vive l’altra mia figlia». Disumani gli alloggi messi a
disposizione dai titolari, catapecchie di una sola stanza, di circa 14 metri
quadrati e senza finestre. Muffa ai muri e umidità insopportabile. Dormivano
sopra materassi senza lenzuola, mangiavano grazie a cucine a gas, vecchie e
pericolose.
Chi non dormiva lì, veniva preso a casa e portato nelle serre. Avevano
paura di perdere il posto di lavoro, dovevano subire paghe basse e assenza
di diritti. «Che alterativa c’è? Non sono contento, il lavoro è pesantissimo,
ma con la paga riesco a mangiare e mandare qualcosa in Ghana alla mia famiglia.
Una volta ho provato a chiedere un aumento, mi è stato detto che quanto mi
davano mi bastava. Punto», racconta un altro ragazzo, sbarcato a Pozzallo
l’anno scorso.
I fratelli Busacca, ai domiciliari, hanno ammesso le proprie
responsabilità. «Lo fanno tutti in zona», si sono difesi. Esagerano ma non
tanto. «Ci sono aziende che per fortuna rispettano i lavoratori, ma sono in
molti a sfruttare i dipendenti sia stranieri che italiani», racconta Peppe
Scifo, segretario della Cgil di Ragusa. In provincia ci sono 26mila braccianti,
il 40 per cento stranieri. La paga, soprattutto tra Vittoria e Acate, si
aggirata tra i 25 e i 35 euro al giorno, molto meno rispetto a quanto
previsto dal contratto collettivo. Ma non c’è solo Ragusa, lo sfruttamento in
campagna si espande in tutta la Sicilia. Le zone calde sono nel Siracusano, a
Campobello di Mazara nel Trapanese, a Biancavilla, Paternò, Palagonia nel
Catanese. «Va bene la repressione, ma il problema va risolto a monte.
Bisognerebbe spingere per creare la cabina di regia prevista dalla legge sul
caporalato, permetterebbe di fare una prima scrematura sulle aziende», dice
Alfio Mannino, segretario regionale della Flai Cgil. Questa cabina, composta da
sindacati, regione e Inps, serve a intensificare i controlli e a realizzare una
white list delle aziende che rispettano i lavoratori. Ma non parte. «Ci saranno
problemi di risorse, ma c’è anche una lobby molto forte», conclude Mannino.
La Repubblica Palermo, 24 giugno 2017
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