Sergio Staino, direttore de L'Unità, creatore di Bobo |
di SERGIO
STAINO
Sono
rimasto profondamente colpito, sfavorevolmente, dalla risposta data da Matteo
Renzi alle domanda a lui posta da Massimo Giannini sulla situazione de l’Unità.
In pratica il nostro Segretario se l’è cavata spiegando che l’Unità ormai è in
mano a privati e che questa scelta di consegnarla in mano a privati non è stata
fatta da lui ma da segretari precedenti, per cui tanta solidarietà e
comprensione umana per i dipendenti ma che si rivolgano a qualcun altro perché
lui non c’entra, arrivederci e grazie. Ho riascoltato quattro volte sul sito di
Repubblica questa sua tranquilla e allucinante logica per la quale la
riapertura de l’Unità era stata frutto di una iniziativa totalmente privata.
Naturalmente ho scritto subito un sms sia a lui che al Vicesegretario Martina
chiedendo spiegazioni e proponendo per l’ennesima volta un incontro per
discutere insieme delle possibilità superstiti per il salvataggio del giornale.
Come ormai capita da mesi, silenzio assoluto.
In
altri tempi, a questo punto, avrei sicuramente scritto una lettera ufficiale
come Direttore de l’Unità al nostro Segretario, inviandola attraverso i canali
istituzionali del partito. Oggi i tempi sono cambiati e di luoghi istituzionali
del partito, grazie al disinteressamento continuo dello stesso Renzi, non
esiste in pratica più nulla. Non mi resta quindi che affidare questa mia
lettera ai canali informativi più tradizionali, non certo affascinanti come
quelli del partito, ma sicuramente più efficaci.
Quel
che ha risposto Renzi a Giannini è una sonora bugia o, se vogliamo usare
termini più amati dal nostro Segretario, una vera e propria fake news. E’ vero
che non è stato Matteo il primo Segretario che ha chiesto l’intervento privato
nella società proprietaria de l’Unità ma non è vero che lui non abbia la piena
responsabilità della nascita e della formazione dell’attuale società
proprietaria Unità srl.
L’idea
di investire su l’Unità non partì certo dai proprietari della Pessina
Costruzioni che invece aderirono al progetto solo dopo le pressanti richieste
dello stesso Renzi. Lui, e solo lui, Matteo Renzi, si era speso nei giorni del
fallimento della NIE nell’estate del 2014, in una solenne promessa di riaprire
l’Unità al più presto. Conservo un sms del 29 luglio 2014 inviatomi da Matteo
nel quale, tranquillizzandomi sulla triste sorte de l’Unità, affermava: “Io la
tengo aperta. Fosse anche l’ultima cosa che faccio”.
In
questo caso mantenne la promessa e dopo aver rifiutato possibili finanziatori
sgraditi perché in odore dalemiano e altri impossibilitati a partecipare per
imbarazzanti vicende giudiziarie, scelse di puntare su Massimo Pessina e Guido
Stefanelli. I due naturalmente non sapevano un bel nulla di editoria, né
avevano mai pensato che in vita loro si sarebbero dovuti interessare di questo
difficile e particolare settore produttivo. Matteo però li blandì con mille
promesse. Loro rischiavano grosso, per cominciare una bella somma (si parla di
10 milioni di euro) come fideiussione sul fallimento della NIE che permettesse
loro di utilizzare il marchio “Unità”, e altri milioni per rimettere in piedi
organizzativamente la vita del giornale. Non dovevano preoccuparsi, diceva loro
Matteo, tutti quei soldi sarebbero stati ben presto rimborsati dal partito; in
più il partito avrebbe assicurato loro un buon guadagno, in particolare dalla
capillare diffusione del giornale. Subito dai 10 000 ai 30 000 abbonamenti
annui raccolti tra i dirigenti, tra gli eletti e dai tanti circoli sparsi in
tutta Italia. E poi, naturalmente, iniziative, interviste, forum, qualunque
cosa che potesse servire a far conoscere e diffondere il giornale. I due si
sono fidati, vogliamo fargliene una colpa?
Come
garanzia di tutto questo il PD entrava nella nuova società con il 20% delle
quote (quote che ancora conserva) e con una “golden share” che permetteva al
Segretario di scegliere gli organi dirigenti del giornale e l’ingresso di nuovi
soci. Grazie a questi accordi Matto Renzi in prima persona ha scelto i vari
direttori del giornale, da Cuperlo che non volle accettare, a D’Angelis, fino
al sottoscritto. Ma per il resto, per tutti gli impegni presi come aiuto
oggettivo e soggettivo alla crescita del giornale, niente è stato realizzato.
Dei 30 000 abbonamenti promessi, al mio arrivo al giornale ne ho trovati solo
400 (non mila, proprio quattrocento). Non parliamo poi del resto: mai
un’intervista al giornale, mai un incontro politico di discussione, mai un
forum e perfino messi fuori i diffusori del giornale dalle riunioni della
Leopolda.
E
ancora oggi la situazione è la stessa: la società proprietaria divisa fra l’80%
a Pessina e Stefanelli e il 20% alla società EYU, diretta emanazione del PD e
quindi di Renzi; sito de l’Unità totalmente in mano al PD e non controllato dal
direttore de l’Unità. Si può quindi parlare di estraneità del PD e del suo
Segretario dalle vicende politiche, culturali e finanziarie del nostro
giornale? Certamente no.
So
benissimo che le difficoltà attuali del giornale vengono da lontano e che
dipendono in larga misura anche dalla gestione che è stata fatta di questo
nostro foglio negli ultimi 20 o 30 anni, ma questa eredità del passato non può
servire assolutamente a giustificare la superficialità con cui sono state
trattate la riapertura e la gestione attuale del giornale. Di tutto questo
disagio, proprio per il suo ruolo, Matteo Renzi è il primo dei responsabili.
Lui
ovviamente non vuole ammettere questo e ricorre alla più misera delle opzioni
umane: la bugia. Di fronte a
questo ho un tal senso di disgusto che devo stare molto attento a come
continuare questa lettera. Dirò quindi solo una cosa, dirò che negli Stati
Uniti, democrazia che il nostro Renzi ama molto, presidenti eletti a furor di
popolo, per una bugia sono stati costretti a dimettersi.
Sergio
Staino
Direttore de l’Unità
Direttore de l’Unità
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