Penale Sent. Sez. 1 Num. 27766 Anno 2017 - Presidente: DI TOMASSI MARIASTEFANIA - Relatore: COCOMELLO ASSUNTA - Data Udienza: 22/03/2017
SENTENZA
sul ricorso proposto da Riina Salvatore, nato il
16/11/1930 a Corleone, avverso l'ordinanza n.299/2016 del Tribunale di
Sorveglianza di Bologna, del 20/5/2016;
Visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
sentita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa
Assunta Cocomello;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del
Sostituto Procuratore generale Dott.ssa Felicetta Marinelli, che ha chiesto
dichiararsi inammissibile il ricorso, con condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali e di una somma alla cassa delle ammende;
RITENUTO IN FATTO
1.Con ordinanza del 20 maggio 2016 il Tribunale di
Sorveglianza di Bologna, rigettava le richieste, presentate nell'interesse di
Salvatore Riina, di differimento dell'esecuzione della pena ex art. 147, n. 3
cod. pen. e, in subordine, di esecuzione della pena nelle forme della
detenzione domiciliare, ex art. 47- ter, comma 1-ter, legge 26 luglio 1975,
n.354.
Il Tribunale, anzitutto, escludeva la sussistenza dell'
ipotesi di differimento obbligatorio della esecuzione della pena detentiva,
prevista dall'art. 146 cod. pen., non emergendo dalle relazioni sanitarie
acquisite che le pur gravi condizioni di salute del detenuto fossero tali da
rendere inefficace qualunque tipo di cure e dandosi, anzi, atto nelle stesse,
di numerosi ed articolati trattamenti terapeutici praticati al detenuto,
unitamente ad un attento e continuo monitoraggio che aveva portato anche a vari
ricoveri ex art.11 legge 26/7/1975 n.354, ivi compreso quello, in corso alla
data dell'istanza, presso l'Azienda Ospedaliera Universitaria di Parma.
In merito alla valutazione della sussistenza dei
presupposti per un rinvio facoltativo dell'esecuzione della pena, ai sensi dell'art.147,
comma 1, n. 2), cod. pen., il Tribunale sosteneva la trattabilità delle
patologie del detenuto anche in ambiente carcerario, evidenziando, in relazione
a ciascuna di esse, condizioni tendenzialmente stazionarie. In particolare, con
riferimento alla patologia cardiaca, il provvedimento impugnato sottolineava
come gli episodi di aggravamento erano stati adeguatamente fronteggiati con
tempestivi interventi di ricovero. L'ordinanza escludeva, inoltre, il
superamento, nel caso in esame, dei limiti inerenti il rispetto del senso
d'umanità di cui deve essere connotata la pena e del diritto alla salute e, in
relazione al particolare aspetto del rischio di insorgenza di eventi
cardiovascolari infausti, affermava che, proprio in considerazione della idoneità
della struttura penitenziaria ad apprestare interventi urgenti, lo stato di
detenzione nulla aggiungeva alla sofferenza della patologia, essendo il rischio
dell'esito infausto pari e comune a quello di ogni cittadino, anche in stato di
libertà.
Infine, a sostegno del rigetto dell'istanza, il
provvedimento effettuava un giudizio di bilanciamento della complessa
situazione sanitaria del richiedente la misura alternativa con le esigenze di
sicurezza ed incolumità pubblica, in ragione della notevole pericolosità del
Riina, in relazione alla quale individuava la sussistenza di circostanze
eccezionali tali da imporre l'inderogabilità dell'esecuzione della pena nella
forma della detenzione inframuraria. In particolare il Tribunale evidenziava
l'altissimo tasso di pericolosità del detenuto, soggetto di notevolissimo
spessore criminale, che ricopriva "la posizione di vertice assoluto
dell'organizzazione criminale Cosa Nostra", ancora pienamente operante e
rispetto alla quale il Riina non aveva mai manifestato volontà di dissociazione,
circostanze che rendevano impossibile effettuare una prognosi di assenza di
pericolo di recidiva del predetto, nonostante l'attuale stato di salute, non
essendo necessaria, dato il ruolo apicale rivestito dal detenuto, una prestanza
fisica per la commissione di ulteriori gravissimi delitti nel ruolo di
mandante.
Rappresentava, altresì, il Tribunale che, solo nel 2013,
il ricorrente aveva riportato l'ennesima condanna per minacce rivolte a personale
della Polizia penitenziaria ed alla magistratura e che, in data 22 novembre
2015, allo stesso era stato rinnovato, il regime di carcerazione di cui
all'art. 41- bis legge n. 354/1975.
2. Avverso il suddetto provvedimento propone ricorso per
Cassazione Salvatore Riina, a mezzo del suo difensore, denunciando, con un
unico motivo, violazione di legge con riferimento agli artt. 147 cod. pen. e
47-ter comma 1 ter, legge n.354 del 1975, nonchè contraddittorietà e manifesta
illogicità della motivazione. Il ricorrente, nello specifico, si duole che
nella valutazione dei presupposti per l'applicazione degli istituti di cui
all'art.147 cod. proc. pen. e 47- ter comma 1 ter, legge n. 354 del 1975
(nessun ulteriore cenno risulta invece, nel corpo del ricorso, all'art.146 cod.
pen.), il provvedimento impugnato:
-adotta una motivazione apodittica, illogica e
contraddittoria, laddove alle premesse sul grave stato di infermità fisica del
detenuto istante trae comunque le conclusioni per escludere la ricorrenza dei
presupposti per l'applicazione degli istituti suddetti; in particolare
l'ordinanza opera una valutazione solo parziale dei profili afferenti al
"grave stato di infermità fisica del detenuto", in quanto motiva
soltanto in ordine al profilo dell'adeguatezza delle cure che possono essere
fornite mantenendo lo stato di detenzione inframuraria o per mezzo di ricovero
ospedaliero dello stesso, omettendo un' adeguata motivazione sulla necessità di
apprezzare, come imposto da principi costituzionali e dalla CEDU, anche
l'ulteriore profilo che il mantenimento dello stato detentivo possa risolversi
in un trattamento contrario al senso di umanità. Si contesta nello specifico
che l'ordinanza affermi che la condizione di un soggetto non più in grado di
deambulare e con concreti e riconosciuti rischi di eventi cardiovascolari
infausti e non sempre prevedibili, rientri in quei limiti di tollerabilità che
rendono la permanenza in carcere sopportabile e non contraria ai principi
espressi dall'art.3 CEDU;
- ammette esso stesso, sulla base di un ragionamento
illogico e contraddittorio, le deficienze strutturali e, dunque,
l'incompatibilità con lo stato di salute del ricorrente, della Casa di
reclusione di Parma, laddove, nella parte conclusiva, evidenzia " le
deficienze strutturali del carcere, lamentate dalla difesa, pur non rilevanti
ai fini del decidere in questa sede, relative alla necessità del condannato di
avere a disposizione un particolare letto rialzabile che, per le sue misure, non
si riuscirebbe materialmente a far entrare nella camera di detenzione, qualora
effettivamente riscontrate dall'Istituto Penitenziario, dovranno essere ovviate
nel più breve tempo possibile, potendo il soggetto rientrare in ogni momento
dall'ospedale, non potendosi ammettere che la mera assenza delle condizioni
materiali di cura possa assurgere a possibile causa della scarcerazione di un
soggetto di tale risaputo spessore criminale". In merito, evidenzia il
ricorrente, la genericità di tale segnalazione, la quale, non indicando i
rimedi necessari né i tempi di realizzazione degli stessi, rappresenta la
negazione del presupposto affermato dall' ordinanza medesima.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il Collegio ritiene che il ricorso debba essere accolto
per i motivi che si passa ad esporre.
1.1 II provvedimento impugnato, pur affermando le
gravissime condizioni di salute in cui versa l'istante -soggetto di età
avanzata, affetto da plurime patologie che interessano vari organi vitali, in
particolare cuore e reni, con sindrome parkinsoniana in vasculopatia cerebrale
cronica- nega la sussistenza dei presupposti normativi richiesti dall'art.147,
comma 1, n.2, cod. pen. per il rinvio facoltativo dell'esecuzione della pena,
in particolare escludendo, da un lato, l'incompatibilità della detenzione con
le condizioni cliniche dell'istante e, dall'altro, il superamento dei limiti
imposti dal rispetto dei principi costituzionali del senso di umanità della
pena e del diritto alla salute.
1.2 Ritiene il Collegio che la motivazione adottata dal
provvedimento impugnato, sia in relazione al primo che al secondo profilo ;è
carente e, in alcuni tratti, contraddittoria. 4 Corte di Cassazione - copia non
ufficiale
1.3 Il provvedimento in esame sostiene l'assenza di un'
incompatibilità dell'infermità fisica del ricorrente con la detenzione in
carcere, esclusivamente in ragione della trattabilità delle patologie del
detenuto anche in ambiente carcerario, in considerazione del continuo
monitoraggio della patologia cardiaca di cui quest'ultimo è affetto e dell'
adeguatezza degli interventi, anche d'urgenza, operati, al fine di prevenire
danni maggiori, a mezzo di tempestivi ricoveri del detenuto presso l'Azienda
ospedaliera Universitaria di Parma, ex art. 11 legge n.354 del 1975.
Osserva la Corte che tale prospettiva di valutazione è
parziale e, pertanto, inadeguata a sostenere la ritenuta compatibilità delle
condizioni di salute del ricorrente con il regime carcerario. In particolare,
il Tribunale omette, nella motivazione adottata, di considerare il complessivo
stato morboso del detenuto e le sue generali condizioni di scadimento fisico,
pure descritte nel provvedimento. Secondo la giurisprudenza di questa Corte,
infatti, affinchè la pena non si risolva in un trattamento inumano e
degradante, nel rispetto dei principi di cui agli artt. 27, terzo comma Cost. e
3 Convenzione EDU, lo stato di salute incompatibile con il regime carcerario,
idoneo a giustificare il differimento dell'esecuzione della pena per infermità
fisica o l'applicazione della detenzione domiciliare non deve ritenersi
limitato alla patologia implicante un pericolo per la vita della persona,
dovendosi piuttosto avere riguardo ad ogni stato morboso o scadimento fisico
capace di determinare un'esistenza al di sotto della soglia di dignità che deve
essere rispettata pure nella condizione di restrizione carceraria (Sez. 1, n.
16681 del 24/01/2011, Buonanno, Rv. 249966; Sez. 1, n. 22373 del 08/05/2009,
Aquino Rv. 244132).
In presenza di patologie implicanti un significativo
scadimento delle condizioni generali e di salute del detenuto, il giudice di
merito, pertanto, deve verificare, adeguatamente motivando in proposito, se lo
stato di detenzione carceraria comporti una sofferenza ed un'afflizione di tali
intensità da eccedere il livello che, inevitabilmente, deriva dalla legittima
esecuzione di una pena. Al di là, quindi, della trattabilità delle singole
patologie, rileva nel giudizio de quo, la valutazione complessiva dello stato
di logoramento fisico in cui versa il soggetto, sovente aggravata anche da
altre cause non patologiche come, nel caso di specie, la vecchiaia. La
giurisprudenza di legittimità, in particolare, con riferimento all'età avanzata
del detenuto ha precisato che il tribunale, adito ex art. 147 c.p. o 47- 5
Corte di Cassazione - copia non ufficiale ter legge n.354 del 1975, ha un
obbligo di motivazione specifica sul punto, incidendo inevitabilmente l'età del
predetto sulle valutazioni richieste dalle norme di riferimento e da quelle
costituzionali sulla umanità della detenzione e sul diritto alla salute (Sez.
1, n. 52979 del 13/07/2016, Di Giacomo, Rv. 268653; Sez. 1, n. 3262 del
01/12/2015, dep. 2016, Petronella, Rv. 265722).
Ritiene il Collegio che il provvedimento in esame non si
è attenuto ai suddetti principi, non emergendo dalla motivazione dell'ordinanza
impugnata in che modo si è giunti a ritenere compatibile con le molteplici
funzioni della pena e con il senso di umanità che la nostra costituzione e la
convenzione EDU impongono nell'esecuzione della stessa, il mantenimento in
carcere, in luogo della detenzione domiciliare, di un soggetto ultraottantenne,
affetto da duplice neoplasia renale, con una situazione neurologica altamente
compromessa, tanto da essere allettato con materasso antidecubito e non
autonomo nell'assumere una posizione seduta, esposto, in ragione di una grave
cardiopatia ad eventi cardiovascolari infausti e non prevedibili.
In relazione a tale ultimo profilo, inoltre, il
provvedimento impugnato evidenzia come la possibilità del prospettato esito
infausto integri una "condizione di natura" comune a tutti gli
appartenenti al consesso umano, anche non detenuti e, pertanto, di una
circostanza neutra ai fini della valutazione del senso di umanità richiesto
dalla costituzione nell'espiazione della pena. Anche in ordine a tale aspetto,
il Collegio ritiene di dover dissentire con l'ordinanza impugnata, dovendosi al
contrario affermare l'esistenza di un diritto di morire dignitosamente che,
proprio in ragione dei citati principi, deve essere assicurato al detenuto ed
in relazione al quale, il provvedimento di rigetto del differimento
dell'esecuzione della pena e della detenzione domiciliare, deve espressamente
motivare.
2.0sserva, inoltre, la Corte che l'ordinanza impugnata
incorre in una intrinseca contraddittorietà della motivazione, laddove, come
evidenziato nel ricorso, da un lato afferma la compatibilità dello stato di
detenzione dell'istante con le sue condizioni di salute e dall'altro evidenzia
espressamente le deficienze strutturali della Casa di reclusione di Parma ove
il medesimo è ristretto, pur ritenendo le stesse irrilevanti ai fini della
decisione sulle istanze oggetto di valutazione. E' lo stesso Tribunale, in
particolare, ad evidenziare che la necessità del condannato- rappresentata
dalla difesa e non contestata dal provvedimento- di avere a disposizione un
particolare letto rialzabile, non può essere soddisfatta a causa delle
ristrette dimensioni della camera di detenzione. Tale contraddizione è messa in
ancor maggiore risalto nella parte conclusiva dell'ordinanza, nella quale il
Tribunale disponendo che le deficienze strutturali del carcere, "qualora
effettivamente riscontrate dalla Direzione dell'Istituto Penitenziario",
dovranno essere rimosse nel più breve tempo possibile, sottolinea un'
inidoneità in concreto della struttura penitenziaria ospitante.
Il Tribunale, secondo questo Collegio, ha errato nel
ritenere che le deficienze strutturali del luogo di restrizione non siano
rilevanti ai fini del decidere sull'istanza del ricorrente avente ad oggetto
proprio l'esecuzione della pena in luogo diverso, ed ha errato altresì, nel non
rinviare la propria decisione all'esito di un accertamento volto a verificare,
in concreto, se e quanto la mancanza di un letto che permetta ad un soggetto
molto anziano e gravemente malato, non dotato di autonomia di movimento, di
assumere una diversa posizione, incida sul superamento o meno di quel livello
di dignità dell'esistenza che anche in carcere deve essere assicurato. Solo
all'esito di tale accertamento il Tribunale avrebbe potuto delibare, con
cognizione di causa, sulla compatibilità, in concreto, della struttura
carceraria con le condizioni di salute del ricorrente, fornendo, se del caso,
indicazioni per il trasferimento del detenuto presso altra struttura.
Ritiene, infatti, questa Corte che il termine di paragone
per la valutazione delle condizioni di salute del richiedente la misura
alternativa, debba essere individuato proprio nelle condizioni di detenzione
del soggetto, le quali non possono certo essere considerate in astratto, bensì,
in concreto, con riferimento anche a particolari caratteristiche del luogo di
detenzione, se rilevanti. Anche a tali principi, non appare essersi attenuta
l'ordinanza in esame .
3.11 provvedimento del Tribunale di sorveglianza, infine,
è carente di motivazione sotto il profilo della attualizzazione della
valutazione sulla pericolosità del soggetto, tali da configurare quelle
eccezionali esigenze che impongono l'inderogabilità della esecuzione della
pena. Si osserva in merito che, ferma restando l'altissima pericolosità del
detenuto Salvatore Riina e del suo indiscusso spessore criminale, il
provvedimento non chiarisce, con motivazione adeguata, come tale pericolosità
possa e debba 7 Corte di Cassazione - copia non ufficiale considerarsi attuale
in considerazione della sopravvenuta precarietà delle condizioni di salute e
del più generale stato di decadimento fisico dello stesso. Ritiene in merito il
Collegio che le eccezionali condizioni di pericolosità debbano essere basate su
precisi argomenti di fatto, rapportati alli attuale capacità del soggetto di
compiere, nonostante lo stato di decozione in cui versa, azioni idonee in
concreto ad integrare il pericolo di recidivanza. P.Q.M. Annulla l'ordinanza
impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza di Bologna.
Così deciso il 22 Marzo 2017
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