Una commissione già al lavoro per redigere la nuova
dottrina “La lotta a questi crimini questione di civiltà, non solo di legalità”
LA corruzione spuzza. Non è cristiano chi si lascia corrompere »,
gridò Papa Francesco dal palco di Scampia. Due anni sono passati, dallo storico
discorso pronunciato nel quartiere simbolo della periferia di Napoli che fece
rapidamente il giro del mondo. Adesso la Santa Sede studia il decreto che dovrà
formalizzare la scomunica non solo dei mafiosi, contro i quali nel giugno del
2014, durante la visita a Cassano Jonio in Calabria, il Pontefice aveva tuonato
ricordando che «non sono in comunione con Dio», ma anche dei corrotti.
Una svolta epocale, perché colloca di fatto i tangentisti sullo stesso
piano di chi entra nell’esercito della criminalità organizzata, e traccia un
percorso indicato con grande chiarezza da Papa Francesco, che ha più volte
paragonato la corruzione a un cancro. «Tutti abbiamo la possibilità di
essere corrotti, è uno scivolar via verso lo sfruttamento, quanta corruzione
c’è nel mondo», aveva detto Bergoglio ai napoletani.
Giovedì scorso, l’argomento è stato affrontato nel convegno internazionale
che si è tenuto in Vaticano alla presenza di religiosi e laici provenienti da
tutto il mondo. Il confronto è stato promosso dal dicastero per lo sviluppo
umano integrale guidato dal cardinale Peter Turkson e ha consentito di
individuare la strada per attribuire veste giuridica alle parole del Papa, così
da conciliare il messaggio del Pontefice con le norme del diritto canonico. Il
gruppo di lavoro che si è occupato del tema, fa sapere ora la Santa Sede, «sta
provvedendo all’elaborazione di un testo condiviso che guiderà i lavori
successivi e le future iniziative. Tra queste si segnala la necessità di
approfondire, a livello internazionale e di dottrina giuridica della Chiesa, la
questione relativa alla scomunica per corruzione e associazione mafiosa».
Per il diritto canonico, si tratta di un passaggio di grande significato
non solo simbolico. La scomunica è la pena più grave nella Chiesa, che risale
ai documenti ecclesiali del IV secolo e ha come effetto l’allontanamento dalla
comunità dei fedeli e la conseguente esclusione dai sacramenti. Sono stati
scomunicati i Lefebvriani, gli ultraconservatori contrari al Concilio Vaticano
II, o alcune sette religiose. La scomunica scatta automaticamente per chi viola
i segreti del conclave, profana le ostie o attenta alla vita del Papa.
Nell’elenco sono stati inseriti poi l’aborto e altri peccati conclamati.
Più complicata la questione del perdono. La scomunica può essere tolta dal
sacerdote dopo la confessione, ma non per tutti i peccati. In alcuni casi
questo potere spetta solo al vescovo, oppure all’ufficio competente della Curia
Romana. Uno degli aspetti che dovranno essere chiariti dal gruppo di lavoro
sarà proprio questo: come ci si dovrà regolare in caso di ravvedimento dei
corrotti? Nei suoi periodici riferimenti a questa condotta, Papa Francesco ha
spesso insistito sul fatto che, nella sua visione, chi corrompe o si lascia
corrompere commette un peccato molto grave: «Il peccatore, se si pente torna
indietro. Il corrotto, difficilmente», disse nel corso di un’omelia pronunciata
a Santa Marta.
Lo stesso ragionamento, a maggior ragione, vale per i mafiosi. Nella svolta
di Francesco si legge, in controluce, anche la volontà di non lasciare più
alibi agli uomini di Chiesa che si lasciano sedurre dalle tentazioni del
denaro. «Quanti scandali nella Chiesa e quanta mancanza di libertà per i
soldi», aveva ricordato durante la sua visita a Napoli. Con la scomunica per i
tangentisti, il Papa prova adesso ad allontanare per sempre quella corruzione
che «spuzza» sempre troppo.
(Dario Del Porto Paolo Rodari)
La Repubblica, 18 giugno 2017
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